Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8276 del 06/11/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 8276 Anno 2016
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: MICCOLI GRAZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CURTOPELLE EMANUELE N. IL 19/08/1976
GIANGRECO LAURA N. IL 10/01/1974
avverso la sentenza n. 89/2012 CORTE APPELLO di
CALTANISSETTA, del 13/02/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GRAZIA MICCOLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 06/11/2015

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dott. Enrico DELEHAYE, ha concluso
chiedendo il rigetto dei ricorsi.
Per la parte civile, l’avv. Sandro VALENZA ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi e
depositando nota spese.
Per il ricorrente Emanuele CURTOPELLE, l’avv. Diego GUADAGNINO ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso.
Per la ricorrente Laura GIANCRECO, l’avv. Salvatore DANIELE ha concluso chiedendo

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 13 febbraio 2014 la Corte d’appello di Caltanisetta, per quanto di
interesse in questa sede, dovendo essere vagliate solo le posizioni di due imputati, ha
confermato la pronunzia di primo grado, emessa in data 25 marzo 2011 dal Tribunale della
stessa città, con la quale Emanuele CURTOPELLE e Laura GIANqRECO erano stati
condannati, in concorso con altri soggetti,

per

reati di bancarotta patrimoniale e /

documentale loro ascritti in relazione ai fallimenti di diverse società e imprese individuali,
aziende facenti parte del cd. “Polo Tessile di Riesi” che (secondo quanto ricostruito dai
giudici di merito), pur costituendo imprese giuridicamente autonome l’una dall’altra, erano
tutte riconducibili al coimputato Pietro Capizzi, il quale amministrava alcune direttamente ed
altre gestiva a mezzo di prestanomi, spesso a lui legati da stretti vincoli di parentela.
A Emanuele CURTOPELLE è stato ascritto di avere concorso, quale soggetto incaricato da
uno studio di consulenza della redazione e della tenuta delle scritture contabili delle società
fallite, a fatti relativi alla bancarotta della “Polo tessile del mediterraneo s.r.l.” (già
“Maglificio Lara s.r.l.”), della “Riesi maglieria s.r.l.”, della “Riesi Finissaggio s.r.l.”, della
“FIMA confezioni di Ardizzon Luca s.n.c.”, della “Confezioni Italia di Cossalter Lara & C.
s.n.c.”, della “Alice confezioni di Ardizzon Alice” e infine della “Aurora confezioni di Giuliana
Eraldo”.
A Laura GIANGRECO è stato ascritto di avere concorso, quale soggetto incaricato dal citato
Capizzi della redazione e della tenuta delle scritture contabili delle società fallite, a fatti
relativi alla bancarotta della “Polo tessile del Mediterraneo s.r.l.” (già “Maglificio Lara s.r.l.”),
alla bancarotta della “Riesi maglieria s.r.l.”, a quella della “Riesi Finissaggio s.r.l.”, a quella
della “FIMA confezioni di Ardizzon Luca s.n.c.”, a quella della “Confezioni Italia di Cossalter
Lara & C. s.n.c.”, a quella della “Alice confezioni di Ardizzon Alice” e infine a quella di
“Aurora confezioni di Giuliana Eraldo”.
Gli imputati sono stati ritenuti responsabili quali concorrenti “estranei” ai reati “propri”
contestati.
2.

Con atto sottoscritto dal suo difensore, ha proposto ricorso l’imputato Emanuele

CURTOPELLE, deducendo quanto segue.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto l’errata applicazione dell’art. 114 cod.
pen., la violazione del principio di causalità sancito dall’art. 40 cod. pen., nonché vizi di
2

i

l’accoglimento del ricorso.

motivazione sul punto per manifesta illogicità.
In sostanza, si sostiene che le risultanze processuali in ordine al ruolo del CURTOPELLE nei
reati di bancarotta a lui contestati (all’udienza del 22 settembre 2009) consentirebbero di
escludere la sua responsabilità, mentre sarebbe errata la decisione dei giudici di merito di
ricondurre la sua condotta nell’attenuante prevista dall’art. 114 cod. pen.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione di legge.
Evidenzia che nei capi di imputazione, ascrittigli con contestazione suppletiva, è indicata solo la
data iniziale delle condotte (“dall’anno 2001”) e non quella finale. In ragione di ciò nelle

