Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8319 del 30/11/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 8319 Anno 2016
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: MINCHELLA ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PADOVANI ANTONIO N. IL 18/03/1952
avverso l’ordinanza n. 560/2014 TRIB. SORVEGLIANZA di
CALTANISSETTA, del 11/07/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO
MINCHELLA;
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lette/ ~ le conclusioni del PG Dott. C- Wc..0 t 5.e«A ll
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Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 30/11/2015

RILEVATO IN FATTO

Con ordinanza in data 11.07.2014 il Tribunale di Sorveglianza di Caltanissetta rigettava
l’istanza di affidamento in prova al servizio sociale avanzata da Padovani Antonio,
condannato alla pena di anni quattro di reclusione con sentenza in data 26.07.2012 della
Corte di Appello di Caltanissetta per il delitto di cui all’art. 12 quinquies del D.L. n°
306/1992: rilevava il Tribunale di Sorveglianza che sussisteva a carico del Padovani un

negative, giacchè il condannato risultava contiguo od organico al clan mafioso
“Santapaola”, dedito al gioco d’azzardo ed alla gestione di video-poker e slot-machine,
tanto che emergeva una pericolosità non contenibile con la ampie prescrizioni della misura
alternativa richiesta.
Avverso detta ordinanza propone ricorso per Cassazione il condannato a mezzo del suo
Difensore, deducendo, come primo motivo, la violazione dell’art. 606, comma 1 lett. c),
cod.proc.pen. in relazione all’art. 677, comma 2, cod.proc.pen. e sostenendo
l’incompetenza territoriale del Tribunale di Sorveglianza di Caltanissetta sulla scorta del
dato della condizione di libero del Padovani e della sua residenza in territorio catanese;
come secondo motivo deduceva la violazione dell’art. 606, comma 1 lett. e), cod.proc.pen.
per illogicità, mancanza e contraddittorietà della motivazione in quanto il Tribunale di
Sorveglianza aveva rigettato la richiesta sulla scorta di una pendenza penale e di una
ritenuta appartenenza ad un clan mafioso: si rilevava che la pendenza per ricettazione si
era definita con assoluzione nell’anno 2011 e che la ordinanza si era appiattita sulle
informazioni di polizia che non riportavano le assoluzioni mentre anche la condanna in
esecuzione escludeva un suo apporto al gruppo criminale; si contestava poi che la
decisione fosse stata assunta senza attendere la relazione UEPE e senza fare alcun cenno
all’assenza della stessa, disconoscendo il ruolo del servizio sociale nella prospettiva del
reinserimento socio-familiare.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso deve essere rigettato perché infondato.
E’ incontestato che il Padovani, raggiunto da un ordine di esecuzione per una consistente
pena detentiva, ha avanzato istanza di concessione dell’affidamento in prova al servizio
sociale.
Il Tribunale di Sorveglianza di Caltanissetta ha fondato il provvedimento di rigetto della
suddetta richiesta sull’argomento che sussisterebbe, nel caso di specie, una situazione di
pericolosità sociale desumibile dai reati da espiare e da informative di polizia nonché che il
percorso di vita del condannato non avrebbe mostrato elementi significativi di una

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procedimento penale pendente per ricettazione e che le informazioni di polizia erano

avvenuta risocializzazione, tanto da essere egli stato ancora sottoposto ad altro
procedimento penale.
Il ricorso argomenta le doglianze, da un lato, sulla asserita incompetenza territoriale del
Tribunale di Sorveglianza di Caltanissetta, sostenendo che il dato della residenza
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anagrafica del condannato in territorio catanese sarebbe un elemento che sovratterebbe

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ogni altra considerazione; d’altro lato si lamenta una asserita illogicità dell’ordinanza
impugnata, che conterrebbe errori e contraddizioni.

