Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8357 del 10/01/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 8357 Anno 2014
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: CASA FILIPPO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BIONDOLILLO GIUSEPPE N. IL 10/11/1949
avverso l’ordinanza n. 27/2011 CORTE APPELLO di PALERMO, del
11/06/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FILIPPO CASA;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Data Udienza: 10/01/2014

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Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza resa in data 11.6.2011 (dep. il 18.11.2011), la Corte di Appello di
Palermo, in funzione di Giudice dell’Esecuzione, rigettava l’istanza avanzata nell’interesse di
BIONDOLILLO Giuseppe per ottenere la sostituzione della pena dell’ergastolo, inflittagli in esito
a rito abbreviato, con quella di 30 anni di reclusione.
Premetteva la Corte che l’istante, nel corso del giudizio di primo grado, aveva visto
accolta la sua richiesta, formulata ai sensi dell’art. 4-ter del D.L. n. 82/2000, sicché il

dell’imputato, peraltro successiva alla entrata in vigore del D.L. n. 341/2000, alla pena
dell’ergastolo (sentenza Corte di Assise di Palermo 7.4.2001), confermata in secondo grado e
divenuta irrevocabile.
Il BIONDOLILLO lamentava, dunque, la violazione delle legittime aspettative processuali
dal momento che, a seguito dell’introduzione del D.L. n. 341/2000, invece della pena di trenta
anni di reclusione (che gli sarebbe stata inflitta ai sensi della L. n. 479/99, in vigore quando
presentò la richiesta ex art. 4-ter cit.), gli era stata applicata la norma meno favorevole, in
violazione dell’art. 2 c.p. e dei trattati internazionali sui diritti dell’uomo.
L’imputato si doleva, inoltre, che, per effetto dell’accesso al rito premiale, non aveva
potuto far interrogare i collaboratori di giustizia a carico e far ascoltare i testi a discolpa.
Riteneva la Corte palermitana, richiamando le sentenze di questa Corte n. 2800
dell’1.12.2006 e n. 16507 dell’11.2.2010, che nessun obbligo di sistema viene imposto al
Giudice dell’Esecuzione in via generale ed astratta, potendo, al più, essere richiamato detto
obbligo nella fattispecie specifica, in relazione a pronunciato della Corte Europea, dalla parte
vittoriosa che l’aveva adìta, secondo il limite sancito dallo stesso art. 46 della Convenzione
EDU e senza ricorrere ad applicazioni analogiche incompatibili con il principio di tipicità dei
mezzi d’impugnazione.
Pertanto, solo in esito ad eventuale pronunzia favorevole al condannato da parte della
Corte Europea, il Giudice dell’Esecuzione avrebbe dovuto conformarsi al dettato della Grande
Chambre.
2.

Ha proposto ricorso per cassazione avverso la citata ordinanza BIONDOLILLO

Giuseppe, per il tramite del suo difensore di fiducia, denunciando, in un unico motivo, la
violazione dell’art. 606 lett. b) e c) c.p.p. in relazione agli artt. 1, 2 c.p., 665, 666, 670 c.p.p.,
6, 7 e 46 della Convenzione EDU, 13 e 25 Cost. e 4 ter L. 5.6.2000 n. 144 nella parte in cui
detto art. 7 stabilisce il principio per cui non può essere inflitta una pena più grave di quella
applicabile al momento in cui il reato è stato commesso, norma da considerarsi
immediatamente applicabile nell’ordinamento nazionale.
La decisione della Corte di Palermo, ad avviso del ricorrente, contrastava con i principi
affermati dalla più recente giurisprudenza di legittimità, secondo i quali, in assenza di una

procedimento era proseguito nelle forme del rito abbreviato e definito con la condanna

procedura ad hoc nella legislazione italiana, spetta al Giudice dell’Esecuzione, ogniqualvolta la
Corte EDU abbia accertato che una pronuncia di condanna è stata emessa in violazione dell’art.
7 della Convenzione ed abbia riconosciuto il diritto del condannato ad una pena inferiore a
quella inflitta, il compito di procedere alla dichiarazione d’inefficacia della sentenza di condanna
irrevocabile, limitatamente alla parte contenente l’errata quantificazione della pena,
rendendola conforme ai dettati della predetta Convenzione europea (Cass., Sez. III, sent. n.
23761 dell’11.5.2010; Sez. V, sent. n. 16507 dell’11.2.2010, dep. 28.4.2010).
Del resto, il principio di legalità della pena costituzionalmente sancito dall’art. 25,

rilevabilità in detta sede di una pena irrogata illegittimamente.
3.