di bancarotta commessi dopo il mese di settembre 2002, sebbene egli avesse cessato di
lavorare da tale mese nello studio di consulenza delle società fallite.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente ha dedotto violazione di legge e vizi di motivazione
in relazione al reato di bancarotta documentale ascrittogli.
Lamenta il deducente l’omessa motivazione sulle questioni proposte con l’atto di appello in
ordine alla insussistenza dello “scopo del reato di rendere impossibile la ricostruzione della
contabilità”, giacché tale ricostruzione è stata possibile anche grazie alla documentazione
(costituita da fax) rinvenuta all’interno dello studio CAV e a suo tempo conservata e custodita
dal CURTOPELLE.

3. Con atto sottoscritto dal suo difensore, ha proposto ricorso l’imputata Laura GIANGRECO,
deducendo quanto segue.
3.1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione di legge processuale.
Sostiene la ricorrente che le sentenze di primo e secondo grado sarebbero inficiate da nullità
assoluta, atteso che il rapporto processuale non si sarebbe regolarmente instaurato per il reato
di bancarotta contestato all’udienza del 22 settembre 2009, in quanto la copia del verbale di
tale udienza non è mai stata notificata alla GIANGRECO, rimasta contumace.
Evidenzia la deducente che la notifica del verbale è stata fatta in data 28 ottobre 2009 alla
madre dell’imputata, residente in Caltanisetta, da anni non più convivente con lei, in quanto
trasferitasi nella casa coniugale, posta in altro comune.
La Corte territoriale avrebbe, erroneamente, ritenuto di superare tale eccezione (che sarebbe
stata sollevata tempestivamente alla prima udienza utile del 13 aprile 2010), ignorando le
deduzioni difensive e richiamando giurisprudenza inconferente.
3.2. Con il secondo motivo è stato dedotto vizio di motivazione, che sarebbe illogica e
carente, nonché erronea applicazione dell’art.192 cod. proc. pen.
La Corte territoriale, secondo la deducente, con una succinta ed apparente motivazione ha
sostanzialmente, in maniera sintetica ed acritica, ripercorso l’errato iter motivazionale del
Tribunale, condividendone e fatto propri gli argomenti valutativi, senza minimamente integrarli
con un proprio ed approfondito esame dei motivi di appello.
La ricorrente, quindi, riproduce tali motivi, con i quali era stata contestata la sua responsabilità
sia per la bancarotta documentale che per quella distrattiva, sottolineando che ella aveva
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sentenze dei giudici di merito si è ritenuta erroneamente la sua responsabilità anche per fatti

avuto un mero ruolo di esecutrice di direttive altrui.
Peraltro ella non può rispondere di fatti commessi prima del 21 maggio 2001, data di
assunzione da parte del Capizzi, “titolare” della FINISSAGGIO s.r.I., a cui facevano capo tutte
le società tessili dichiarate fallite. Ella aveva cessato di lavorare nel settembre 2003,
rimanendo creditrice di 10 mensilità.
In ordine alla bancarotta documentale, poi, la ricorrente rileva che le risultanze processuali
avevano consentito di accertare le tutta la contabilità era stata ricostruita.

diniego della attenuanti generiche, mentre con ulteriore motivo si duole della mancanza di
motivazione sul trattamento sanzionatorio.

CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono destituiti di fondamento e per alcuni versi inammissibili, sicché essi non possono
essere accolti.
1. Partendo dall’analisi dei motivi di ricorso proposti nell’interesse del CURTOPELLE, va detto
che sono in buona parte reiterativi di quelli proposti con l’atto di appello e risulta evidente che
la Corte territoriale abbia risposto ad essi con ampia ed esaustiva motivazione, esente da vizi
logici e di metodo.
1.1. In particolare la Corte di Appello ha esaminato le doglianze proposte dal
CURTOPELLE nelle pagine 8 – 15 della sentenza.
E’ utile riportare il testo della motivazione con la quale la Corte territoriale ha evidenziato
l’infondatezza delle argomentazioni difensive, dando atto delle emergenze processuali e della
loro corretta valutazione.
« Con il primo motivo di impugnazione, la difesa dell’imputato Curtopelle sostiene la
contraddittorietà della sentenza di primo grado, lamentando che il proprio assistito dipendente dello studio Vetro, incaricato di curare la contabilità delle società facenti capo a
Capizzi Pietro – non poteva aver commesso i reati contestatigli, atteso il carattere meramente
esecutivo delle mansioni affidategli nell’ambito dell’organizzazione dello studio sopra citato. In
tal senso, l’appellante, senza contestare in alcun modo la sussistenza delle condotte illecite
attribuite agli imputati in concorso tra loro, mette in evidenza che la stessa sentenza
impugnata attribuisce al Curtopelle “un’autonomia decisionale assolutamente limitata”, atteso
che il compito dell’imputato era stato soltanto quello di “redigere le scritture contabili secondo
modalità già precostituite da altri”.

