Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8320 del 30/11/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 8320 Anno 2016
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: MINCHELLA ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BENINCASA ERCOLE N. IL 29/09/1947
avverso l’ordinanza n. 854/2014 CORTE APPELLO di MILANO, del
20/10/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO
MINCHELLA;
lette/sedía4e le conclusioni del PG Dott.

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Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 30/11/2015

RILEVATO IN FATTO

Con provvedimento in data 20.10.2014 la Corte di Appello di Milano rigettava la richiesta
avanzata da Benincasa Ercole di applicare la disciplina di cui all’art. 78 cod.pen. in
relazione alle condanne risultanti a suo carico dall’anno 1975 all’anno 2011 per un totale di
anni quarantadue, mesi sette e giorni cinque di reclusione. Il Procuratore Generale presso
la citata Corte di Appello si era espresso per l’inammissibilità della istanza, per reiterazione
di altra già decisa dalla Corte di Appello in data 03.03.2014.

concorso di reati, mentre í fatti-reato commessi dal Benincasa si dipanavano in un peirodo
di tempo di circa quaranta anni e non erano avvinti da un vincolo di continuazione tra di
loro, per cui l’assenza di un unico disegno criminoso tra più fatti giudicati impediva di
procedere a cumuli parziali. Si richiamava varia giurisprudenza della Corte Supema e si
richiamava integralmepte il provvedimento in data 03.03.2014, -ei-r-c-a-i-l-quale-s-i-effer~
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no
impugnazione.
Avverso detto provvedimento proponeva ricorso per Cassazione il Benincasa a mezzo del
suo Difensore, deducendo inosservanza ed erronea applicazione di legge ex art. 606,
comma 1 lett. b), cod.proc.pen. e mancanza e contraddittorietà della motivazione ex art.
606, comma 1 lett e), cod.proc.pen.; si evidenziava che il parere del Procuratore Generale
presso la Corte di Appello di Milano era inconferente poiché non vi era stata alcuna
reiterazione di un’istanza precedente, la quale invece era diretta ad ottenere il
riconoscimento della continuazione e non anche il criterio moderatore anzidetto; si
deduceva che la Corte di Appello aveva richiamato un proprio provvedimento che
riguardava una differente istanza e che non era affatto vero che non vi era stata
impugnazione, giacchè pendeva un ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione; si denunziava
anche la violazione dell’art. 666 cod.proc.pen. per omessa tenuta della rituale udienza
camerale in contraddittorio, ma ciò si effettuava in maniera del tutto generica e si definiva
altrettanto genericamente non condivisibile la motivazione della Corte di Appello, che non
sarebbe stata effettuata con disamina esauriente dei fatti di reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
E’ incontestato che il Benincasa è detenuto in espiazione di una pena detentiva
complessiva di rilevante entità, compresa in un cumulo di condanne che si dipana in un
ampio arco temporale. In relazione a detta pena egli ha avanzato un’istanza di
applicazione della disciplina di cui all’art. 78 cod. pen.
A fronte del rigetto di detta istanza per insussistenza del parametro del concorso dei reati
de quibus, il ricorrente muove doglianze avverso tale decisione: per verità, non ci si può
1

Rilevava il Giudice che il criterio moderatore di cui all’art. 78 cod.pen. presuppone il

esimere dal notare che il ricorso non deduce nulla o quasi nulla sul merito della
motivazione del provvedimento impugnato; non si comprende, cioè, quale sia la reale
critica alla mancata applicazione della disciplina di cui all’art. 78 cod. pen., giacchè il
ricorrente si limita ad affermare che la Corte di Appello ha assunto la sua decisione senza
una disamina esauriente dei fatti-reato: ma nulla viene aggiunto e così non si comprende
quale sia il motivo di disapprovazione della decisione.
Peraltro, il ricorso lamenta la mancata applicazione dell’art. 666 cod.proc.pen., asserendo
che il procedimento è stato trattato in assenza di una rituale udienza camerale: ma dal

