Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8241 del 19/01/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 8241 Anno 2016
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RIVIEZZI SAVERIO N. IL 27/06/1964
avverso l’ordinanza n. 146/2015 TRIB. LIBERTA’ di POTENZA, del
26/09/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA
SILVIO BONITO;
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lette/sectite le conclusioni del PG Dott.

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Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 19/01/2016

4.329-2k

La Corte, ritenuto in fatto e considerato in diritto

1. Con ordinanza del 26 settembre 2015, pronunciata ai sensi
dell’art. 310 c.p.p., il Tribunale di Potenza rigettava l’appello
avverso il provvedimento con il quale, la corte distrettuale lucana,
in data 23 luglio 2015, aveva negato la revoca ovvero la
sostituzione della misura cautelare in corso con quella degli arresti
domiciliari richieste da Riviezzi Saverio, in stato di custodia
cautelare in carcere in forza di ordinanza del GIP del 12.2.2010 per
i reati di associazione per delinquere di stampo mafioso ed altro.
2. Chiariva il tribunale, innanzitutto, che il Riviezzi era stato
condannato in primo grado, con sentenza confermata in appello,
alla pena di quindici anni di reclusione per il reato associativo (per i
restanti reati era infatti intervenuta pronuncia assolutoria) e che con
l’impugnazione l’appellante deduceva: la sentenza assolutoria
pronunciata dal GUP di Salerno il 10 luglio 2015 in ordine alla
contestazione a suo carico di omicidio dei coniugi GianfrediSantarsiero; l’annullamento con rinvio da parte della corte di
cassazione della sua condanna nel primo processo c.d. “Basilischi”;
la novella modificativa dell’art. 274 co. 1 lett. c) là dove fa divieto
di dedurre l’attualità del pericolo concreto riferibile all’indagato
dalla gravità del titolo del reato per cui si procede; l’assenza di
pericolo di inquinamento probatorio, attesa la fase processuale in
atto, ovvero di reiterazione di analoghe condotte delittuose;
l’espiazione di oltre un terzo della pena inflitta.
In contrario il tribunale osservava: la corte distrettuale,
confermando la condanna di prime cure, ha evidenziato la caratura
criminale dell’imputato, a capo di una associazione di stampo
mafioso; il decorso del tempo dall’inizio della misura impugnata
non rileva in assenza di elementi di sicura valenza sintomatica,
dimostrativi di un sostanziale cambiamento del quadro delle
esigenze cautelari; le novità normative non incidono, nel caso
concreto, sulla legittimità della motivazione di rigetto impugnata; il
ridimensionamento dei fatti, conseguenza della condanna parziale
rispetto al complesso delle accuse contestate, non incide in maniera
dirimente sulle esigenze cautelari, attesa la gravità dei fatti accertati
e la severità della condanna, giustificata dalla caratura criminale del
prevenuto; la contestazione associativa infatti è stata riconosciuta
con condotta perdurante ed in assenza di qualsiasi atteggiamento
dissociativo; il radicamento sul territorio non consente di ritenere
scemate le esigenze cautelari, nonostante il tempo trascorso in
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2. Ricorre per cassazione avverso l’ordinanza anzidetta il Riviezzi,
assistito dal difensore di fiducia, sviluppando un unico ed articolato
motivo di impugnazione, con il quale ne denuncia la illegittimità
per violazione di legge, degli artt. 8 1. 47/215 e 292 c.p.p. nonché
vizio della motivazione al riguardo.
Argomenta in particolare la difesa ricorrente: il tribunale omette di
motivare e comunque motiva apparentemente su punti rilevanti
della vicenda processuale per cui è causa; nello specifico: nessuna
contestazione è stata mai mossa all’imputato in ordine a suoi
rapporti e/o legami con la criminalità del vulture-melfese; la
capacità criminale del Riviezzo non può essere dedotta dalla gravità
del reato ed a tal fine occorre considerare le assoluzioni intervenute
in questo ed in altri processi; non vi è alcun elemento per affermare
la disponibilità di armi in capo al Riviezzi; niente prova la volontà
di vendetta dell’imputato verso i collaboratori che lo hanno
accusato; è lo stesso tribunale a rilevare la sinteticità della
motivazione articolata dal giudice di prima istanza; è illogico
affermare che l’assoluzione in primo grado dall’accusa omicidiaria
da parte del GUP di Salerno non integra ridimensionamento dei fatti
perché la condanna a quindici anni di reclusione evidenzia, e qui un
nuovo errore procedurale alla luce della novella sulla disciplina
cautelare personale, la gravità del reato; la gravità della pena è
collegata esclusivamente alla previsione normativa; l’imputato è
stato condannato perché ritenuto a capo di una associazione per
delinquere di tipo mafioso composta da solo cinque persone, non ha
commesso reati fine, opera in un ambito territoriale assai ristretto;
la contestazione associativa è “chiusa” fino al 2008 (dal 2004); il
tribunale ha completamente omesso di motivare in ordine alla
novella ex 1. 47/2015 ed in particolare non ha tenuto conto delle
disposizioni dell’art. 8 della novella; manca infatti una autonoma
valutazione delle specifiche esigenze cautelari e delle ragioni per le

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carcere; non rileva, ai fini del presente giudizio, l’assoluzione
dall’omicidio dei coniugi Gianfredi; l’annullamento di legittimità
della sentenza che riconosce l’esistenza del clan dei Basilischi è,
innanzitutto, un annullamento con rinvio eppertanto non definitivo
e non può incidere sulla valutazione probatoria operata, con la
diversa sentenza di condanna per cui è causa, sui fatti posti a
fondamento di essa; l’imputato inoltre è gravato da altri
procedimenti per fatti allarmanti (reati in materia di armi, di
stupefacenti, ancora reato di cui all’art. 416-bis c.p., rapina
aggravata ex art. 7 1. 203/91); permangono pressanti esigenze
cautelari soddisfabili soltanto con la misura di maggiore severità.