In proposito, giova premettere che il Tribunale, nella

sentenza impugnata, lungi dal cadere in contraddizione, pone correttamente in evidenza che
le attività criminose attribuite, tra gli altri, al Curtopelle rientrano in “un disegno complessivo
ed unitario gestito dal Capizzi Pietro” – il quale aveva dunque assunto il ruolo di dominus
dell’intera vicenda – sottolineando, al contempo, che il Capizzi era stato “coadiuvato, in diversi
modi e misure, dagli altri coimputati”.
Con specifico riferimento alla posizione del Curtopelle, il Tribunale pone poi in risalto (v. pag.
52 della sentenza impugnata) come questi

“nella sua qualità di soggetto materialmente
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3.3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta il difetto di motivazione in relazione al

incaricato della gestione della contabilità, era destinatario di tutti i numerosissimi fax (in atti)
ove venivano impartite precise disposizioni circa le annotazioni da eseguire a formale copertura
delle distrazioni poste in essere, interloquendo nella maggior parte dei casi con la Gian greco
(impiegata presso la Riesi Maglieria, con mansioni di carattere amministrativo) e in alcuni casi
direttamente con la Pirrone (anch’essa addetta al settore amministrativo della Riesi Maglieria
nonché componente del collegio sindacale della medesima società, n.d.r.).
Dunque, all’imputato non viene mossa l’accusa di essere l’artefice unico degli artifizi contabili
con i quali erano stati falsificati i bilanci delle società facenti parte del “Polo tessile” di Riesi,

società, ma di avere consapevolmente partecipato, sia pure con condotte esecutive delle
disposizioni altrui, alla predisposizione delle false poste di bilancio in parola.
Peraltro, l’appellante non muove alcuna contestazione in ordine all’indicazione, contenuta nella
sentenza impugnata, di precisi elementi documentali dai quali si evince la consapevolezza, da
parte del Curtopelle, della falsità delle registrazioni che andava ad operare, come dimostrano i
testi delle comunicazioni che di seguito si riportano, delle quali l’imputato ha ammesso di
essere, a seconda dei casi, il mittente o il ricevente: – con fax del 31.5.2002, la Pirrone
chiedeva al Curtopelle di annotare ben otto restituzioni effettuate “per cassa” dal Maglificio
Lara a favore della Riesi Finissaggio, indicando date comprese tra il 31 gennaio e il 30 ottobre
dell’anno precedente;
– con fax del 6.7.2001, la Pirrone chiedeva al Curtopelle di aggiungere nella contabilità della
Aurora Confezioni relativa all’anno precedente “altri pagamenti per cassa …” per un totale di
settantasei milioni di lire, che si andavano ad aggiungere ai trecentocinquantuno milioni già
contabilizzati;
– con fax del 21.3.2002, il Curtopelle chiedeva a Giangreco Laura, tra l’altro, “… se magari si
potessero evitare giorni con la cassa negativa …!!!”; – con fax del 15.4.2002, la Giangreco chiedeva al Curtopelle, con riferimento alla contabilità
della Riesi Maglieria s.r.I., di “sistemare banche per questo periodo (il primo trimestre 2002,
n.d.r.)”;
– con fax del 21.3.2002, il Curtopelle comunicava alla Giangreco e alla Pirrone: “questo è il mio

predisposti allo scopo di occultare le distrazioni di ingenti somme di danaro dalle casse delle

