Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8352 del 13/01/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 8352 Anno 2016
Presidente: NAPPI ANIELLO
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:
Halilay Simon, nato in Albania, 1’8/4/1994;
Shota Emiljano, nato a Kruje, il 2/4/1993;
Vila Fabjon, nato in Albania, il 3/11/1992;
Bandoni Davide, nato a La Spezia, il 25/7/1987;

avverso la sentenza del 16/2/2015 della Corte d’appello di Genova;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorellí;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Oscar
Cedrangolo, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata
nei confronti del Vila e limitatamente al reato di cui all’art. 630 c.p. e per il rigetto nel
resto del ricorso del medesimo, nonché dei ricorsi dello Shota e dell’Halilaj e per
l’inammissibilità di quello del Bandoni;
udito per le parti civili l’avv. Silvia Rossi e l’avv. Andrea Corradino, che hanno concluso
chiedendo il rigetto di tutti i ricorsi;

Data Udienza: 13/01/2016

udito per gli imputati gli avv.ti Francesca Aricò, Francesca Angelicchio, Giovanna
Daniele, Pasquale Tonani, che hanno concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi
proposti nell’interesse dei rispettivi assistiti.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Genova ha confermato, anche agli
effetti civili, la condanna pronunziata in giudizio abbreviato di Halilay Simon, Shota

persona e sequestro di persona a scopo di estorsione commessi ai danni di Calevo
Andrea e della madre Podestà Sandra in concorso con Destri Pier Luigi e Shota Lorenc
nei confronti dei quali si è proceduto separatamente. In parziale riforma della pronunzia
di primo grado la Corte territoriale ha invece assolto il Bandoni dai reati di ricettazione
e detenzione di arma comune da sparo per non aver commesso il fatto e ha dichiarato
non doversi procedere nei confronti dello stesso, del Vila e dello Shota per quello di
violazione di domicilio rilevando il difetto della necessaria querela.
2. Avverso la sentenza ricorrono tutti i sunnominati imputati a mezzo dei rispettivi
difensori.
2.1 II ricorso proposto nell’interesse del Vila articola due motivi. Con il primo deduce il
mancato riconoscimento della desistenza volontaria ai sensi del terzo comma dell’art.
56 c.p., rilevando l’erroneità dell’interpretazione di tale disposizione accolta dalla Corte
territoriale per cui l’imputato avrebbe potuto beneficiare dell’esimente solo se avesse
annullato gli effetti del contributo prestato alla consumazione dei reati contestatigli
prima dell’intervenuta desistenza e avesse denunziato la perpetrazione di quello di
sequestro di persona a scopo di estorsione. Non di meno la motivazione della sentenza
sarebbe

contraddittoria

nell’affermazione

dell’effettiva

causalità

dell’apporto

concorsuale del Vila, il cui compito nella pianificazione ed esecuzione dei crimini
contestati non sarebbe possibile chiarire per stessa ammissione dei giudici dell’appello.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta ulteriore errata applicazione della legge
penale in relazione alla disposta espulsione dell’imputato ai sensi dell’art. 235 c.p. in
difetto del presupposto della sua pericolosità, ritenuta senza procedere alla valutazione
del comportamento tenuto dal Vila successivamente alla consumazione dei reati.
2.2 II ricorso proposto nell’interesse del Bandoni articola quattro motivi.
2.2.1 Con il primo deduce violazione di legge e vizi della motivazione in merito al
ritenuto concorso anomalo dell’imputato nei reati di rapina e di sequestro della madre
del Calevo di cui al capo A). In proposito rileva il ricorrente come la decisione dei
giudici di merito sia fondata su argomentazioni solo asseritamente logiche, ma prive in
realtà di alcuna base fattuale e che sarebbero anzi contraddette dalle risultanze
processuali, convergenti nel rivelare come il piano programmato anche dal Bandoni