La Corte Costituzionale con la sentenza n. 178 del 2009 e la giurisprudenza di legittimità
(cfr Cass. sentenza Sez. 1, n. 1137 del 2009; Sez. 1, n. 53177 del 2014) hanno espresso il
principio, cui questo collegio aderisce, secondo cui la competenza per territorio della
magistratura di sorveglianza è disciplinata dall’art. 677 cod.proc.pen., in relazione alla
condizione in cui si trova l’interessato all’atto della richiesta, della proposta o dell’inizio
d’ufficio del relativo procedimento. Nella specie, avuto riguardo ai casi trattati nei giudizi
principali, risulta rilevante il comma 2 di detta norma, che così dispone: “Quando
l’interessato non è detenuto o internato, la competenza, se la legge non dispone
diversamente, appartiene al tribunale o al magistrato di sorveglianza che ha giurisdizione
sul luogo in cui l’interessato ha la residenza o il domicilio. Se la competenza non può
essere determinata secondo il criterio sopra indicato, essa appartiene al tribunale o al
magistrato di sorveglianza del luogo in cui fu pronunciata la sentenza di condanna, di
proscioglimento o di non luogo a procedere e, nel caso di più sentenze di condanna o di
proscioglimento, al tribunale o al magistrato di sorveglianza del luogo in cui fu pronunciata
la sentenza divenuta irrevocabile per ultima”.
Il testuale dettato della norma pone in luce che essa si applica “se la legge non dispone
diversamente”, sicché quelli previsti dalla citata disposizione assumono il rango di criteri
generali di competenza, ai quali, peraltro, la legge può apportare deroghe. Come
affermato dalla dottrina e dalla giurisprudenza (Cass., sentenze n. 38171 del 2008, n.
38047 del 2005 e n. 47881 del 2004); una di tali deroghe è la previsione contenuta
nell’art. 656 c.p.p., comma 6, secondo la quale l’istanza va trasmessa al tribunale di
sorveglianza competente in relazione al luogo in cui ha sede l’ufficio del pubblico ministero
che ha promosso la sospensione dell’esecuzione, così ponendo un criterio specifico che
determina la competenza del detto tribunale, in base ad un parametro diverso dal luogo di
residenza o di domicilio.
Quanto al secondo ordine di considerazioni del ricorso, anche esso è parimenti infondato.
Appare utile rilevare che attraverso la misura alternativa alla detenzione dell’affidamento
in prova al servizio sociale l’ordinamento ha inteso attuare una forma dell’esecuzione della
pena esterna al carcere nei confronti di condannati per i quali, alla luce dell’osservazione
della personalità e di altre acquisizioni ed elementi di conoscenza, sia possibile formulare
una ragionevole prognosi di completo reinserimento sociale all’esito della misura
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Il primo argomento è infondato.

alternativa. I criteri ed i mezzi di conoscenza utilizzabili da parte del Tribunale di
Sorveglianza per pervenire a tale positiva previsione sono indicati dalla dottrina e dalla
giurisprudenza nel reato commesso, ineludibile punto di partenza, nei precedenti penali
(Cass., Sez. 1, 4.3.1999, Danieli, Rv 213062) nelle pendenze processuali (Cass., Sez. 1,
cit.) nelle informazioni di P.S. (Cass., Sez. 1, 11.3.1997, Capiti, Rv 207998) ma anche, ed
in pari grado di rilievo prognostico, qualora disponibili, dalla condotta carceraria e dai
risultati dell’indagine sociofamiliare operata dalle strutture carcerarie di osservazione

