Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8355 del 10/01/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 8355 Anno 2014
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: CASA FILIPPO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DAINOTTI GIUSEPPE N. IL 18/02/1950
avverso l’ordinanza n. 4/2011 CORTE ASSISE APPELLO di
PALERMO, del 01/07/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FILIPPO CASA;
lette/seigite le conclusioni del PG Dott.
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Data Udienza: 10/01/2014

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza resa in data 1.7.2011 (dep. il 30.9.2011), la Corte di Assise di Appello
di Palermo, in funzione di Giudice dell’Esecuzione, dichiarava inammissibile l’istanza avanzata
nell’interesse di DAINOTTI Giuseppe per ottenere la sostituzione della pena dell’ergastolo,
inflittagli in esito a rito abbreviato, con quella di 30 anni di reclusione.
Il DAINOTTI, richiesta e ottenuta, in primo grado, la definizione immediata del giudizio
ai fini dell’applicazione dell’art. 442, co. 2, c.p.p. ai sensi dell’art. 4-ter D.L. n. 82/2000, era

dell’ergastolo (in sostituzione dell’ergastolo con isolamento diurno) con sentenza confermata in
appello e divenuta irrevocabile.
Nel sollevare incidente di esecuzione, l’istante lamentava che la sentenza di condanna a
lui inflitta si poneva in contrasto con gli artt. 6 e 7 della Convenzione EDU, secondo quanto
affermato, nel caso Scoppola c. Italia, dalla Corte EDU a proposito dell’applicazione retroattiva
dell’art. 7 D.L. n. 341/2000, norma sostanziale e non processuale, che inaspriva il trattamento
sanzionatorio previgente (ossia la pena di trenta anni di reclusione).
A tale decisione della Corte Europea lo Stato italiano era tenuto ad adeguarsi
assumendo le conseguenti determinazioni anche in sede di incidente di esecuzione.
Ciò posto, spese alcune considerazioni, in generale, sulla questione concernente il
contrasto fra normativa CEDU e normativa nazionale e sulla problematica afferente alle
conseguenze processuali derivanti, per il giudice nazionale, da una decisione della Corte EDU
che accerti una violazione della Convenzione, la Corte palermitana, richiamate alcune pronunce
della Corte di legittimità (Sez. V, sent. n. 16507 dell’11.2.2010 sul caso Scoppola) e della
Consulta (sent. n. 113/2011) sul tema della intangibilità del giudicato e della esperibilità,
avverso la sentenza ormai irrevocabile, degli unici rimedi della revisione e del ricorso
straordinario ex art. 625 bis c.p.p., riteneva che non potessero adattarsi al caso in esame i
principi statuiti dalla Grande Chambre della Corte dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo nella
sentenza del 17.9.2009 (proc. Scoppola c. Italia) sul divieto di applicazione retroattiva della
legge penale più afflittiva, in quanto le sentenze della Corte EDU che dichiarano l’intervenuta
violazione della Convenzione dovevano considerarsi produttive di diritti e obblighi solo nei
confronti delle parti del giudizio.
Pertanto, solo in esito ad eventuale pronunzia favorevole al condannato da parte della
Corte Europea, il Giudice dell’Esecuzione avrebbe dovuto conformarsi al dettato della Grande
Chambre.
Precisava, inoltre, la Corte di merito che il caso Scoppola non era sovrapponibile a
quello del DAINOTTI, in quanto il primo era stato giudicato con rito abbreviato allo stato degli
atti davanti al GUP rinunciando alla fase dibattimentale, mentre il secondo aveva chiesto la
definizione immediata del procedimento ex art. 4-ter comma 2 D.L. n. 82/2000, ciò
comportando solo diverse modalità di prosecuzione del giudizio di primo grado ad istruzione in

stato condannato, dopo l’entrata in vigore del successivo D.L. n. 341/2000, alla pena

stato avanzato e con il mero riconoscimento, in caso di condanna, dello stesso beneficio
previsto per il giudizio abbreviato.
Concludeva la Corte, oltre che per la manifesta inammissibilità dell’istanza, per
l’irrilevanza e la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate
dalle parti.
2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia di DAINOTTI Giuseppe,
denunciando violazione di legge ex art. 606, comma 1, lett. b) c.p.p., in relazione agli artt. 7 e
46 della Convenzione EDU ed agli artt. 665 e 670 c.p.p., ciò anche sotto il profilo della

La decisione della Corte di Palermo, ad avviso del ricorrente, contrastava con i principi
affermati dalla più recente giurisprudenza di legittimità e di merito, secondo i quali, in assenza
di una procedura

