Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8350 del 27/11/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 8350 Anno 2014
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: MAGI RAFFAELLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GADDONE SEBASTIANO N. IL 06/11/1971
avverso l’ordinanza n. 9/2013 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di
SASSARI, del 21/02/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RAFFAELLO MAGI;
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Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 27/11/2013

IN FATTO E IN DIRITTO
1. In data 15 marzo 2013 la Corte d’Appello di Cagliari – Sezione Distaccata di
Sassari, quale giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza proposta nell’interesse
di Gaddone Sebastiano, tesa ad ottenere in sede esecutiva la riduzione di pena
prevista per il giudizio abbreviato dall’art. 442 comma 2 cod.proc.pen. nonchè
altre conseguenti statuizioni.
L’istanza risulta correlata al fatto che il Gaddone, condannato con sentenza di
primo grado emessa a seguito di giudizio ordinario in data 9 aprile 1999 (per

continuazione), confermata in appello il 20 aprile 2000 (con modifiche relative
alla entità della pena, determinata in anni 24) e divenuta irrevocabile il 10
maggio 2001, aveva formulato già in sede di udienza preliminare tenutasi il 3
marzo 1997 istanza di ammissione al rito abbreviato, su cui – data la normativa
vigente all’epoca – non era intervenuto il necessario consenso da parte del
pubblico ministero.
La mancata celebrazione del rito alternativo aveva in tal modo determinato la
sfavorevole conseguenza di una commisurazione della pena più elevata, all’esito
del giudizio ordinario.
Tale effetto, nell’ottica dell’istante, si pone in contrasto con il principio di
retroattività della norma penale più favorevole (nel caso di specie la disciplina
intrdotta con legge n.479 del 16.12.1999 che ha eliminato taluni presupposti di
accesso al rito) anche nell’ipotesi in cui l’aspetto innovativo della disciplina
riguardi esclusivamente il trattamento sanzionatorio.
In tal senso si ritiene, da parte dell’istante, applicabile al caso in esame il
principio di recente affermato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nella nota
decisione 17 settembre 2009 nel caso Scoppola contro Italia.
La Corte d’Appello, nel rigettare l’istanza, afferma in sintesi che :
– nel giudizio di merito svoltosi nei confronti del Gaddone era stata sollecitata la
verifica della fondatezza del diniego alla instaurazione del rito abbreviato posto
dal pubblico ministero e il Tribunale (con valutazione confermata nei gradi
successivi) aveva ritenuto legittimo tale diniego non essendo il processo
decidibile allo stato degli atti;
– la legge n.479 del 1999, modificatrice dei presupposti di accesso al rito, era
entrata in vigore solo dopo la decisione di primo grado ;
– la decisione Cedu nel caso Scoppola si riferiva a situazione radicalmente
diversa, occupandosi del caso in cui il giudizio abbreviato era stato
effettivamente celebrato e l’imputato, in virtù della norma allora applicata, era

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sequestro di persona a scopo di esorsione ed altri reati minori posti in

stato condannato alla pena dell’ergastolo in luogo della pena di 30 anni di
reclusione prevista dalla disciplina esistente all’atto della richiesta.
Ciò posto, la Corte afferma che le due situazioni prese in esame (effettiva
celebrazione del rito abbreviato nel caso Scoppola / omessa celebrazione del rito
abbreviato nel caso del Gaddone) non possono essere, in virtù di detta
essenziale diversità, trattate in modo analogo. La mancata celebrazione del rito
abbreviato, nel caso del Gaddone, è infatti dipesa dalla norma processuale che
regolamenta le condizioni di accesso al rito, l’art. 438 cod.proc.pen. e le