Emiljano, Vila Fabjon e Bandoni Davide per i reati di rapina aggravata, sequestro di

prevedesse esclusivamente il sequestro del menzionato Calevo. Sequestro che doveva
essere eseguito all’esterno dell’abitazione, come rivelano le concordi dichiarazioni dei
coimputati Vila e Shota e le stesse modalità dei pregressi tentativi effettuati e poi
abortiti, talchè la scelta di entrare nella casa – dove vennero per l’appunto consumati i
reati di cui al capo A) – dopo aver già immobilizzato la vittima sarebbe all’evidenza da
imputarsi ad una scelta estemporanea degli esecutori materiali, come del resto
comprovato dalla confusa e rischiosa dinamica di tale ultima azione. Non di meno la
Corte territoriale non avrebbe individuato il contributo causale apportato dall’imputato

verrebbero in soccorso le dichiarazioni dello stesso Calveo, il quale ha testimoniato
sulle continue richieste dell’imputato di sapere cosa fosse stato rubato nella casa,
nonchè quelle dello Shota. Per converso, alcuna smentita giungerebbe
dall’intercettazione ambientale menzionata dalla sentenza, che, in definitiva, avrebbe
fatto mal governo del principio di frazionabilità delle dichiarazioni provenienti dai
coimputati.
2.2.2 Con il secondo motivo il ricorrente lamenta errata applicazione della legge penale
e correlati vizi della motivazione in ordine al mancato riconoscimento dell’invocata
attenuante di cui all’art. 114 comma 3 c.p., rilevando in proposito come le condizioni di
assoggettamento cui fa riferimento la previsione normativa in questione possono
discendere da qualsiasi tipo di relazione e come la Corte territoriale abbia trascurato le
risultanze processuali convergenti nell’evidenziare lo stato di soggezione psicologica
dell’imputato nei confronti del nonno (il coimputato Destri). Inconferenti sarebbero poi
le argomentazioni dispiegate dai giudici dell’appello per giustificare il diniego
dell’attenuante, giacchè l’eventuale autonomia manifestata dal Bandoni – peraltro di
nascosto dal Destri – nell’espletare il suo compito di “carceriere” dell’ostaggio nulla
avrebbe a che vedere con la configurabilità della citata attenuante, la quale attiene alla
determinazione del concorrente a commettere il reato e dunque alla fase dell’eziogenesi
della sua condotta.
2.2.3 Con il terzo motivo ulteriori vizi della motivazione vengono denunziati in merito
alla modulazione in misura inferiore al massimo edittale della diminuzione della pena in
conseguenza del riconoscimento delle attenuanti generiche, profilo sollevato con il
gravame di merito e non affrontato dalla sentenza impugnata, nonostante la stessa
abbia provveduto ad assolvere o prosciogliere l’imputato per alcuni dei reati per cui
aveva riportato condanna in primo grado.
2.2.4 Con il quarto ed ultimo motivo il ricorrente deduce infine errata applicazione della
legge penale e correlati vizi della motivazione in merito alla disposta confisca ex art.
12-sexies I. n. 356/1992. Con i motivi d’appello la difesa aveva sul punto lamentato
l’apoditticità della giustificazione con la quale in prime cure era stata sostenuta tale
decisione, rilievo al quale la Corte territoriale si sarebbe limitata ad opporre

ai reati di cui si tratta, mentre, a riscontro della versione fornita dal ricorrente,

l’obbligatorietà della misura ablativa senza dimostrare né la sproporzione del valore dei
beni confiscati rispetto alla situazione reddituale del Destri, né la fittizietà
dell’intestazione dei medesimi all’imputato.
2.3 Il ricorso proposto nell’interesse dello Shota articola due motivi. Con il primo
deduce errata applicazione della legge penale e vizi della motivazione in ordine alla
sussistenza in capo all’imputato del dolo specifico tipico del reato di cui all’art. 630 c.p.,
prospettando dunque l’errata qualificazione giuridica del fatto. In proposito il ricorrente
evidenzia come le risultanze processuali (e segnatamente le dichiarazioni dello stesso

