Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8337 del 13/07/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 8337 Anno 2016
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: PEZZULLO ROSA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LA GRECA CARMELA N. IL 19/06/1950
RIZZO PAOLO N. IL 21/12/1937
avverso la sentenza n. 3/2013 TRIBUNALE di AGRIGENTO, del
12/03/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/07/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ROSA PEZZULLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile I’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 13/07/2015

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, dott.
Enrico Delehaye, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 12.3.2014 il Tribunale di Agrigento confermava la
sentenza del Giudice di Pace di Ravanusa del 6.3.2013 con la quale La Greca
Carmela e Rizzo Paolo erano stati condannati rispettivamente alla pena di C
250,00 e di C 350,00, ed al risarcimento danni in favore delle parti civili, per il
reato di minaccia in danno di Rizzo Carmelo e Dì Natala Carmela proferendo le

di Di Natale Carmela proferendo le parole “buttana”, “rignusa”.
2.Avverso tale sentenza entrambi gli imputati hanno proposto ricorso per
cassazione, a mezzo del loro difensore, lamentando, La Greca Carmela:
2.1. la nullità del processo e violazione del diritto di difesa, atteso che nel corso
delle udienze innanzi al Giudice di Pace la difesa chiedeva l’esame dell’imputata,
richiesta che veniva accolta; all’udienza del 06/02/2013, la difesa, dopo avere
sentito í vari testimoni, chiedeva un rinvio al fine di potere sentire l’ imputata,
ma il Giudice decideva, senza giustificato motivo, di rigettare detta richiesta,
chiudeva l’istruttoria dibattimentale e rinviava all’udienza del 06/03/2013 per la
discussione; a tale udienza si presentava l’imputata e, preliminarmente, veniva
richiesto al Giudice, ai sensi dell’art. 420 quater 3 0 comma c.p.p, di revocare la
contumacia e sottoporre l’imputata a interrogatorio e ad esame, ma veniva
consentito alla stessa, ai sensi dell’art.494 c.p.p., solo di rendere le proprie
dichiarazioni, non permettendogli l’esame previsto dalla legge; pertanto, si è
verificato la violazione del diritto di difesa dell’imputata, con conseguente nullità
del processo;
entrambi gli imputati, La Greca e Rizzo:
-i vizi di cui all’art. 606, primo comma, lett. b), c) ed e) c.p.p. per violazione
degli artt. 5, 40, 42,47, 81, 110 e 644 c.p., atteso che il Giudice di Pace ed il
Tribunale di Agrigento hanno condannato gli imputati dando rilevanza solo ed
esclusivamente alle dichiarazioni rese dalle parti offese, Rizzo Carmelo e Di
Natale Carmela, non tenendo conto delle incongruenze logiche su cui dette
testimonianze si sono basate, e della non coincidenza di dette testimonianze con
quella resa, invece, dalla teste La Mendola, estranea alle parti; le dichiarazioni
accusatorie rese dalle parti offese costituite parte civile, possono reggere da sole
le accuse, a patto, però, che il Giudice le sottoponga nel giudizio di merito ad un
rigoroso controllo di attendibilità, potendo rendere opportuno procedere al
riscontro con altri elementi diversi dalla testimonianza delle dette parti offese; in
realtà le testimonianze delle p.o., confrontate con gli stessi fatti raccontati in
querela e i troppi “non so” riferiti durante l’interrogatorio, rendono poco
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espressioni “vi sparo in bocca a tutti e due”, “vi ammazzo” e di ingiurie in danno

attendibili le dette dichiarazioni, soprattutto se poi le stesse si confrontano con la
testimonianza della La Mendola, la quale ha riferito che quel pomeriggio vide gli
imputati, ma solo da lontano, e dopo essere rientrata in casa, sentiva delle grida,
ma era una delle solite liti che avvenivano tra i familiari e che le voci udite erano
di 4 persone e cioè sia degli imputati che delle parti offese; tale testimonianza,
indifferente, dà conto del fatto che le parti offese hanno senz’altro mentito,
perché non risulta vera la circostanza secondo la quale, la Di Natali, la La Greca
e la La Mendola abbiano discusso; l’unica cosa vera è che le parti hanno litigato,