c/cassa, al di sotto di questo saldo non posso andare considerando che i fornitori non
coincidono con i tuoi come i finanziamenti passivi e gli anticipi dei soci. Per ridurla
ulteriormente potremmo restituire delle somme ai soci! (… eventualmente fatemi sapere
l’importo. Allego la situazione che rimarrà invariata fino a vs. ulteriore comunicazione)”;
– con fax del 24.4.2002, la Giangreco trasmetteva al Curtopelle una scheda contabile relativa
alla Riesi Finissaggio, concernente annotazioni relative all’anno 2001, “da fare su Riesi f. e M.
Lara nel 2001”;
– con fax del 14.5.2002, la Giangreco scriveva al Curtopelle: “… questa fattura è da registrare
su Aurora e quella che già avevi con il nr. 4 la devi sostituire con la nr. 6 che ti mando. Su
Maglificio Lara, invece, questa fattura la registri a Giugno con data 09/05/01 per la liquidazione 9
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n

di maggio”;
– con fax del 21.5.2002, la Giangreco chiedeva al Curtopelle di farle avere documenti relativi,
tra gli altri, a Capizzi Pietro, Capizzi Giuseppe e Cossalter Laura, specificando: “N.B.: nel caso

in cui detta documentazione “NON ESISTE” ti prego, altresì, di farmelo sapere preferibilmente
non telefonicamente”.
I sopra annotati elementi documentali rendono evidente la materiale compartecipazione del
Curtopelle alle condotte distrattive oggetto del presente giudizio, nonché la perfetta
consapevolezza dell’imputato dell’illiceità delle condotte medesime. Al riguardo, infatti, è

contabili oggetto delle comunicazioni sopra indicate si riferiscono sempre all’annualità
precedente a quella in corso alla data della comunicazione medesima, rendendo evidente lo
scopo di occultare i movimenti distrattivi di danaro precedentemente effettuati da altri
coimputati. Al contempo, il riferimento – nell’ultimo fax citato – a una documentazione che

“non esiste” e la richiesta di comunicazioni da effettuarsi “preferibilmente non telefonicamente”
palesa l’accordo fraudolento del quale l’imputato era consapevolmente partecipe. Al contempo,
il tenore del fax inviato dal Curtopelle in data 21.3.2002 rende evidente che l’imputato aveva
acquisito del sistema dei traffici illeciti di danaro effettuati nell’ambito del “Polo tessile” di Riesi
una tale padronanza da consentirgli di formulare anche proposte circa le annotazioni contabili
da effettuare allo scopo di offrire copertura ai movimenti distrattivi di danaro.>>.
1.2. Come è evidente si tratta di motivazione esaustiva anche nella ricostruzione dei
fatti, sulla quale è inibito il sindacato di legittimità.
Invero, non è consentito a questa Corte trarre valutazioni autonome dalle prove o dalle fonti di
prova, neppure se riprodotte nel provvedimento impugnato. Solo l’argomentazione critica che
si fonda sugli elementi di prova e sulle fonti indiziarie contenuta nel provvedimento impugnato
può essere sottoposto al controllo del giudice di legittimità, al quale spetta di verificarne la
rispondenza alle regole della logica, oltre che del diritto, e all’esigenza della completezza
espositiva (Sez. 6, n. 40609/2008, Rv. 241214, Ciavarella).
E’ peraltro principio consolidato che a questa Corte non possano essere sottoposti giudizi di
merito, non consentiti neppure alla luce del nuovo testo dell’art. 606, lettera e), cod. proc.
pen.. (Sez. 3, n. 44901 del 17/10/2012, F., Rv. 253567).
Chiarito ciò, va detto che con il primo motivo il ricorrente sostiene che le risultanze processuali
in ordine al suo ruolo consentirebbero di escludere la sua responsabilità, mentre sarebbe
errata la decisione dei giudici di merito di ricondurre la sua condotta nell’attenuante prevista
dall’art. 114 cod. pen.
Si tratta con evidenza di deduzioni di merito e per questo inammissibili.
1.3. Infondato è il secondo motivo con il quale si è sostenuto che nelle sentenze dei
giudici di merito si sarebbe ritenuta erroneamente la sua responsabilità anche per fatti di
bancarotta commessi dopo il mese di settembre 2002, sebbene egli avesse cessato di lavorare
da tale mese nello studio di consulenza delle società fallite.
6

sufficiente notare che – come già posto in rilievo dai periti all’uopo nominati – le annotazioni

