Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8305 del 22/12/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 8305 Anno 2016
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: SCARLINI ENRICO VITTORIO STANISLAO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MICATI PAOLO N. IL 22/04/1976
avverso la sentenza n. 1369/2013 CORTE APPELLO di LECCE, del
16/01/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/12/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ENRICO VITTORIO STANISLAO SCARLINI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. t_ 0(0,
che ha concluso per d
Q)

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 22/12/2015

RITENUTO IN FATTO
Micati Paolo ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Lecce del 16
gennaio 2015 che aveva confermato la sentenza del Giudice per l’udienza
preliminare del locale Tribunale del 5 febbraio 2013 con la quale era stato
condannato, quale legale rappresentante della PAM soc. coop. a r.I., alla pena,
sospesa, di anni 1 e mesi 4 di reclusione per il delitto di bancarotta patrimoniale
realizzato con la vendita a prezzo vile a società di famiglia di merci per euro
864.769,04 e versando, ad una lavoratrice, compensi dovuti da altra società di

La sentenza dichiarativa del fallimento era del 15 luglio 2008.
La Corte aveva dedotto la prova della colpevolezza del ricorrente dalla
delucidazioni fornite dal curatore il quale aveva annotato come il valore del
magazzino avesse superato, a fine 2005, il milione di euro, e precisamente euro
1.098.950, mentre, a fine 2006, era crollato ad euro 182.000. Nel 2006 si erano
pertanto alienate la gran parte delle merci in deposito. Solo che, mentre negli anni
precedenti, fra il 2003 ed il 2005, la merce era stata rivenduta con percentuali di
ricarico sul costo fra il 29 % ed il 69 0/0, nel 2006 la merce era stata alienata a
prezzi del tutto vili, al 9 % del mero prezzo di costo. Oltretutto a società
appartenenti al medesimo gruppo familiare.
Doveva infine considerarsi che l’imputato, amministratore formale della fallita,
era a conoscenza di quanto andava facendo il padre, amministratore di fatto della
stessa, posto che, oltre al ruolo di controllo (e di garanzia) che comunque avrebbe
dovuto svolgere, ricopriva concrete mansioni all’interno dell’esercizio commerciale
che la società conduceva, in qualità di commesso di negozio.
1 – Con il primo motivo il ricorrente deduce il difetto di motivazione laddove la
Corte aveva ricostruito la condotta di distrazione prendendo spunto dai valori del
magazzino a fine 2005 ed ai fine 2006, valutando anche i prezzi di realizzo della
merce negli anni precedenti, comparandoli a quelli praticati alle società acquirenti
nel 2006, posto che non aveva tenuto conto del fatto che il valore del magazzino a
fine 2005 poteva essere stato gonfiato per evitare di chiudere in perdita l’esercizio.
O che la merce fosse divenuta improvvisamente desueta e pertanto priva di valore
per un repentino mutamento dei gusti del mercato.
Altrettanto illogica era l’affermazione della Corte secondo la quale un elemento
da cui trarre la convinzione dell’intento distrattivo o dissipativo era il fatto che le
società destinatarie delle vendite di favore appartenessero alla medesima famiglia,
visto che, comunque, da tali alienazioni la fallita aveva pur sempre ricavato un
corrispettivo.

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famiglia.

2 – Con il secondo motivo lamenta il difetto di motivazione in ordine alla
attribuibilità al ricorrente, amministratore formale della società, delle distrazioni
consumate.
Il coimputato Micati Giovani, infatti, padre dell’odierno imputato Paolo, aveva
riferito che il figlio aveva svolto solo le mansioni di commesso ed aveva soggiornato
lontano dalla sede della società, fino al 2003, per motivi di studio, e ciò nonostante
la Corte aveva ritenuto Paolo responsabile delle distrazioni affermando che, come
amministratore formale avrebbe dovuto sorvegliare quanto l’amministratore di fatto

mansioni di commesso.
Si trattava però di un argomento illogico posto che la funzione subordinata
ricoperta non avrebbe comunque consentito a Micati Paolo alcun potere di
intervento. Il padre poi aveva riferito che egli falsificava anche la firma del figlio sui
documenti da sottoscrivere.
3 – Con il terzo motivo deduce la violazione di legge ed in particolare dell’art.
217 della legge fallimentare laddove la Corte non ha ritenuto che la più corretta
qualificazione giuridica delle condotte fosse quella di bancarotta semplice.
Al più infatti la vendita di merce in stock poteva, infatti, essere definita
un’operazione imprudente.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
1 – Con il primo motivo si richiede a questa Corte di rivalutare il quadro
probatorio già ampiamente discusso dalla Corte territoriale che è giunta a ritenere
la sussistenza delle condotte di bancarotta patrimoniale contestate all’esito di una
argomentazione congrua rispetto alle acquisizioni probatorie, e del tutto priva di vizi
logici sia nella ricostruzione dei fatti, sia nella conseguente valutazione del loro
rilievo penale.
A questa Corte è, infatti, precluso un nuovo esame del fatto al solo fine di
verificare se la diversa interpretazione del quadro probatorio suggerita dal
ricorrente rivesta, in ipotesi, un maggior grado di plausibilità rispetto a quella
adottata dal giudice del merito, dovendo limitare il suo intervento al vizio di
legittimità e quindi all’esistenza di un apparato argomentativo che, muovendo dalla
adozione dei corretti criteri di valutazione delle prove decisive, abbia consentito
una ricostruzione dei fatti e del loro rilievo penale esente da vizi logici manifesti.
Peraltro la difesa dell’imputato muove le sue critiche alla decisione impugnata
prospettando circostanze del tutto ipotetiche e congetturali, visto che, non potendo
disconoscere il fatto che la vendita di quasi tutte le merci del magazzino presenti a
fine 2005 era avvenuta a prezzo vile, lamenta solo che non si sia verificato se il
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andava facendo non essendo poi all’oscuro di quanto accadeva svolgendo in ditta le