processuale, alcuna conseguenza in punto di entità della sanzione.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione – a mezzo del
difensore – Gaddone Sebastiano, articolando due motivi.
Con il primo si deduce erronea applicazione della legge penale e delle altre
disposizioni – anche di rango costituzionale – coinvolte nella interpretazione
dell’istanza.
Si lamenta, in sintesi, l’erroneità della scelta interpretativa adottata posto che le
due norme dell’art. 438 e 442 cod.proc.pen. vanno tra loro correlate e vanno
ritenute, data l’obiettiva incidenza sull’entità della sanzione, norme di carattere
penale e non processuale.
Da ciò la necessità di assicurare al Gaddone – soggetto che aveva manifestato la
volontà di accedere al rito abbreviato (ed alla correlata diminuzione di pena) già
nella vigenza della precedente disciplina – il trattamento più favorevole derivante
dalla modifica normativa dei presupposti di accesso al rito operati con legge 479
del dicembre 1999.
Il ricorrente non nega la diversità tra il caso Scoppola (giudizio abbreviato
celebrato) e quello oggetto del ricorso (giudizio abbreviato richiesto ma non
celebrato in virtù del diniego opposto dal pubblico ministero) ma evidenzia che
alla base della decisione della Cedu vi sarebbe – in ogni caso – il riconoscimento
della natura sostanziale della disciplina di cui all’art. 442 cod.proc.pen., sì da
determinare il diritto alla applicazione della disciplina sopravvenuta più
favorevole, con diritto alla modifica del giudicato, anche ai sensi degli artt. 3, 24,
117 della Costituzione e 7 della Convenzione Europea .
Il mancato accesso al rito è infatti dipeso dalla conformazione normativa
dell’epoca, superata da norma intervenuta a processo ancora in corso ma non
ritenuta applicabile in virtù della fase (successiva alla decisione di primo grado);
con la discipina successiva il rito sarebbe stato celebrato su mera espressione
della volontà dell’imputato e da ciò sarebbe derivata la diminuzione della pena
pari ad un terzo, così come previsto dall’art. 442 cod.proc.pen. .
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modifiche di tale norma non possono comportare, data la sua natura

Ingiustificata, pertanto, la decisione della Corte d’Appello di escludere
l’estensione del beneficio al Gaddone, operata sulla base di una scorretta
considerazione della valenza solo processuale della disposizione di legge
rappresentata dall’art. 438 cod.proc.pen. .
In ogni caso si evidenzia che la disciplina transitoria di cui alla legge n.144 del
2000 non prevedeva la possibilità di formulare l’istanza di rito abbreviato, sulla
base delle nuove norme, lì dove il processo – come nel caso del Gaddone – si
trovasse nella fase di legittimità, e si formula dubbio di costituzionalità sul punto.

riproponendo da diversa prospettiva i medesimi argomenti.
La Corte d’Appello non avrebbe congruamente esplicitato le ragioni tese a negare
l’applicazione in fase esecutiva della diminuente, limitandosi ad indicare la natura
processuale della norma di cui all’art. 438 cod.pen. .

3. Il ricorso va dichiarato inammissibile per la manifesta infondatezza dei motivi
addotti.
La condizione processuale di Gaddone Sebastiano, nel caso qui trattato, è
profondamente diversa – come evidenziato nel provvedimento impugnato – da
quella oggetto di considerazione nella decisione CEDU nel caso Scoppola/Italia.
Va anzitutto precisato, infatti, che il Gaddone è stato tratto a giudizio per reati
che non prevedevano, in astratto, la pena dell’ergastolo e che erano pertanto
oggetto di possibile richiesta di definizione con il giudizio abbreviato ai sensi
dell’allora vigente disciplina.
Non vi è pertanto, per quanto riguarda la posizione dell’odierno ricorrente alcuna
introduzione, con la legge n.479 del 16.12.1999, di una opzione aggiuntiva di
accesso al rito (la legge in questione reintroduce, invero, la possibilità di
celebrazione del rito abbreviato in relazione ai reati punibili con l’ergastolo, che
era stata eliminata dal quadro processuale, per eccesso di delega, dalla decisione
numero 176 del 22.4.1991 della Corte Costituzionale) ma esclusivamente la
rimodulazione dei presupposti di accoglimento dell’istanza (attraverso la
eliminazione della condizione di ‘decidibilità’ allo stato degli atti e dei suoi
corollari) .
Il giudizio di primo grado nei confronti del ricorrente è stato definito nel mese di
aprile dell’anno 1999 in modo ordinario, per le ragioni già esposte in parte
narrativa (diniego del pubblico ministero motivato in relazione alla non
decidibilità allo stato degli atti, peraltro confermato nei diversi gradi di giudizio).
Va ricordato, sul punto, che a seguito della entrata in vigore della legge n.479
del 16.12.1999 (cd. legge Carotti) venne introdotta con decreto legge del 7