provato, essendo troppi i dubbi e le circostanze non chiare e smentite per
arrivare ad una condanna come effettivamente è accaduto; il giudice d’appello
non ha tenuto conto delle dichiarazioni spontanee rese dall’imputata La Greca, la
quale ha dichiarato che il terreno oggetto di causa è stato sempre in possesso
degli imputati, che in detto terreno è presente un magazzino la cui chiave è in
loro possesso del figlio, Rizzo Carmelo, e che quel giorno trovato il lucchetto di
detto magazzino aperto, avvedendosi che all’interno mancavano diverse cose,
chiedevano spiegazioni ai loro familiari, che nel frattempo si affacciavano al
balcone, sicchè sorgeva una discussione perché i coniugi Rizzo-Di Natali
adducevano delle scuse non credibili; Rizzo Carmelo, quindi, invitava i propri
genitori ad andare via dal suo terreno, ma essi rispondevano che il terreno era
loro e che nessun altro doveva mettervi piede per cui ognuno tornava a casa
sua;
– i vizi di cui all’art. 606, primo comma, lett. b) ed e) c.p.p., per violazione di
legge e motivazione illogica in merito alla ritenuta efficacia ingiuriosa delle
espressioni adoperate; invero, i giudici di merito hanno ritenuto che l’espressione
pronunciata nei confronti della parte civile avesse contenuto offensivo,
equivalendo essa, in sostanza, ad una manifestazione della volontà del ricorrente
di offendere l’onore o il decoro della parte offesa, ma la volgarità dei termini peraltro mai pronunciate dalla La Greca, condannata per un presunto “concorso
morale, non ha determinato la lesione del bene protetto dalla fattispecie di cui
all’articolo 594 cod.pen., traducendosi solo in una manifestazione di
maleducazione; tale approdo interpretativo appare assolutamente conforme alla
elaborazione della giurisprudenza di legittimità al riguardo, secondo la quale, in
tema di tutela penale dell’onore, la valenza offensiva di una determinata
espressione, per essere tale deve essere riferita al contesto nel quale è stata
pronunciata per cui può ben dirsi, conclusivamente, che i criteri cui fare
riferimento ai fini della configurabilità del reato di cui all’articolo 594 cod.pen.,
sono da individuare, sia nel contenuto della frase pronunziata, che nel significato
che le parole hanno nel linguaggio comune, pre dendo dalle intenzioni

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ma che si sia degenerato con minacce e ingiurie, questo non è stato certamente

inespresse dell’offensore, come pure dalle sensazioni puramente soggettive che
la frase può aver provocato nell’offeso, sia nelle concrete circostanze in cui la
frase viene pronunziata; è innegabile che l’evoluzione del costume e la
progressiva decadenza del lessico adoperato dai consociati nei rapporti
interpersonali ha reso alcune espressioni molto volgari di uso sempre più
frequente, soprattutto negli strati della popolazione di più bassa, estrazione
socio-culturale, attenuandone fortemente la portata offensiva, con riferimento
alla sensibilità dell’uomo medio; le presunte espressioni, che in questo caso,