3. Il ricorso è manifestamente infondato.
In sede di appello proposto ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen.
l’esistenza del giudicato cautelare preclude la valutazione della
istanza di sostituzione della misura della custodia in carcere in
assenza della chiara specificazione ed indicazione di fatti
sopravvenuti. Come da consolidato insegnamento di questa corte,
l’operatività della preclusione processuale (o giudicato cautelare) —
comunque limitata allo stato degli atti – è strettamente connessa al
contenuto dell’art. 299, commi primo e secondo, cod. proc. pen.,
che attribuisce alle misure cautelari coercitive una precisa
connotazione dinamica, nel senso che i relativi provvedimenti de
libertate devono essere costantemente adeguati agli sviluppi che
intervengono nel corso delle indagini, con la conseguenza che il
giudice ha l’obbligo di procedere ad una rivalutazione globale,
“anche per fatti sopravvenuti”, del quadro di gravità indiziaria, della
persistenza delle esigenze cautelari o della loro attenuazione e della
proporzione della misura adottata all’entità del fatto o alla sanzione
irrogabile, ma in assenza di decisive prospettazioni in questo senso,
l’appello ricade inevitabilmente nell’area processuale della
inammissibilità.
Nel caso di specie il quid novi rappresentato dalla difesa ricorrente
sta nel decorso del tempo, nell’assoluzione dai reati fine collegati
all’associazione malavitosa per la quale è residuata la pena della
corte distrettuale, nelle sentenze assolutorie del GUP di Salerno,
nella sentenza di annullamento con rinvio della Corte di Cassazione
in relazione a distinta contesazi2ssociativa, nella mancata
applicazione della novella di cuiy7/2015, sia in relazione al
disposto dell’art. 8, sia in relazione alla integrazione delle norme
propriamente cautelari con riferimento alla omessa motivazione
della ineluttabilità applicativa della misura di maggior rigore.
Nessuno degli argomenti difensivi si appalesa decisivo ed
apprezzabile ai fini dell’invocato annullamento.
Orbene, rammenta dapprima il Collegio) il dato circostanziale
decisivo che l’istante è sottoposto alla misura cautelare della
detenzione in carcere in quanto imputato del reato di cui all’art.
416-bis c.p., reato questo per il quale la disciplina in materia è

quali esse non possono essere soddisfatte con misure meno gravose;
la novella impone il riconoscimento di esigenze caratterizzate
dall’attualità ed indica la necessità di adeguata motivazione sul
punto; l’una e l’altra cosa latitano nel provvedimento impugnato,
tenuto conto delle circostanze fattuali evidenziate come innanzi
dalla difesa.

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4. Il ricorso va, conclusivamente, dichiarato inammissibile con la
conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., al
pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della
Cassa per le ammende, liquidata equitativamente in euro 1000,00.

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particolarmente severa, posto che, in costanza di esigenze cautelari,
non ha il giudice, ai fine di assicurarle, possibilità di scelta diversa
da quella di massimo rigore. E nel caso di specie che residuino
esigenze cautelari è implicitamente ammesso dallo stesso ricorrente,
il quale infatti, nel richiedere la sostituzione della misura più severa
con quella degli arresti domiciliari, ne riconosce il presupposto
necessario, la ricorrenza di esigenze cautelari.
Quanto poi al tempo decorso dall’inizio della misura, è costante
l’insegnamento di legittimità (Cass. Sez. 4, n. 34786 del
08/04/2014, Rv. 260293) secondo cui, al fine di verificare
l’attenuazione, ovvero il venir meno, delle esigenze cautelari in sede
di richiesta di sostituzione, ovvero di revoca, della misura
custodiale in atto, il mero decorso del tempo dall’instaurazione del
vincolo non è di per sé rilevante, ma può essere considerato
unitamente ad altri elementi specifici, idonei a verificarne
l’incidenza sull’intensità del pericolo di recidiva del prevenuto,
sempre che risulti l’irreversibile recisione dei legami di quest’ultimo
con l’associazione criminosa di appartenenza.
E nel caso di specie non ha certo addotto la difesa ricorrente
alcunchè nel senso detto, se non una enfatizzazione di vicende
processuali parallele} certamente non incidenti sulla doppia
condanna alla pena di anni quindici di reclusione, espressiva,
nonostante il diverso opinamento difensivo, di una valutazione
estremamente preoccupata dei giudicanti non già della gravità del
reato, bensì dei fatti giudicati e circa il comportamento futuro
dell’imputato se posto in libertà.
Del tutto generica si appalesaa Jnoi
la wnsura motivazionale
collegata all’art. 8 della novellap-7/201 , sia perché per nulla
evidenziata la mancanza di una autonoma valutazione delle
circostanze processuali e fattuali compendio della vicenda in esame,
sia perché ampia, diffusa ed esaustiva, comunque, la motivazione
impugnata, la quale dà atto, in termini di indubbia logicità
dialettica, della permanenza di esigenze cautelari perché gravi i fatti
giudicati, perché contestato il reato con condotta permanente,
nonostante il contrario avviso difensivo, perché non dissociatosi per
nulla l’imputato, perché gravissimi i suoi precedenti e gravi le
pendenze a carico, tra le quali una nuova accusa di reato
associativo.

Trasmessa copia ex art. 23
n. i ter 1.,8-8-95
n. 332

ma,

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di
euro 1000,00 in favore della Cassa per le ammende. DISPONE
trasmettersi a cura della cancelleria, copia del provvedimento al
direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter,
disp. att. c.p.p..
Roma, addì 19 gennaio 2016

P. Q. M.

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