ultime risultanze istruttorie si compendia una delle fondamentali finalità della espiazione
della sanzione penale, il cui rilievo costituzionale non può in questa sede rimanere
nell’ombra.
Di questi parametri il Tribunale di Sorveglianza ha fatto un uso corretto: è stato valutato
tanto il pregresso comportamento del ricorrente (in termini di condotta di vita e di
peculiarità del reato commesso) quanto la contiguità del predetto ad un clan mafioso ed i
forti elementi di sospetto (suffragati e sostenuti dalla tipologia di delitto posto in essere,
indicato in epigrafe) che gravano sulla sua esistenza e sulle modalità con le quali egli si
procura un reddito; ed ancora, è stato sottolineato che le informazioni di polizia
presentavano un carattere di forte negatività, per essere il condannato indicato come un
soggetto dedito al gioco d’azzardo ed alla gestione di videopoker e slot-machine ed altresì
che, nel tempo, erano proseguite le frequentazioni controindicate; oltre a ciò, va anche
detto che non risponde affatto al vero la doglianza di una illogicità della motivazione
dell’ordinanza impugnata, atteso che il Giudice ha anche comparato la possibilità astratta
di una misura alternativa – quale quella richiesta – che offre un ampio margine di libertà in
ambiente esterno al carcere con il tenore della vita condotta dal ricorrente, ponendo in
risalto che la stessa si connotava per non avere mai mostrato un’attivazione positiva da
parte del medesimo, tale da fornire prova almeno di un concreto avvio del processo di
recupero: ai fini che qui interessano, va ribadito che occorre anche accertare nel
condannato una adeguata consapevolezza della natura delle sue azioni e delle
conseguenze delle stesse nonché la consapevolezza della necessità di rispettare le leggi
penali e di conformare, in generale, il proprio agire ai doveri inderogabili sanciti
dall’ordinamento.
In definitiva, l’ordinanza impugnata ha tenuto conto dei principi consolidati espressi da
questa Corte in tema di concessione della più ampia delle misure alternative.
Questa Corte ha ripetutamente chiarito che nel giudizio prognostico concernente la
concessione della misura dell’affidamento in prova al servizio sociale, devono essere
valutati anche i procedimenti penali passati ed eventualmente pendenti a carico
dell’interessato, al fine di pervenire ad una valutazione di fronteggiabilità della pericolosità
sociale residua con gli strumenti dell’istituto indicato (cfr Cass. pen., sez. I, 13.02.1982 n.
1999); in altri termini, elementi quali – esemplificativamente – la condotta anteatta e

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(Cass., Sez. 1, 22.4.1991, Calabrese, in Cass. pen., 1992, 1894) dappoiché in queste

quella recente dell’interessato, la sussistenza di nuove denunzie, la pendenza di
procedimenti penali, la frequentazione di soggetti pregiudicati e di ambiti malavitosi, ben
possono valutarsi ai fini della formulazione di una prognosi sul comportamento futuro del
condannato e sul ragionevole esito del beneficio.
Del resto, poiché non esiste una sorta di presunzione generale di affidabilità di ciascuno al
servizio sociale, ma al contrario devono sussistere elementi positivi sulla base dei quali il
Giudice possa ragionevolmente “ritenere” che l’affidamento si riveli proficuo, appare

dell’istituto – la reiezione dell’istanza di affidamento può considerarsi validamente motivata
anche sulla sola base delle informazioni fornite dagli organi di polizia o dai servizi sociali,
quando esse, lungi dal dimostrare elementi certi del genere anzidetto, pongano in luce, al
contrario, la negativa personalità dell’istante (cfr Cass. pen., sez. I, 27.07.1992 n. 2762).
Quanto, poi, alla doglianza relativa alla mancata acquisizione della relazione del servizio
sociale, si deve rammentare che, in linea generale, il diniego dell’affidamento in prova al
servizio sociale è da ritenere adeguatamente motivato anche quando, nell’ambito di un
giudizio prognostico che, Q11 per natura, non può che essere largamente discrezionale,
venga indicata una sola ragione, purché plausibile, atta a far ritenere la scarsa probabilità
di successo dell’esperimento, in relazione alle specifiche finalità dell’istituto (rieducazione
del reo e prevenzione del pericolo che egli commetta ulteriori reati). Non occorre,
pertanto, che il Tribunale prenda necessariamente in esame anche la situazione
sociofamiliare del richiedente, non trattandosi dell’applicazione di un beneficio da elargirsi
quasi “pìetatis causa”, ma la valutazione della sussistenza o meno dì valide prospettive di
realizzazione delle anzidette finalità, essenzialmente funzionali al vantaggio non del singolo
ma della società e rispetto alle quali, pertanto, la sottrazione del soggetto al regime di
detenzione rappresenta solo un mezzo e non uno scopo” (Cass. sez. 1, n. 4137 del
19/10/1992, Gullino, rv. 192368; sez. 1, n. 2061 del 11/05/1992, Menditto, Rv. 190531;
sez. 1, n. 2207 del 18/5/1992, Caltagirone, rv. 190628, sez. 1. n. 1704 del 14/4/1994,
Gallo, rv. 197463).
Si è altresì affermato che, “Ai fini dell’affidamento in prova al servizio sociale, i riferimenti alla