seguito di apposita udienza, dopo avere udito le conclusioni delle parti, riportate in
verbale.
Ad ogni modo, è inammissibile la censura che attiene alla contestata omessa applicazione
del criterio di cui all’art. 78 c.p. a tutti i reati per i quali il ricorrente ha riportato condanna.
Questa Corte ha costantemente affermato che, in tema di esecuzione delle pene
concorrenti inflitte con condanne diverse, qualora, durante l’espiazione di una determinata
pena o dopo che l’esecuzione di quest’ultima sia stata interrotta, il condannato commetta
un nuovo reato, non è possibile procedere a un unico cumulo delle pene concorrenti.
Occorre, invece, procedere a cumuli parziali, e quindi al cumulo delle pene inflitte per i
reati commessi sino alla data del reato cui si riferisce la pena parzialmente espiata, con
applicazione del criterio moderatore dell’art. 78 cod.pen. e detrazione dal risultato del
presofferto; poi a nuovo cumulo, comprensivo della pena residua da espiare e delle pene
inflitte per i reati successivamente commessi, sino alla data della successiva detenzione, e
così via fino all’esaurimento delle pene concorrenti irrogate per reati successivamente
commessi, previa detrazione, per ciascuna condanna, della pena già espiata in custodia
cautelare o della pena di cui è cessata l’esecuzione (tra le altre, Sez. 1, n. 4940 del
12/10/1998, dep. 18/11/1998, Monopoli, Rv. 211803; Sez. 1, n. 5313 del 27/09/2000,
dep. 19/12/2000, Pino G., Rv. 217602; Sez. 1, n. 19540 del 02/03/2004, dep.
27/04/2004, Colafigli, Rv. 227974; Sez. 5, n. 39946 del 11/06/2004, dep. 13/10/2004,
Serio, Rv. 230135; Sez. 1, n. 34348 del 11/05/2005, dep. 26/09/2005, Morabito, Rv.
232277; Sez. 1, n. 5775 del 02/12/2008, dep. 11/12/2008, Calogero, Rv. 242574).
Consegue a tali rilievi che il criterio moderatore della pena, previsto dall’art. 78 cod.pen.,
non opera nel caso, disciplinato dal successivo art. 80, di concorso di pene inflitte con
sentenze o decreti diversi, se diversi sono anche i tempi di commissione dei reati e delle
custodie cautelari, e, imponendosi in tal caso la formazione di cumuli differenti, il predetto
criterio è applicabile, nell’ambito di ciascuna operazione di cumulo parziale, solo nel caso in
cui la pena derivante dal cumulo parziale sia superiore ai limiti di pena fissati nella norma
predetta.

2

provvedimento impugnato risulta, invece, che la Corte di Appello di Milano ha deliberato a

Il calcolo unitario delle pene concorrenti ne suppone, pertanto, l’integrale cumulabilità, che
è possibile quando le pene si riferiscono a reati commessi in epoca antecedente all’inizio
della esecuzione di una di esse.
Alla stregua di detti condivisi principi, era onere del ricorrente dare elementi specifici,
idonei a sostenere la formulata richiesta, al di là dei richiami alla sua fondatezza. Tali
elementi non sono stati specificati in questa sede (cfr Sez. 1, n° 40252/2012).
In altri termini, per consolidata giurisprudenza, il disposto di cui all’art. 78 cod.pen.„

detentive temporanee non può superare il limite massimo di anni trenta di reclusione, non
deve essere inteso nel senso che il condannato non possa essere detenuto per un periodo
complessivamente eccedente i trenta anni nel corso della vita poiché ciò equivarrebbe ad
una ratifica di impunità per qualsiasi delitto commesso da soggetti che abbiano già
scontato una pena pari ad anni trenta di reclusione; la norma non ha valenza assoluta
bensì relativa, nel senso che, in caso di esecuzione di una pluralità di condanne a pena
detentiva, il criterio moderatore in questione opera con riguardo alla somma tra il residuo
delle pene ancora da espiare all’atto della commissione (in stato di libertà o in detenzione)
di ogni nuovo reato e la pena per quest’ultimo inflitta. (Sez. 1, n. 25119 del 21/05/2004,
Finini, Rv. 228145).
In presenza di una pluralità di condanne e di periodi di detenzione sofferti in tempi diversi,
non è possibile procedere a un unico cumulo delle pene concorrenti e detrarre, poi, da
detto cumulo, la somma complessiva dei periodi di presofferto, qualora i periodi di
carcerazione si riferiscano a condanne per reati commessi in tempi diversi, prima, durante
e dopo la detenzione, poiché tale modalità di computo delle pene concorrenti si porrebbe
in contrasto con il principio stabilito dall’art. 657 cod.proc.pen., comma 4 secondo cui
l’esecuzione della pena non può precedere la commissione del reato (cfr Sez. 1 n°
37630/2014).
Il ricorso deve dunque essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente va condannato al
pagamento delle spese del procedimento ed al versamento di una somma – che si stima
congruo quantificare in C 1.000,00 – alla Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali ed al versamento della somma di C 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 30 novembre 2015.

secondo cui la pena da applicare nel caso di concorso di reati che importano pene

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