l’imputato non fosse a conoscenza del disegno del Destri di chiedere un riscatto per la
liberazione del Calevo, ma avesse sequestrato quest’ultimo per accompagnarlo dallo
stesso Destri perché doveva “fargli firmare un foglio”. Analoghi vizi vengono denunziati
con il secondo motivo, con il quale sostanzialmente si lamenta il difetto di motivazione
sulla richiesta di riconoscimento dell’attenuante di cui al secondo comma dell’art. 116
c.p. articolata con il gravame di merito.
2.4 II ricorso proposto nell’interesse dell’Halilaj articola quattro motivi.
2.4.1 Con il primo deduce violazione di legge in ordine alla valutazione del compendio
probatorio di riferimento, lamentando sostanzialmente l’ingiustificata svalutazione delle
dichiarazioni rese da Shota Emiliano e Shota Lorenc, nonostante l’indubbio valore di
prove a discarico delle medesime. In maniera illogica poi la Corte territoriale avrebbe
ritenuto che il giro in macchina del 9 dicembre – cui pure partecipò l’Halilaj – fosse un
sopralluogo, atteso che a quelli effettivamente qualificati come tali dagli stessi imputati
ed effettuati nei giorni successivi il ricorrente non prese parte. Ancora la sentenza
attribuisce all’imputato un ruolo direttivo nel corso della rapina che, non solo non trova
riscontro oggettivo negli atti processuali, ma che è altresì smentito dalle non
considerate dichiarazioni della persona offesa. Parimenti illogico sarebbe poi trarre
argomenti sul punto dal fatto che l’Halilaj, nella fuga, avesse preso posto sul sedile
anteriore della vettura. Infine mero valore indiziario assume il contatto telefonico tra
l’imputato e il Destri registrato nei tabulati il 14 dicembre, atteso che si tratta di
comunicazione assai breve e di cui non è noto il contenuto.
2.4.2 Con il secondo motivo il ricorrente deduce vizi della motivazione in ordine alla
svalutazione a p. 14 della sentenza del contributo collaborativo offerto nel processo,
posto che in precedenza gli stessi giudici dell’appello avevano invece
contraddittoriamente riconosciuto come proprio grazie alle dichiarazioni dell’Halilaj
fosse stato possibile identificare lo Shota Lorenc come uno degli esecutori materiali
della rapina e del sequestro. Con il terzo motivo vengono proposte le medesime
doglianze in merito alla sussistenza del dolo specifico del reato di cui all’art. 630 c.p.
già esaminate trattando del primo motivo del ricorso dello Shota, mentre con il quarto
il ricorrente lamenta errata applicazione della legge penale e difetto di motivazione in

Shota, nonché quelle dei coimputati Vila e Bandoni) convergano nell’evidenziare come

ordine al mancato riconoscimento dell’ipotesi di concorso anomalo ai sensi dell’art. 116
c.p.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono infondati e per certi versi inammissibili.
2. Pregiudiziale è l’esame del primo motivo del ricorso dello Shota e del terzo di quello
dell’Halilaj, che sono peraltro inammissibili.