E’ agevole rilevare sia dalla sentenza di appello che da quella di primo grado, cui la prima ha
fatto legittimamente rinvio, che i fatti per i quali è stata ritenuta la responsabilità del
CURTOPELLE sono circoscritti esattamente al periodo in cui è stata posta da questi una
condotta attiva di concorso nei reati di bancarotta.
Si legge in particolare nella sentenza di primo grado che <>.
In effetti, dagli atti si evince che tutte le notifiche alla GIANQRECO (ivi compreso quella del
decreto di citazione in appello) sono state effettuate nel luogo di residenza in Caltanisetta e
sempre a mani della madre dell’imputata, BELLOMO.
In ordine alla regolarità di tali notifiche non risulta essere stata avanzata alcuna doglianza dalla
difesa della GIANGRECO, mentre solo con il ricorso in cassazione si sostiene di aver eccepito la
nullità della notifica del verbale contenente la nuova contestazione all’udienza del 13 aprile
2010.
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Nel caso in esame si è visto quali sono state le finalità fraudolente che hanno caratterizzato le

Copia del verbale di tale udienza non è stato allegato al ricorso, con ciò violando il principio di
autosufficienza; né esso è stato rinvenuto nel fascicolo trasmesso a questa Corte.
Va detto, peraltro, che nella ricostruzione dello svolgimento del processo fatta dai giudici di
primo grado non risulta che ci sia stata una udienza in data 13 aprile 2010.
Si deve allora ritenere che la dedotta nullità della notifica del verbale contenente la nuova
contestazione si sia sanata.
Né si può trascurare nel caso di specie che tutte le notifiche che risultano in atti siano state
ricevute dalla madre dell’imputata, qualificatasi con la stessa “convivente”.

ai fini della applicazione dell’art. 157 cod. proc. pen., per familiari conviventi devono intendersi
non soltanto le persone che convivono stabilmente con il destinatario dell’atto e che
anagraficamente facciano parte della sua famiglia, ma anche quelle che si trovino al momento
della notificazione nella sua casa di abitazione, purché le stesse, per la qualifica declinata
all’ufficiale giudiziario, rappresentino a quest’ultimo una situazione di convivenza, sia pure di
carattere meramente temporaneo, che legittima nell’agente notificatore il ragionevole
affidamento che l’atto perverrà all’interessato (Sez. 3, n. 5930 del 17/12/2014, Curro’, rv.
263177; precedenti conformi: n. 759 del 1993 rv. 195024, n. 19595 del 2007 rv. 236476, n.
4611 del 2011 rv. 249341, n. 9499 del 2013 rv. 254758).
Si tratta di orientamento prevalente e condiviso da questo Collegio, dovendo pur darsi atto
della minoritaria posizione interpretativa, secondo la quale “è nulla la notifica del decreto di
citazione a giudizio eseguita a mani di persona qualificatasi come suocera dell’imputato in
quanto, ai fini delle notificazioni, la convivenza può presumersi solo in presenza di un rapporto
familiare “qualificato”, quale quello esistente tra genitori e figli minori e tra coniugi” (Sez. 3, n.
14844 del 04/03/2010, P.G. in proc. Cristaudo, Rv. 246969). Va peraltro detto che nel caso
esaminato in tale pronunzia l’ufficiale giudiziario aveva attestato nella relata di aver notificato
l’atto alla suocera, qualificata come “addetta alla casa” e non “familiare convivente”, mentre
nel caso esaminato in questa sede, secondo quanto attestato nella relata di notifica, l’atto è
stato consegnato alla madre della GIANCtRECO, come avvenuto per la notifica degli altri atti del
processo.
E giova evidenziare che questa Corte ha pure precisato, nei casi di notificazione col mezzo
della posta di atti diretti all’imputato, che l’addetto alla consegna del plico non ha l’onere di
verificare se la dichiarazione di convivenza tra il soggetto cui la notifica è destinata e quello al
quale è stata consegnata la copia dell’atto corrisponda alla situazione reale, essendo sufficiente
ed idonea la dichiarazione resa dalla persona rinvenuta nel domicilio dell’interessato; d’altra
parte, la certificazione anagrafica, da cui risulti una diversa situazione, non può prevalere
sull’attestazione del pubblico ufficiale, in quanto ha un valore meramente indiziario della
residenza effettiva, potendo comunque verificarsi che il rapporto di convivenza dichiarato abbia
carattere temporaneo, tale da non essere incompatibile con una diversa residenza anagrafica
(Sez. 5, n. 28617 del 15/06/2004, El Hadda, Rv. 229314)
10