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evidente che – in relazione agli obbiettivi di rieducazione e di prevenzione propri

gravità del reato commesso o ai precedenti penali e giudiziari del condannato o al
comportamento da lui tenuto prima o dopo la custodia cautelare ben possono essere utilizzati
come elementi che concorrono alla formazione del convincimento circa la praticabilità della
misura alternativa. Ne consegue che il mantenimento di una condotta positiva, anche in
ambiente libero, non è di per sé determinante, soprattutto ove la condanna in espiazione sia
stata inflitta per reati di obiettiva gravità (come nella fattispecie), ma deve essere valutato
nell’ambito di un giudizio globale di tutti gli elementi emersi dalle indagini esperite e dalle
informazioni assunte” (Cass. sez. 1, n. 15064 del 06/03/2003, Chiara, rv. 224029; Sez. 1, n.
20478 del 12/02/2013 – dep. 13/05/2013, Siddique, Rv. 256078)

v

Va poi osservato che, sebbene il Tribunale di Sorveglianza abbia provveduto sulle istanze
del ricorrente senza avere previamente acquisito la relazione degli operatori del servizio
sociale, ciò nonostante tale incompletezza dell’istruttoria non ha privato il procedimento di
darti conoscitivi imprescindibili, né ha pregiudicato la possibilità di formare in modo
completo il convincimento espresso per il rilievo dirimente, immediatamente percepibile,
degli elementi negativi emersi dagli atti.
Non ignora
ignora quasta–Cotte che una precedente pronuncia d

42U ‘ sezione (sez. 1, n.

o2k

dell’acquisizione della documentazione relativa all’osservazione personologica del
condannato e ne ha ricavato il fondamento normativo nel disposto degli artt. 666
cod.proc.pen., comma 5, richiamato dall’art. 678 cod.proc.pen., comma 1, il quale prevede
la possibilità che il giudice richieda alle autorità competenti tutti i documenti e le
informazioni necessarie per la decisione e, se del caso, assuma prove e nel comma
secondo dell’art. 678 cod.proc.pen., per il quale, quando si procede nei confronti di
persona sottoposta a osservazione scientifica della personalità, il giudice “acquisisce la
relativa documentazione”, potendo anche avvalersi “della consulenza dei tecnici del
trattamento”. Ne ha concluso che, in assenza della relazione sull’osservazione, non
potrebbe essere assunta la decisione reiettiva di una misura alternativa alla carcerazione.
Pur non volendo negare in linea generale la validità di siffatto orientamento, ritiene questo
Collegio che lo stesso vada adattato alle caratteristiche del caso concreto, potendo
pervenirsi anche a ritenere superflua l’attesa e l’acquisizione della relazione quando il
condannato versi in stato di libertà, l’osservazione non sia stata condotta per un lasso di
tempo protratto durante la carcerazione in ambiente inframurario ed il corredo di
risultanze documentali acquisite sia già di tale evidenza dimostrativa nell’attestare
l’inidoneità della misura richiesta per le modalità esecutive a fronte di accertata
pericolosità del condannato da non richiedere ulteriori approfondimenti e da non poter
essere smentito da un mero colloquio con gli operatori sociali.
Alla stregua di questi parametri, le linee argomentative della decisione impugnata
resistono alle censure formulate dal ricorrente, che si risolvono nella generica
prospettazione di altre differenti interpretazioni dei dati conoscitivi ed in una non
consentita sollecitazione rivolta al Giudice della legittimità, a sostituire il proprio
apprezzamento di merito alla valutazione, dello stesso genere, già effettuata in maniera
completa e plausibile nella sede competente e pertanto non ulteriormente sindacabile.
Il ricorso deve dunque essere rigettato ed il ricorrente va condannato al pagamento delle
spese del procedimento.
P.Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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10290 del 02/03/2010, Trif, rv. 246519) ha affermato come incondizionato l’obbligo

Così deciso in Roma, il 30 novembre 2015.

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