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Con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione dell’impugnata ordinanza,

aprile 2000 n.82 (convertito in legge 5 giugno 2000 n.144) una apposita
disciplina transitoria.
Detta disciplina consentiva di operare la richiesta di giudizio abbreviato,
avvalendosi delle nuove disposizioni, nei processi di primo grado lì dove non
fosse ancora iniziata l’istruzione dibattimentale alla data del 5 giugno 2000, per i
reati diversi da quelli puniti con la massima pena dell’ergastolo, in ciò derogando
al generale criterio tempus regit actum in senso più favorevole ai potenziali
richiedenti .

termine in questione era ulteriormente posposto alla prima udienza
dibattimentale successiva al 5 giugno 2000, sempre che fosse ancora in corso
l’istruzione dibattimentale o, in fase di appello, lì dove fosse stata disposta la
rinnovazione dell’istruzione.
Nel caso del Gaddone (come si è detto, tratto a giudizio per reati non punibili con
l’ergastolo) è evidente pertanto che l’avvenuta definizione del processo di primo
grado in data 9 aprile 1999 era del tutto preclusiva alla riproposizione, secondo
la nuova disciplina (comprensiva di norma regolatrice e disciplina transitoria),
dell’istanza di accesso al rito abbreviato.
L’ introduzione di una disciplina transitoria, all’epoca, era correlata alla necessità
di favorire l’accesso al rito abbreviato – in funzione deflattiva – lì dove lo stato del
procedimento di primo grado (istruzione non iniziata al? 5 giugno 2000) fosse
tale da giustificare l’utilità della celebrazione del rito, posto che nella nuova
conformazione dell’istituto la diminuzione di pena è strettamente dipendente da
ragioni di economia processuale (obiettiva proiezione del principio di ragionevole
durata del processo) e non rappresenta esclusivamente un «premio» per la
condotta del richiedente.
In tal senso, non può ipotizzarsi alcuna irragionevolezza della norma transitoria

de qua, dato che il risvolto di carattere sostanziale (riduzione di pena, in caso di
condanna) è funzionale alla effettiva celebrazione del rito e non già a forme di
sindacato ex post circa la ricorrenza del presupposto della decibilità allo stato
degli atti (si veda sul punto Corte Cost. n.169 del 2003 in tema di conseguenze
del diniego dell’istanza del rito abbreviato condizionato).
Da ciò deriva che nessuna violazione di norme di rango superiore alla legge
ordinaria può dirsi avvenuta per tutti i casi – come quello qui in esame – in cui il
giudizio abbreviato, pur oggetto di richiesta, non è stato celebrato per la
riscontrata assenza dei presupposti all’epoca descritti dall’art. 438 cod.proc.pen.
(consistenti nel consenso del pubblico ministero e nella decibilità allo stato degli
atti).