magazzino fosse stato sopravvalutato (così peraltro consumando un diverso delitto)
o, contraddittoriamente rispetto al primo argomento, se quella merce non avesse
perso, per un repentino quanto non specificato mutamento di gusti, il suo valore.

E questa Sezione ha già avuto modo di affermare che la regola dell’«al di là
di ogni ragionevole dubbio>>, secondo cui il giudice pronuncia sentenza di
condanna solo se è possibile escludere ipotesi alternative dotate di razionalità e
plausibilità, impone all’imputato che, deducendo il vizio di motivazione della
decisione impugnata, intenda prospettare, in sede di legittimità, attraverso una

colpevolezza, di fare riferimento ad elementi sostenibili, cioè desunti dai dati
acquisiti al processo, e non meramente ipotetici o congetturali (Cass. Sez. 5, n.
18999 del 19/02/2014, Rv. 260409).
E’, infine, del tutto logico, come ha argomentato la Corte territoriale, ritenere
significativo il fatto che le vendite a prezzo vile (con nessun ricarico sul costo ed al
9 % dello stesso prezzo di costo) fossero andate a vantaggio del medesimo nucleo
familiare, posto che anche da tale circostanza doveva ricavarsi la conferma che le
merci vendute non avevano perso, così repentinamente, il loro valore ma, più
semplicemente, questo era stato trasferito a società non in procinto di fallire. Non
uscendo dal perimetro del patrimonio familiare.
Totalmente destituita di fondamento logico è poi l’ultima considerazione della
difesa seconda la quale nulla avrebbe perso la fallita perché comunque aveva
incassato il corrispettivo delle vendite posto che è evidente che la fallita aveva
introitato solo una ben misera parte di quanto le sarebbe spettato se avesse
venduto le merci a terzi e a prezzo di mercato.
2 – Il secondo motivo è parimenti manifestamente infondato in quanto la Corte
territoriale aveva, anche su questo punto, dedotto dalle prove raccolte, con
motivazione congrua e priva di vizi logici, la conclusione raggiunta: la penale
responsabilità anche dell’amministratore formale della società.
Va, innanzitutto, ricordato che, in tema di bancarotta fraudolenta, in caso di
concorso “ex” art. 40, comma secondo, cod. pen., dell’amministratore formale nel
reato commesso dall’amministratore di fatto, ad integrare il dolo del primo è
sufficiente la generica consapevolezza che il secondo compia una delle condotte
indicate nella norma incriminatrice, senza che sia necessario che tale
consapevolezza investa i singoli episodi delittuosi, potendosi configurare l’elemento
soggettivo sia come dolo diretto, che come dolo eventuale (Cass. Sez. 5, n. 50348
del 22/10/2014, Rv. 263225, imp. Serpetti).
La Corte territoriale, pertanto, ha fatto corretta applicazione di tale principio di
diritto quando ha tratto la prova della consapevolezza dell’imputato in ordine alle

diversa ricostruzione dei fatti, l’esistenza di un ragionevole dubbio sulla

condotte distrattive consumate dal padre dal fatto che egli non era estraneo alla
conduzione dell’azienda, lavorandovi come commesso (e dovendo, come tale,
essere al corrente della consistenza del magazzino) e dovendo, come
amministratore di diritto, apporre la sua firma ai documenti riassuntivi della
condizione economica dell’azienda da cui evidentemente risultava il suo netto
depauperamento.
3 – Manifestamente infondato è anche il terzo motivo del ricorso avendo
l’imputato, con il trasferimento di gran parte del valore delle merci dalla fallita alle

nulla aveva di imprudente ma era solo destinata a mantenere nel patrimonio
familiare proprio quel valore, a consapevole, e voluto, danno dei creditori della
società che veniva avviata al fallimento.
4 – Alla pronuncia di inammissibilità del ricorso segue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e, versando lo stesso in colpa,
anche al pagamento di una somma alla Cassa delle ammende nella misura, che si
ritiene equa, indicata in dispositivo.
P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso in Roma il 22/12/2015.

altre società di famiglia, realizzato una condotta di bancarotta patrimoniale che

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