imputati fossero consapevoli dell’intenzione del Destri di chiedere un riscatto in danaro
per la liberazione dell’ostaggio, ma ha altresì evidenziato che, anche qualora volesse
escludersi tale eventualità, comunque essi dovrebbero rispondere del concorso nel
reato di cui all’art. 630 c.p., posto che, come rivendicato anche nei ricorsi, essi avevano
sequestrato il Calevo su indicazione del coimputato al fine di consentirgli di ottenere
dalla vittima “la firma su un foglio”.
2.2 Va allora ricordato come, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, ai
fini della sussistenza del reato contestato, l’ingiusto profitto cui deve essere finalizzata
l’azione dell’agente può identificarsi in qualsiasi utilità, anche di natura non
patrimoniale, che costituisca un vantaggio per il soggetto attivo del reato o per il terzo
nel cui interesse egli abbia agito (ex multis e tra le più recenti Sez. 5, n. 21579 del 8
aprile 2015, B. e altri, Rv. 263678; Sez. 2, n. 20032 del 5 maggio 2015, Mastrodonato,
Rv. 263536). E’ dunque indiscutibile che, anche accedendo alla prospettazione
difensiva, la condotta ascrivibile agli imputati integra comunque il delitto ascritto,
avendo gli stessi in ogni caso agito con il dolo specifico richiesto per la sua
configurabilità, rimanendo irrilevante, sotto il profilo della qualificazione giuridica del
fatto che lo scopo perseguito, ancorchè comunque tipico, non fosse eventualmente lo
stesso per tutti i correi.
2.3 Irrilevanti risultano conseguentemente le obiezioni dei ricorrenti sulla tenuta della
motivazione dispiegata dai giudici dell’appello per sostenere altresì la tesi della
consapevolezza da parte degli imputati della vera natura del riscatto che il Destri era
intenzionato a richiedere per la liberazione dell’ostaggio, giacchè anche laddove fondate
comunque non sarebbero sufficienti a minare la tenuta argonientativa della sentenza.
Ed anzi in tal senso i motivi di ricorso di cui si tratta si rivelano generici nella misura in
cui non si confrontano compiutamente con il suddetto impianto argomentativo. Va
infatti ricordato come sia inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso per
cassazione che si limiti alla critica di una sola delle

rationes decidendi poste a

fondamento della decisione, ove siano entrambe autonome ed autosufficienti, come nel
caso di specie (ex multis Sez. 3, n. 30021 del 14 luglio 2011, F., Rv. 250972).

2.1 La Corte territoriale non si è infatti limitata a sostenere che sin dall’inizio i due

2.4 Manifestamente infondate sono a questo punto le censure avanzate dagli stessi
ricorrenti in merito alla configurabilità del concorso anomalo e al riconoscimento
dell’attenuante di cui al secondo comma dell’art. 116 c.p. Ed infatti la corretta
qualificazione delle rispettive condotte come concorso ordinario esclude inevitabilmente
la configurabilità di quello anomalo, né sul punto era necessario che la Corte territoriale
affrontasse espressamente le obiezioni difensive, di per sé incompatibili con la
soluzione fondatamente adottata.
2.5 Esauriti i motivi del ricorso dello Shota, per quanto riguarda quelli residui proposti

è palesemente generico nella misura in cui denunzia una incongruenza della
motivazione della sentenza impugnata senza precisarne il rilievo, omettendo di
specificare quale parte della decisione verrebbe compromessa dalla contraddizione
dedotta. Quanto al primo, invece, le censure del ricorrente rimangono assorbite nella
evidenziata configurabilità del reato di cui all’art. 630 c.p. a prescindere dalla
consapevolezza dell’effettivo disegno criminoso ordito dal Destri, posto che
pacificamente l’imputato ha partecipato al prelievo dell’ostaggio sapendo che questi
doveva essere consegnato al mandante dell’azione cui ha partecipato.