imputata, devono, in conclusione, interpretarsi come manifestazione scomposta
di fastidio piuttosto che di un ingiustificato attacco all’onore.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili r siccome manifestamente infondati.
1.Ed invero, la doglianza dell’imputata La Greca -circa la nullità del processo
per violazione del diritto di difesa, per non essere stata sottoposta ad esame,
essendole stato consentito solo di rendere dichiarazioni spontanee, ai sensi
dell’art. 494 c.p.p.- è con evidenza infondata, atteso che, come si evince dalla
sentenza impugnata, all’udienza fissata per l’esame, l’imputata non compariva,
sicchè in quella sede, il giudice, preso atto di tanto, dichiarava chiusa
l’istruttoria, rinviando per la discussione all’udienza del 6.3.2013 e in tale
udienza l’imputata, comparsa, veniva ammessa a rendere solo dichiarazioni
spontanee. Correttamente sul punto la sentenza impugnata ha evidenziato che
la mancata revoca della dichiarazione di chiusura dell’istruttoria e, comunque, il
mancato esame dell’imputata non determina alcuna violazione del diritto di
difesa e ciò in applicazione del principio più volte affermato da questa Corte,
secondo cui il mancato esame dell’imputato, anche se in precedenza ammesso
dal giudice del dibattimento, non comportando alcuna limitazione alla facoltà di
intervento, di assistenza e di rappresentanza dell’imputato medesimo, non
integra alcuna violazione del diritto di difesa, tanto più alla luce della facoltà di
rendere in ogni momento spontanee dichiarazioni

(Sez. 1,

n. 35627 del 18/04/2012; sez. 1^, 27/04/1998 n. 6515, Venuto rv. 210763).
Deve, infatti, ritenersi che allorché, come nella specie, l’imputato non abbia
mosso rilievo contestualmente alla sua mancata audizione, ma abbia preferito
rendere dichiarazioni spontanee, egli abbia rinunciato alla prova eventualmente
in precedenza ammessa

(Sez. 4, Sentenza n. 47345 del 03/11/2005. Peraltro,

nel caso di specie, all’udienza fissata per l’esame dell’imputata la stessa non
compariva e qualora nel dibattimento di primo grado, sia
stata chiusa l’istruttoria dibattimentale nel silenzio delle parti senza procedere
all’esame dell’imputato, che aveva formulato espressa richiesta, non si realizza

sarebbero state solo pensate (sempre che sia possibile leggere il pensiero) dall’

alcuna violazione del diritto di difesa che determini una nullità in quanto
l’imputato può chiedere in ogni momento di rendere
dichiarazioni(Sez. 6,n. 42442 del 20/10/2003).
2. Manifestamente infondato si presenta, poi, il motivo di ricorso con il quale si
censura il fatto che la condanna degli imputati è stata fondata solo ed
esclusivamente sulle dichiarazioni rese dalle parti offese, Rizzo Carmelo e Di
Natale Carmela, genitori della p.o., Rizzo Carmelo, pur essendo tali dichiarazioni
inattendibili e poco compatibili con le dichiarazioni della teste La Mendola.

affermati da questa Corte per i quali le regole dettate dall’art. 192, comma 3,
cod. proc. pen. non trovano applicazione relativamente alle dichiarazioni della
parte offesa: queste ultime possono essere legittimamente poste da sole a base
dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata
da idonea motivazione, della loro credibilità soggettiva e dell’attendibilità
intrinseca del racconto (S.U., n. 41461 del 19.7.2012; Sez. 4, n. 44644 del
18/10/2011, Rv. 251661; Sez. 3, n.28913 del 03/05/2011, C., Rv. 251075;
Sez. 3, n. 1818 del 03/12/ 2010, Rv. 249136; Sez. 6, n. 27322 del 14/04/2008,
De Ritis, Rv.240524). Il vaglio positivo dell’attendibilità del dichiarante deve
essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello generico cui vengono
sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone, di talché tale deposizione può
essere assunta da sola come fonte di prova unicamente se venga sottoposta a
detto riscontro di credibilità oggettiva e soggettiva. Può essere opportuno
procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi, qualora la persona
offesa si sia anche costituita parte civile e sia, perciò, portatrice di una specifica
pretesa economica, la cui soddisfazione discenda dal riconoscimento della
responsabilità dell’imputato. Inoltre, costituisce principio incontroverso nella
giurisprudenza di legittimità l’affermazione che la valutazione della credibilità
della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto, che ha una
propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non
può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in
manifeste contraddizioni (cfr. ex plurimis Sez. 6, n. 27322 del 2008, De Ritis,
cit.; Sez. 3, n. 8382 del 22/01/2008, Finazzo, Rv. 239342; Sez. 6, n. 443 del
04/11/2004, dep. 2005, Zarnberlan, Rv. 230899; Sez. 3, n. 3348 del
13/11/2003, dep. 2004, Pacca, Rv. 227493; Sez. 3, n. 22848 del 27/03/2003,
Assenza, Rv. 225232), che all’evidenza non si ravvisano nella fattispecie in
esame.
2.1. La sentenza impugnata ricostruisce i fatti nel senso che gli imputati
genitori della persona offesa, Rizzo Carmelo, si sono recati presso l’ abitazione di
quest’ultimo e di sua moglie Di Natale Carmela, e, nell’occasione, dopo che la La