Questa Corte ha più volte precisato che, in materia di notificazione all’imputato non detenuto,

Risulta che solo con l’atto di appello la difesa della ricorrente ha dedotto che la notifica del
verbale contenente la nuova contestazione avrebbe dovuto ritenersi irregolare perché la
GIANGRECO si era trasferita altrove.
Peraltro, nel ricorso si dà pure atto che l’imputata aveva eletto domicilio presso lo studio del
suo difensore, ma anche tale circostanza non è supportata da idonea allegazione documentale.
Va comunque detto, in proposito, che la notificazione della citazione dell’imputato effettuata
presso il domicilio reale, a mani di persona convivente, anziché presso il domicilio eletto, non
integra necessariamente una ipotesi di “omissione” della notificazione ex art. 179 cod. proc.

pen., lett. c), soggetta alla sanatoria speciale di cui all’art. 184, comma 1, alle sanatorie
generali di cui all’art. 183 e alle regole di deducibilità di cui all’art. 182, oltre che ai termini di
rilevabilità di cui all’art. 180, sempre che non appaia in astratto o risulti in concreto inidonea a
determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte del destinatario, nel qual caso integra
invece la nullità assoluta ed insanabile di cui all’art. 179, comma 1, cod. proc. pen., rilevabile
dal giudice di ufficio in ogni stato e grado del processo (Sez. U, sentenza n. 119 del
27/10/2004, Rv. 229540, Palumbo).
Ne deriva nel caso in esame che la notificazione del verbale contenente la nuova contestazione
non può essere considerata inesistente e quindi equiparabile ad una notificazione “omessa”,
ma deve piuttosto reputarsi idonea, in concreto, a determinare la conoscenza dell’atto da parte
dell’imputata, con la conseguenza che la nullità determinatasi, essendo non assoluta ma
generale e di natura intermedia, non può essere eccepita in riferimento ai profili prospettati per
la prima volta in Cassazione.
2.2. Inammissibile è il secondo motivo di ricorso, in quanto finalizzato ad una
rivalutazione delle risultanze processuali e a una diversa ricostruzione dei fatti.
Anche in ordine alla posizione della GIANQRECO la Corte territoriale ha esaustivamente
motivato nelle pagine 15 – 20 della sentenza.
In ordine ai fatti che hanno visto protagonista l’imputata si legge nella sentenza quanto segue:
<< Riguardo al secondo motivo di impugnazione, concernente il ruolo sostanzialmente esecutivo dell'imputata nel settore amministrativo della Finissaggio s.r.I., che escluderebbe, da parte dell'appellante, "la consapevolezza di contribuire a realizzare il (volontario) dissesto dell'impresa o l'insolvenza della stessa per pervenire al fallimento" (così l'atto di appello, pag. 4), deve osservarsi che - dalla disamina del contenuto dei numerosi fax sopra specificamente indicati - questa Corte territoriale non può che pervenire a conclusioni perfettamente in linea con quelle adottate dal Giudice di prime cure, il quale ha avuto modo di precisare che "il contenuto degli scambi con la Gian greco, lungi dal costituire mera registrazione delle disposizioni impartite, presupponeva accordi (più o meno taciti ma) certamente consapevoli del fatto che le annotazioni erano strumentali al perseguimento del risultato contabile utile alla copertura via via necessaria" (cfr. sentenza impugnata, pag. 108). Al riguardo possono richiamarsi il fax del 15.4.2002, con il quale la Giangreco chiedeva al Curtopelle, con 11 pen., ma dà luogo, di regola, ad una nullità di ordine generale a norma dell'art. 178 cod. proc. riferimento alla contabilità della Riesi Maglieria s.r.I., di "sistemare banche per questo periodo (il primo trimestre 2002, n.d.r.)", nonché il fax del 14.5.2002, in cui la Giangreco scriveva al Curtopelle: "... questa fattura è da registrare su Aurora e quella che già avevi con il nr. 4 la devi sostituire con la nr. 6 che ti mando. Su Maglificio Lara, invece, questa fattura la registri a Giugno con data 09/05/01 per la liquidazione di maggio" e il fax del 21.5.2002, con il quale la Giangreco chiedeva al Curtopelle di farle avere documenti relativi, tra gli altri, a Capizzi Pietro, Capizzi Giuseppe e Cossalter Laura, specificando: "N.B.: nel caso in cui detta documentazione effetti, il riferimento a comunicazioni "non telefoniche" In rende anche evidente la piena consapevolezza, da parte dell'imputata, del carattere illecito delle operazioni contabili che stava organizzando con l'ausilio del Curtopelle. Da ultimo, non deve sottacersi che le peculiari competenze dell'imputata - laureata in economia e commercio - costituiscono un ulteriore elemento atto ad escludere che essa non comprendesse a pieno i fini e la portata delle false operazioni contabili che andava annotando nei registri delle varie società del "polo tessile" di Riesi. Pertanto, pur riconoscendo anche questa Corte all'imputata "un ruolo meramente esecutivo ed un'autonomia decisionale assolutamente limitata" - come già fatto dal Tribunale in sede di concessione dell'attenuante di cui all'art. 114 c.p. - deve escludersi che la Giangreco non avesse piena consapevolezza del carattere illecito delle proprie condotte e, conseguentemente, anche il secondo motivo di appello deve essere rigettato>>.
Quindi la Corte territoriale, richiamando anche l’ampia motivazione della sentenza di primo
grado, ha risposto alle doglianze proposte dalla difesa dell’imputata con l’atto di appello,
delimitando il ruolo della GIANCRECO nei termini evincibili dalle risultanze processuali e sulla
base della corretta ricostruzione dei fatti, sia sotto il profilo temporale che sotto quello modale.
Peraltro, puntualissima è stata la valutazione delle risultanze processuali come operata dal
Tribunale, il quale ha sottolineato come palese fosse <> (pagg. 108 – 109 della
sentenza di primo grado).
2.3. Anche i motivi relativi al diniego delle attenuanti generiche e alla determinazione
del trattamento sanzionatorio sono manifestamente infondati.
La Corte territoriale, sulle analoghe doglianze proposte con l’atto di appello, ha così motivato:
« Quanto all’ultimo motivo di impugnazione, relativo alla mancata concessione delle