Il Procuratore Generale presso questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha

concluso per l’annullamento dell’ordinanza impugnata e la conseguente sostituzione della pena
dell’ergastolo con quella della reclusione per anni trenta.

Considerato in diritto

1.

Il ricorso è fondato e, pertanto, deve essere accolto.

2. Giova premettere che sul tema proposto dal ricorso la giurisprudenza di questa Corte
– con l’affermazione che va qui ribadita – ha in modo unanime insegnato che il principio
discendente dalla sentenza della CEDU nel caso Scoppola c. Italia, su cui il ricorrente ha basato
la richiesta, si può applicare solo a coloro che abbiano ottenuto il rito abbreviato nel periodo di
vigenza della L. n. 479/99,

perché solo in quel caso (che, dunque, non può essere

generalizzato) l’intervenuta modifica legislativa, con l’introduzione del decreto legge n.
341/2000, ebbe a creare un irragionevole pregiudizio a carico dell’imputato (sul punto,
assolutamente pacifico, cfr. Rv. 254524, 254212, 254096, 251857, 253093, 252211 etc.).
Va, ancora, ricordato come sui temi in questione, oggetto della precedente decisione,
siano già intervenute due fondamentali pronunce delle Sezioni Unite di questa Corte di
Cassazione, entrambe rese in data 19.4.2012, la n. 34233, in proc. Giannone (sentenza dep. il
7.9.2012) e la n. 34472 in proc. Ercolano (ordinanza di rimessione della questione di
legittimità costituzionale degli artt. 7 e 8 D.L. n. 341/2000, dep. il 10.9.2012), provvedimenti
che affrontano in modo esaustivo le varie problematiche e alle quali il collegio in convinta
adesione si conforma.
In esse si è affermato, in primo luogo, che, in via generale, “le decisioni della Corte
EDU che evidenziano una situazione di oggettivo contrasto – non correlata in via esclusiva al
caso esaminato – della normativa interna sostanziale con la Convenzione EDU assumono
rilevanza anche nei processi diversi da quello nell’ambito del quale è intervenuta la pronuncia
della predetta Corte” (così la predetta ordinanza Ercolano, massima n. 252933).

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secondo comma, Cost., informando anche il procedimento di esecuzione, implicava la

In secondo luogo, si è evidenziato, quanto al circoscritto aspetto della determinazione
della pena, che l’articolo 442 c.p.p. deve considerarsi norma di diritto materiale, nei termini già
messi in luce dalla Corte europea nella decisione del caso Scoppola c. Italia (la Corte EDU
aveva, appunto, affermato che l’art. 442, co. 2, c.p.p. costituiva

e che l’art. 7 co. 1 D.L. n. 341/2000, nonostante la formulazione, non poteva
considerarsi una norma interpretativa, perché ).
Infine, è stato individuato, quale idoneo strumento di eventuale adeguamento interno,
cui ricorrere al fine di garantire concreta applicazione al principio della legalità della pena
anche nella sua valenza convenzionale, l’incidente di esecuzione disciplinato dall’articolo 670
c.p.p., nell’ambito del quale superare, se del caso, il giudicato.
Tale quadro sistematico – come ora riassunto – è stato convalidato dalla recente
sentenza della Corte Costituzionale n. 210/2013 che, pronunciatasi sulla menzionata questione
di legittimità rimessale dalle Sezioni Unite di questa Corte (ordinanza n. 34472/2012 nel caso
Ercolano), ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 7, co. 1, D.L. n. 341/2000 (che, con effetto
retroattivo, aveva determinato la condanna all’ergastolo di imputati ai quali era applicabile il
precedente testo dell’art. 442, co. 2, c.p.p., per cui avrebbero dovuto essere condannati alla
pena di trenta anni di reclusione) per violazione dell’art. 7 della Convenzione EDU, quale
norma interposta rispetto all’art. 117, primo comma, Cost., nella parte in cui impone la
conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali.
Preso atto che, con la sentenza Scoppola del 17.9.2009, la Corte EDU, mutando il
proprio precedente e consolidato orientamento, ha ritenuto che