3. Venendo agli altri due ricorsi, infondato e per certi versi inammissibile deve ritenersi
quello del Vila.
3.1 In particolare infondate in diritto sono le obiezioni svolte con il primo motivo di
ricorso relativamente alle condizioni necessarie per il riconoscimento della desistenza
del concorrente nel reato. La Corte territoriale ha correttamente applicato il consolidato
principio per cui, per beneficiare della desistenza volontaria, questi non può limitarsi ad
interrompere la propria azione criminosa, occorrendo, invece, un quid pluris consistente
nell’annullamento del contributo dato alla realizzazione collettiva e nella eliminazione
delle conseguenze dell’azione che fino a quel momento si sono prodotte (ex multis Sez.
1, n. 9284 del 10 gennaio 2014, Losurdo e altri, Rv. 259250). Principio che deve essere
ribadito, atteso che la mancata elisione del contributo realizzato dal concorrente alla
commissione del reato ne lascia intatta l’efficienza causale impedendo il
perfezionamento della fattispecie prevista dal terzo comma dell’art. 56 c.p., la quale
collega l’effetto esimente all’interruzione della consumazione del fatto illecito, talchè
questa non può ritenersi avvenuta qualora il reato venga consumato dagli altri
concorrenti avvalendosi però anche dell’originario apporto prestato da quello
rinunziante. Interpretazione che, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, risulta
perfettamente in linea con il principio di personalità della responsabilità penale, atteso
che omettendo di rimuovere gli effetti della propria volontaria collaborazione,
l’aspirante desistente continua ad essere, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo,

nell’interesse dell’Halilaj deve rilevarsene ancora una volta l’inammissibilità. Il secondo

collegato al fatto illecito, la cui consumazione è, dunque, anche frutto di tale
collaborazione.
3.2 In realtà i giudici dell’appello, pur richiamando i menzionati principi, hanno altresì
escluso possa ritenersi sotto il profilo fattuale che il Vila abbia effettivamente desistito
dall’azione criminosa, evidenziando i numerosi elementi convergenti nel dimostrare la
sua costante adesione al progetto criminoso anche successivamente al sequestro del
Calevo. In tal senso i rilievi del ricorrente finiscono per rivelare un evidente difetto di
specificità, nella misura in cui non si confrontano in maniera compiuta con lo sviluppo

censure relative alla presunta indeterminatezza dell’apporto concorsuale dell’imputato,
atteso che la Corte distrettuale ha ampiamente chiarito come il Vila abbia avuto un
ruolo di primo piano nella fase preparatoria del sequestro, non certo annullato dal fatto
che successivamente il suo ruolo, sotto il profilo della gestione materiale dell’ostaggio,
abbia assunto caratteri più indefiniti, come per l’appunto evidenziato dalla sentenza.
3.3 Manifestamente infondate sono infine le censure mosse con il secondo motivo in
relazione alla disposta espulsione dell’imputato ai sensi dell’art. 235 c.p. Ed infatti la
Corte territoriale ha ampiamente motivato sulla pericolosità dell’imputato facendo
riferimento ai parametri di cui all’art. 133 c.p. ritenuti rilevanti nel caso di specie. Né la
tenuta dell’apparato giustificativo sul punto può ritenersi compromessa dalla mancata
considerazione delle circostanze indicate dall’orientamento giurisprudenziale evocato
dal ricorrente, che si riferisce all’ipotesi – ovviamente non ricorrente nel caso di specie
– in cui il soggetto espulso abbia già espiato in tutto o in parte la pena e dunque sia
necessario valutare anche l’eventuale risocializzazione del medesimo ai fini
dell’affermazione dell’attualità della sua pericolosità. Valutazione questa che dovrà
all’occorrenza essere effettuata al momento in cui la misura di sicurezza verrà
effettivamente eseguita.

4. Infondato e per certi versi inammissibile è anche il ricorso del Bondoni.
4.1 Infondato è in particolare il primo motivo. Nei confronti dell’imputato è stato infatti
ritenuto il concorso anomalo nei reati contestati al capo A). Compito del giudice di
merito non era tanto quello di stabilire se la rapina – e il conseguente sequestro della
Podestà funzionale alla sua esecuzione – fosse o meno stata oggetto del piano
originariamente concordato tra i concorrenti, quanto piuttosto se la sua consumazione
potesse o meno ritenersi sviluppo prevedibile dello stesso anche per coloro, come il
Bondoni, che non hanno partecipato materialmente alla fase esecutiva del rapimento
del Calevo. In tal senso deve allora osservarsi come la Corte territoriale ha sì ritenuto
provato che la rapina rientrasse nel piano originale – peraltro con argomentazioni non
manifestamente illogiche che contengono l’implicita confutazione delle doglianze
difensive avanzate con il gravame di merito – ma ha altresì comunque richiamato la