ad hoc

nella legislazione italiana, spetta al Giudice dell’Esecuzione,

ogniqualvolta la Corte EDU abbia accertato che una pronuncia di condanna è stata emessa in
violazione dell’art. 7 della Convenzione ed abbia riconosciuto il diritto del condannato ad una
pena inferiore a quella inflitta, il compito di procedere alla dichiarazione d’inefficacia della
sentenza di condanna irrevocabile, limitatamente alla parte contenente l’errata quantificazione
della pena, rendendola conforme ai dettati della predetta Convenzione europea (Cass., sent. n.
23761 dell’11.5.2010; Sez. V, sent. n. 16507 del 28.4.2010; Corte di Assise di Appello di
Reggio Calabria, ordinanza del 20.10.2000).
Il Giudice dell’Esecuzione nazionale ha, quindi, il dovere di intervenire sulla modifica del
trattamento sanzionatorio (così come avviene ai sensi dell’art. 671 c.p.p.), in virtù dell’art. 46
della Convenzione EDU, che consente di applicare immediatamente i principi statuiti dalla Corte
di Giustizia, in ossequio anche al principio di ragionevolezza e di celerità del processo.
La scelta del DAINOTTI di ricorrere alla richiesta di modifica della durata della pena
detentiva era l’elemento che portava ad escludere l’ammissibilità del richiamo all’art. 41 della
Convenzione europea operato dall’ordinanza impugnata.
3.

Il Procuratore Generale presso questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha

concluso per l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.

Considerato in diritto

1.

Il ricorso è fondato e, pertanto, deve essere accolto.

2. Giova premettere che sul tema proposto dal ricorso la giurisprudenza di questa Corte
– con l’affermazione che va qui ribadita – ha in modo unanime insegnato che il principio
discendente dalla sentenza della CEDU nel caso Scoppola c. Italia, su cui il ricorrente ha basato
la richiesta, si può applicare solo a coloro che abbiano ottenuto il rito abbreviato nel periodo di
vigenza della L. n. 479/99,

perché solo in quel caso (che, dunque, non può essere

generalizzato) l’intervenuta modifica legislativa, con l’introduzione del decreto legge n.

contraddittorietà ed illogicità della motivazione.

341/2000, ebbe a creare un irragionevole pregiudizio a carico dell’imputato (sul punto,
assolutamente pacifico, cfr. Rv. 254524, 254212, 254096, 251857, 253093, 252211 etc.).
Va, ancora, ricordato come sui temi in questione, oggetto della precedente decisione,
siano già intervenute due fondamentali pronunce delle Sezioni Unite di questa Corte di
Cassazione, entrambe rese in data 19.4.2012, la n. 34233, in proc. Giannone (sentenza dep. il
7.9.2012) e la n. 34472 in proc. Ercolano (ordinanza di rimessione della questione di
legittimità costituzionale degli artt. 7 e 8 D.L. n. 341/2000, dep. il 10.9.2012), provvedimenti

adesione si conforma.
In esse si è affermato, in primo luogo, che, in via generale, “le decisioni della Corte
EDU che evidenziano una situazione di oggettivo contrasto – non correlata in via esclusiva al
caso esaminato – della normativa interna sostanziale con la Convenzione EDU assumono
rilevanza anche nei processi diversi da quello nell’ambito del quale è intervenuta la pronuncia
della predetta Corte” (così la predetta ordinanza Ercolano, massima n. 252933).
In secondo luogo, si è evidenziato, quanto al circoscritto aspetto della determinazione
della pena, che l’articolo 442 c.p.p. deve considerarsi norma di diritto materiale, nei termini già
messi in luce dalla Corte europea nella decisione del caso Scoppola c. Italia (la Corte EDU
aveva, appunto, affermato che l’art. 442, co. 2, c.p.p. costituiva e che l’art. 7 co. 1 D.L. n. 341/2000, nonostante la formulazione, non poteva
considerarsi una norma interpretativa, perché ).
Infine, è stato individuato, quale idoneo strumento di eventuale adeguamento interno,
cui ricorrere al fine di garantire concreta applicazione al principio della legalità della pena
anche nella sua valenza convenzionale, l’incidente di esecuzione disciplinato dall’articolo 670
c.p.p., nell’ambito del quale superare, se del caso, il giudicato.
Tale quadro sistematico – come ora riassunto – è stato convalidato dalla recente
sentenza della Corte Costituzionale n. 210 del 24 luglio 2013 che, pronunciatasi sulla
menzionata questione di legittimità rimessale dalle Sezioni Unite di questa Corte (ordinanza n.
34472/2012 nel caso Ercolano), ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 7, co. 1, D.L. n. 341/2000
(che, con effetto retroattivo, aveva determinato la condanna all’ergastolo di imputati ai quali
era applicabile il precedente testo dell’art. 442, co. 2, c.p.p., in base al quale avrebbero dovuto
essere condannati alla pena di trenta anni di reclusione) per violazione dell’art. 7 della
Convenzione EDU, quale norma interposta rispetto all’art. 117, primo comma, Cost., nella
parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli obblighi
internazionali.

3

che affrontano in modo esaustivo le varie problematiche e alle quali il collegio in convinta

Preso atto che, con la sentenza Scoppola del 17.9.2009, la Corte EDU, mutando il
proprio precedente e consolidato orientamento, ha ritenuto che , e che
tale principio si traduce , il Giudice delle leggi ha individuato nella fattispecie esaminata una violazione del

in data 23.5.2007 deve essere sostituita, previo annullamento senza rinvio dell’ordinanza
impugnata, con quella di anni 30 (trenta) di reclusione.

P.Q.M.

annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata, determinando la pena in anni trenta di
reclusione in sostituzione di quella dell’ergastolo.

Il Presidente

Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2014

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