nulla la difesa appellante ha provato in ordine alla condotta di vita antecedente,
contemporanea e susseguente al reato, ovvero in ordine alle sue condizioni di vita individuale e
sociale, dovendosi, al contrario, rilevare che il titolo di studio della Giangreco non consente di
valutare le sue condizioni di vita tali da costituire un valido motivo per la concessione del
chiesto beneficio. Inoltre, deve aggiungersi che l’età della Giangreco all’epoca dei fatti – ossia
circa ventotto anni – non appare certamente atto a fondare, di per sé, un giudizio di
meritevolezza dell’attenuante. Infine, non si può convenire con la difesa appellante sulla

“minima intensità del dolo” dell’imputata, attesa, al contrario, la piena consapevolezza delle
proprie azioni che deve addebitarsi, in virtù delle considerazioni sopra esposte, alla Giangreco,
la quale risulta docunnentalmente aver tenuto per oltre un anno le condotte illecite a lei
ascritte>>.
Si tratta di motivazione sufficiente ed esente da vizi logici.
In proposito, si rileva che, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche,
non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o
sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a
quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale
valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899).
Va qui ulteriormente detto che la motivazione articolata dalla Corte di Appello consente di
ritenere ampiamente giustificata sia l’entità della pena irrogata sia la mancata concessione
delle attenuanti generiche, giacché si tratta di un giudizio di fatto, sottratto al controllo di
legittimità e che può ben essere giustificato implicitamente attraverso l’esame esplicito dei
criteri di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 6, n. 36382 del 04/07/2003, Dell’Anna e altri, Rv.
227142; Sez. 4, n. 2840 del 21/02/1997, La Legname e altro, Rv. 207668).
Né può trascurarsi che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di
merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati
negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di
cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non
sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione
(Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Ferrario, Rv. 259142; precedenti conformi: n. 481 del 1992,
Rv. 188951; n. 829 del 1995, Rv. 200641; n. 1182 del 2008, Rv. 238851).
13

attenuanti generiche e del minimo edittale della pena, deve osservarsi, in primo luogo, che

P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali ed
al rimborso, in solido tra loro, alle parti civili delle spese che liquida in euro 6000,00, oltre
accessori di legge.

d

Così deciso in Roma, il 6 novembre 2015

oonsigl ere estensore

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