, e che
tale principio si traduce , il Giudice delle leggi ha individuato nella fattispecie esaminata una violazione del
suddetto art. 7, paragrafo 1, della Convenzione, in quanto l’art. 30 della L. n. 479/99 (che,
nella successione delle leggi in materia, aveva reso nuovamente possibile l’accesso al rito
abbreviato per i reati punibili con la pena dell’ergastolo, prevedendo la sostituzione di questa
pena con quella di trenta anni di reclusione) si traduceva in una disposizione penale posteriore
meno severa e, pertanto, l’art. 7 della Convenzione imponeva di farne beneficiare il ricorrente.
Alla luce della citata declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 7 D.L. n.
341/2000, in riferimento all’art. 117, primo co., Cost. in relazione all’art. 7 della CEDU, le
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quella della reclusione di anni trenta, e non faceva distinzioni tra la condanna all’ergastolo con

Sezioni Unite di questa Corte, all’udienza del 24.10.2013, celebratasi a definizione del caso
Ercolano hanno dato, secondo l’informazione provvisoria diramata, risposta affermativa al
quesito “se il Giudice dell’esecuzione, in attuazione dei principi dettati dalla Corte EDU con la
sentenza 17 settembre 2009, Scoppola c. Italia, possa sostituire la pena dell’ergastolo, inflitta
all’esito di giudizio abbreviato, con la pena degli anni trenta di reclusione in tal modo
modificando il giudicato con l’applicazione della legge più favorevole”.
3. Tutto ciò premesso e ritenuto, va affermata la concreta applicabilità del principio

relativa al BIONDOLILLO ora in esame, che siano sovrapponibili, nei loro elementi essenziali
aventi rilievo nello schema sopra illustrato, alla situazione valutata dall’anzidetta Corte
sopra nazionale.
In particolare, facendo sempre riferimento a quanto è dato leggere nella citata sentenza
Giannone delle Sezioni Unite, confermata dalla informazione provvisoria sulla recentissima
sentenza Ercolano, la conversione della pena dell’ergastolo in quella di anni trenta è dovuta, in
sede esecutiva, nel caso in cui il rito abbreviato sia stato ammesso tra il 2 gennaio e il 24
novembre 2000, e cioè nella vigenza dell’articolo 30, comma 1, lett. B), L. n. 479/99 (che
prevedeva che, in esito al rito speciale, all’ergastolo si sostituisse la pena di anni trenta di
reclusione), mentre la decisione definitiva sia stata pronunciata dopo il 24.11.2000, con
applicazione del D.L. n. 341/2000 (che ripristinava l’ergastolo senza isolamento diurno).
È dunque evidente che, in base a quanto sopra, il ricorso del BIONDOLILLO deve essere
accolto, rientrando la sua situazione processuale, in ordine alla pronuncia per cui è stato
proposto l’incidente di esecuzione, nei parametri sopra individuati. Per conseguenza, la pena
dell’ergastolo, a lui irrogata con sentenza definitiva della Corte di Assise di Palermo in data
7.4.2001 (confermata dalla Corte di Assise di Appello di Palermo in data 18.4.2005) deve
essere sostituita, previo annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata, con quella di
anni 30 (trenta) di reclusione.

P.Q.M.

annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata, determinando la pena in anni trenta di
reclusione in sostituzione di quella dell’ergastolo.
Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2014

DEPOSITATA

discendente dalla sentenza della CEDU in data 17.9.2009 a tutte quelle situazioni, come quella

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