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Per i soli reati puniti con l’ergastolo, data la nuova introduzione della facoltà, il

E ciò non soltanto perchè la norma regolatrice delle condizioni di accesso al rito
è, in modo del tutto evidente, norma processuale, che proietta sullo svolgimento
del procedimento opzioni legislative che ineriscono ai tempi e ai modi di esercizio
di facoltà strettamente processuali, ma anche perchè la nuova disciplina – come
si è detto – è orientata in senso univoco a rendere inscindibile il binomio
celebrazione effettiva del rito/effetto premiale riduttivo della sanzione.
Dunque il ricorso del Gaddone – e ancor prima l’istanza – ipotizzano un effetto
non solo contrario ai contenuti della disciplina transitoria all’epoca introdotta (e

corso del procedimento e non già in fase esecutiva) ma agli stessi contenuti della
nuova disciplina del rito post 1999, slegando – in ipotesi – l’effetto premiale (che
viene richiesto in fase esecutiva) dalla effettiva celebrazione dell’abbreviato.
Inconferente, dunque, il richiamo alle note conseguenze della decisione nel caso
Scoppola, ove si discuteva di un giudizio abbreviato realmente celebrato sulla
base di una legittima aspettativa del richiedente di ottenere, in luogo
dell’ergastolo, la pena di trenta anni di reclusione prevista dalla originaria
versione dell’art. 442 codice di rito come modificato dall’art.30 della legge n.479
del 1999, norma vigente all’atto della richiesta.
In tal caso, infatti, la Corte Europea ha ritenuto, in modo del tutto condivisibile,

ritenuta immune da vizi di costituzionalità, che andavano al più sollevati nel

di tutelare detta «aspettativa» a fronte di una modifica in senso peggiorativo, 1 211
operata in tale particolare ambito con il di. n. 341 del 24.11.2000 (che ha
reintrodotto la sanzione dell’ergastolo in sede di abbreviato nell’ipotesi di
commisurazione della pena includente l’isolamento diurno), ma tale decisione,
come già ribadito in diversi arresti (da ultimo Sez. I n. 20933 del 4.12.2012, rv
255388) non può estendersi – data la peculiare sequenza normativa che ne
rappresenta la premessa storica – ai casi di diniego alla celebrazione del rito
abbreviato regolati dalle norme processuali succedutesi nel tempo.
Nel caso Scoppola, infatti, ad essere tutelata dalle norme convenzionali in tema
di giusto processo (art. 6 Con. Eur.) è la legittima aspettativa del richiedente, a
fronte della rinunzia a più ampie garanzie processuali, ad ottenere «quel»
trattamento sanzionatorio previsto dalla

lex mitior vigente al momento

dell’istanza, previsione ritenuta quale componente essenziale della scelta,
mentre nell’ipotesi qui coltivata ci si duole, a ben vedere, della mancata
possibilità di usufruire, nel corso del procedimento, di una legge processuale
successiva rispetto a quella vigente al momento della formulazione dell’istanza,
fatto su cui l’imputato non poteva assolutamente fare affidamento alcuno.
Le possibili opzioni circa la fruibilità di norme processuali che ampliano delle
facoltà, successive all’atto regolato, sono, infatti, legittimamente modulate dal
legislatore (anche in ossequio al generale criterio di cui 11 delle cd. preleggi e

con il solo limite della irragionevolezza) legislatore che, nel caso di specie, ha
emanato una apposita disciplina transitoria che non appare affetta da
denunziabili disparità di trattamento (si veda, in termini generali, Sez. U. n.
27614 del 12.7.2007, nonchè sul tema specifico, quanto di recente precisato
dalla Corte Costituzionale con la decisione n.235 del 2013 con cui è stata
dichiarata inammissibile una questione sulla disciplina transitoria de qua) per
quanto sinora considerato.
La stessa CEDU, peraltro, ha dichiarato insussistente la violazione delle norme in

decisione (caso Morabito contro Italia, deciso il 27 aprile 2010) avente ad
oggetto proprio la qui descritta disciplina transitoria in tema di facoltà di accesso
al rito abbreviato adottata con il d.l. 82 del 2000, affermandone la natura
processuale, il che ulteriormente esclude la fondatezza delle doglianze.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma
di denaro in favore della cassa delle ammende che stimasi equo determinare in
euro 1,000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento di euro 1.000,00 a favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 27 novembre 2013

tema di giusto processo e di irretroattività delle norme penali in una successiva

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