del discorso giustificativo della decisione. E non meno generiche sono le ulteriori

pronunzia di primo grado, la cui motivazione sul punto si salda a quella della sentenza
impugnata in ordine all’annotazione – che non è stata oggetto di contestazione con i
motivi d’appello – relativa alle dichiarazioni rese dallo stesso ricorrente circa il fatto che
l’ipotesi di entrare nell’abitazione del Calevo e della madre per sottrarre i valori fosse
stata oggetto di discussione in sede di progettazione del sequestro, talchè
correttamente è stata ritenuta prevedibile in concreto la possibilità che gli esecutori
materiali potessero determinarsi a compiere l’azione criminosa in questione.
4.2 Infondato al limite dell’inammissibilità è invece il secondo motivo di ricorso. E’

del coinvolgimento del concorrente nel fatto criminoso, ma rimane indubbio che la
stessa presuppone una soggezione effettiva dello stesso all’agente primario,
richiedendosi cioè una situazione che abbia consentito la realizzazione di specifici reati,
attenuando in concreto, pur senza annullarle, le facoltà di reazione del soggetto
“determinato” (coactus tamen volui)

da parte di quello “determinante”. La Corte

territoriale, pur non mettendo in discussione che il Destri esercitasse una certa
influenza sul nipote, ha ritenuto che la stessa non corrisponda alla situazione tipica
presupposta dal combinato disposto degli artt. 112 e 114 c.p., argomentando anche dal
comportamento tenuto dal Bondoni nel corso dell’esecuzione del reato, ritenuto in
maniera tutt’altro che illogica sintomatico dell’effettivo grado di intensità
dell’ascendente del Destri sull’imputato. Per il resto le doglianze del ricorrente risultano
generiche nell’evocazione di risultanze processuali asseritamente non considerate dai
giudici del merito e comunque devono ritenersi versate in fatto nella misura in cui
propongono una autonoma valutazione soggettivamente orientata del loro significato.
4.3 Infondato al limite dell’inammissibilità è anche il terzo motivo, atteso che
l’assoluzione o il proscioglimento dell’imputato per alcuni dei reati posti in
continuazione con quello ritenuto più grave in relazione alle cui aggravanti quale è
stato effettuato il giudizio di comparazione, non imponeva necessariamente al giudice
dell’appello alcuna revisione di tale giudizio, motivatamente confermato dalla sentenza
impugnata una volta proceduto all’eliminazione degli aumenti di pena originariamente
irrogati per i suddetti reati.
4.4 Inammissibile è infine il quarto motivo. I giudici del merito – in entrambi i gradi di
giudizio – hanno motivatamente ritenuto sussistenti i presupposti dell’intervento
ablativo sulla base della rilevata (e non contestata) situazione reddituale dell’imputato,
motivatamente ritenuta incompatibile con quella patrimoniale. Le obiezioni del
ricorrente si fondano sulla asserita provenienza della provvista necessaria all’acquisto
dei beni confiscati dal Destri, circostanza che solo genericamente viene prospettata
senza la necessaria indicazione degli atti processuali che ne comproverebbero
l’effettività e che sarebbero stati trascurati dal provvedimento impugnato.

corretta l’osservazione del ricorrente per cui l’attenuante attiene al momento genetico

5. I ricorsi vanno in definitiva rigettati ed i ricorrenti condannati al pagamento delle
spese processuali, nonché alla refusione di quelle sostenute nel grado dalle parti civili
Podestà e Calevo, che si liquidano per ciascuna di esse in complessivi euro 2.000 oltre
accessori di legge.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti alle spese processuali, nonché al rimborso delle

accessori di legge.
Così deciso il 13/1/2016

spese in favore delle parti civili, liquidate in complessivi euro 2.000 per ciascuna oltre

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