Il giudice d’appello, in proposito, ha fatto corretta applicazione dei principi

Greca, chiedeva alla Di Natale, di affacciarsi al balcone chiedendo notizie di una
pentola, alla risposta delle p.o. di non sapere nulla della pentola ed invitati gli
imputati ad allontanarsi, questi ultimi dapprima inveivano contro donna
chiamandola “buttana, rignusa”, e poi il Rizzo profferiva nei confronti di entrambi
i querelanti le seguenti parole “il terreno è mio, vi sparo in bocca a tutti e due, vi
ammazzo”.
2.2.Le dichiarazioni delle p.o., confermative della vicenda narrata in querela,
sono state ritenute dal giudice d’appello, senza incorrere in vizi, coerenti e lineari

credibilità e, dunque, attendibili anche in relazione al contesto conflittuale
descritto da Rizzo Carmelo in merito ai rapporti con il padre, deterioratisi a
causa dì dissidi di lavoro intervenuti in costanza della collaborazione prestata
nella attività del figlio. Anche le dichiarazioni della La Mendola, che si è limitata a
riportare di avere udito una discussione accesa che riguardava tutte le parti
coinvolte, non contrasta con i dati acquisiti.
3. Manifestamente infondato si presenta, altresì, il motivo di ricorso circa la
portata non ingiuriosa di parole quali “buttana”, pronunciate nei confronti della
Di Natale.
Più volte, invero, questa Corte ha evidenziato che in tema di tutela dell’onore,
ancorché in generale, al fine di accertare se sia stato leso il bene protetto
dall’art. 594 cod. pen., sia necessario fare riferimento ad un criterio di media
convenzionale, in rapporto alla personalità dell’offeso e dell’offensore ed al
contesto nel quale la frase ingiuriosa sia stata pronunciata, esistono, tuttavia,
limiti invalicabili, posti dall’art. 2 Cost., a tutela della dignità umana, di guisa che
alcune modalità espressive sono oggettivamente (e, dunque, per l’intrinseca
carica di disprezzo e dileggio che esse manifestano e/o per la riconoscibile
volontà di umiliare il destinatario) da considerarsi offensive e, quindi,
inaccettabili in qualsiasi contesto pronunciate (Sez. 5, n. 19070 del 27/03/2015).
3.1. Ciò premesso si osserva che deve, pertanto, ritenersi immune da censure
la valutazione, secondo cui la parola “buttana” concreta un vero e proprio
insulto, offensiva dell’ onore e del decoro della p.o., in sé volgare ed
inaccettabile, in qualsiasi contesto pronunciata.
3.2.Per quanto concerne, poi, il soggetto autore delle parole offensive
pronunciate nei confronti della Di Natale, si osserva che il giudice d’appello ha
evidenziato come le p.o. abbiano indicato entrambi gli imputati come autori degli
insulti e di tale versione dell’accaduto, senza illogicità, non è stato ritenuto
esservi motivo per dubitare.
4.Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge la condanna dei ricorrenti
al pagamento delle spese processuali, nonché, trattandosi di causa di

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siccome prive di contraddizioni o divergenze, tali da minarne la valutazione di

inammissibilità riconducibile a colpa del ricorrente al versamento, a favore della
cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare
in Euro 1000,00, ai sensi dell’art. 616 c.p.p.

p.q.m.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa
delle ammende.

Così deciso il 13.7.2015

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