Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8352 del 27/11/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 8352 Anno 2014
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: MAGI RAFFAELLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CRESCIMONE ROSA N. IL 21/09/1966
avverso l’ordinanza n. 1/2013 TRIBUNALE di CALTANISSETTA, del
19/02/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RAFFAELLO MAGI;
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lette/sentite le conclusioni del PG Dott. A.

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Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 27/11/2013

IN FATTO E IN DIRITTO
1.

In data 11 marzo 2013, il Tribunale di Caltanissetta, quale giudice

dell’esecuzione, rigettava l’istanza proposta nell’interesse di Crescimone Rosa,
tesa ad ottenere, in sede di verifica dell’esistenza e validità del titolo esecutivo

ex art. 670 cod.proc.pen., la declaratoria di nullità dell’ordinanza dichiarativa
della latitanza adottata nel corso del giudizio di merito (il 23.3.2010) ed in via
derivata degli atti successivi.
In premessa il giudice dell’esecuzione evidenzia che l’istanza contestava la

operate, ed in ciò non poteva dedursi alcuna volontà della Crescimone
(appartenente alla etnìa dei ‘camminanti’) di sottrarsi alla esecuzione del
provvedimento cautelare.
Il vizio, in tale prospettiva, si sarebbe esteso alla instaurazione del
contraddittorio, dato che la norma di cui all’art. 165 cod.proc.pen. (basata sulla
dichiarazione di latitanza) non poteva essere, in realtà, applicata.
Il Tribunale, in prima analisi, qualificava l’istanza come inammissibile, essendo in
realtà tesa a far emergere una ipotesi di nullità verificatasi durante il
procedimento di cognizione, estranea pertanto alla materia esecutiva.
Sottolineava che l’istanza non contiene alcuna richiesta di restituzione nel
termine ai sensi dell’art.175 cod.proc.pen. .
In ogni caso, estendeva la sua valutazione al merito della richiesta,
evidenziandone l’infondatezza.
Ciò perchè, nel rievocare i dati di fatto che avevano condotto alla dichiarazione di
latitanza, si rappresentava che pur appartenendo i coniugi Crescimone (Pietro e
Rosa) al gruppo dei ‘camminanti’, avevano conservato la residenza anagrafica in
Siracusa e le ricerche erano state operate in modo approfondito, anche presso
l’abitazione delle figlie e nei possibili luoghi di incontro della città; tali ricerche
erano peraltro avvenute a breve distanza temporale dalla data del commesso
reato e pertanto l’esito negativo poteva dar luogo correttamente alla
considerazione della condotta in termini di volontaria sottrazione alla
esecuzione del provvedimento.

2. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione – a mezzo
del difensore – Crescimone Rosa, articolando due motivi.
Con il primo si deduce violazione di norme processuali ed in particolare dell’art.
670 comma 3 cod.proc.pen. .

2

validità del decreto di latitanza in rapporto alla insufficienza delle ricerche

Ciò perchè ad avviso del ricorrente l’istanza – sia pure nel corpo del testo conteneva la richiesta di restituzione nel termine, in ordine alla quale è stata
omessa ogni statuizione.
Non essendovi stata volontaria sottrazione alla esecuzione del titolo cautelare, la
Crescimone non era – in realtà – a conoscenza del procedimento e da ciò
derivava la fondatezza della richiesta di rimessione in termini.
Con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione sub specie mancanza o
manifesta illogicità della stessa.

riferimento alla qualificazione dell’istanza originaria come corredata da richiesta
di restituzione nel termine e ci si duole della omessa motivazione sul punto.

3. Il ricorso va dichiarato inammissibile, per manifesta infondatezza dei motivi
addotti, cui si unisce la non pertinenza tra i motivi e il contenuto dell’originaria
istanza.
In effetti, l’istanza ben è stata considerata dal giudice dell’esecuzione come atto
teso a determinare l’annullamento del titolo esecutivo, rappresentato dalla
decisione irrevocabile di condanna e dal correlato ordine di esecuzione (in virtù
della pretesa nullità del decreto dichiarativo della latitanza).
Tale era, infatti, il contenuto dell’atto di parte e correttamente il giudice di merito
ha sviluppato le sue considerazioni – esatte in diritto – senza estendere l’esame
delle doglianze ad una richiesta di restituzione nei termini non formulata.
Non può pertanto ritenersi sussistente il vizio di omesso esame (primo motivo) o
di omessa motivazione (secondo motivo) per quanto sinora detto.
Per mera completezza, va ricordato che, in rapporto alla questione dedotta
nell’istanza, è condivisibile quanto affermato dal giudice dell’esecuzione. Ed
invero è principio consolidato quello per cui tramite l’incidente di esecuzione non
possono dedursi ipotesi di nullità degli atti processuali, dato che le stesse sono
rilevabili esclusivamente attraverso l’impugnazione dei provvedimenti che
definiscono il grado di giudizio in cui la nullità si sarebbe verificata (già Sez. I
14.1.1992 ric. Maiolo, Sez. I n. 3246 del 25.5.1995, rv 202129, nonchè di
recente Sez. I n. 3370 del 2012).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna della
ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma
di denaro in favore della cassa delle ammende che stimasi equo determinare in
euro 1,000,00.

P.Q.M.

3

Il tema viene sviluppato, con citazione di arresti giurisprudenziali, sempre in

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento di euro 1.000,00 a favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 27 novembre 2013

Il Presidente

Il Consigliere estensore

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