Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 822 del 20/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 822 Anno 2016
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: DE MASI ORONZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
BERTONI Maurizio, nato il 22/7/1951

avverso l’ordinanza del 22/9/2015 del Tribunale del Riesame di Brescia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Oronzo De Masi;
udito sentita/lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Gabriele Mazzotta, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. Mauro Moretti che ha concluso chiedendo raccoglimento del ricorso .

Data Udienza: 20/11/2015

RITENUTO IN FATTO
La Corte di Appello Brescia, adita ex art. 310 c.p.p., con ordinanza del 29/7/2015 rigettava
l’istanza del 27/7/2015, con cui BERTONI Maurizio aveva chiesto la declaratoria di inefficacia
della misura cautelare della custodia in carcere disposta dal G.I.P. del Tribunale di Brescia nei
suoi confronti – e nei confronti di BLAM Massimo e MINELLI Danilo – con ordinanza dell’
8/4/2013, invocando l’effetto estensivo delle ordinanze pronunciate, in data 10-12/6/2014, dal
Tribunale del Riesame di Brescia e, in data 6/8/2014, dal Tribunale di Brescia Sezione Feriale,

al 18/6/2009 e al 28/10/2009, date di emissione delle ordinanze coercitive, la decorrenza dei
termini di durata massima delle misure applicate, con conseguente declaratoria ex art. 303,
lett. a) n. 3, c.p.p. di inefficacia dei titoli di carcerazione.
Accadeva, che il G.I.P. del Tribunale di Brescia, con ordinanza del 22/1/2009, aveva disposto,
nei confronti del BERTONI, la misura cautelare della custodia in carcere per il reato di traffico
illecito di sostanze stupefacenti aggravato e, per gli stessi fatti, con ordinanze del 18/6/2009 e
del 28/10/2009, aveva adottato analoga misura cautelare nei confronti dei coimputati BLAM
e MINELLI.
Tuttavia, mentre il BERTONI era stato tratto in arresto, unitamente al corriere Culic Ivo, in
flagranza del delitto di cui all’art. 73 legge stupefacenti, l’esecuzione dell’arresto del BLAM e
del MINELLI era stato ritardato dal P.M. bresciano, ai sensi dell’art. 98 stessa legge, per il
completamento delle attività d’indagine, con provvedimento datato 23/1/2009.
Il difensore del BERTONI, con ricorso del 7/9/2015, impugnava innanzi al Tribunale del
Riesame di Brescia la decisone della Corte territoriale, deducendo che i fatti contestati al
proprio assistito erano del tutto sovrapponibili a quelli contestati ai coimputati BLAM e
MINELLI, e che l’associazione a delinquere di cui al capo 10) dell’imputazione era contestata al
BERTONI solo fino alla data del suo arresto, avvenuto il 22/1/2009, per cui si trattava di fatti
tutti commessi in epoca anteriore all’emissione della prima ordinanza di custodia in carcere,
quella appunto del 22/1/2009, per il traffico illecito di sostanze stupefacenti.
Il Tribunale del Riesame, nel respingere l’appello,

osservava:

che, per i fatti di cui

all’ordinanza cautelare del 22/1/2009, il BERTONI era stato condannato alla pena di anni sei di
reclusione, giusta sentenza del 26/6/2009, irrevocabile il 9/6/2011; che la successiva
ordinanza cautelare dell’ 8/4/2013 era stata adottata nei confronti dell’imputato, per traffico
di stupefacenti (capo 2 dell’imputazione), fatti temporalmente antecedenti rispetto a quelli
oggetto della prima ordinanza di custodia in carcere, in quanto risalenti all’11/11/2008,
nonché per il reato di associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti
(capo 10 dell’imputazione), fatti commessi sino alla data dell’arresto, risalente appunto ai
22/1/2009, e dunque coincidenti con la data di adozione della prima misura, tutti giudicati
con la sentenza di primo grado, appellata dall’imputato, con cui era stato condannato alla
pena di anni tre e mesi quattro di reclusione; che non ricorrevano i presupposti dell’operatività
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a favore dei due predetti coimputati, i quali si erano visti così retrodatare, rispettivamente,

dell’istituto della “contestazione a catena” di cui all’art. 297, c.3., c.p.p., in quanto all’epoca
– aprile 2009 – del rinvio a giudizio del prevenuto per i fatti di cui alla prima ordinanza
cautelare, non erano desumibili gravi indizi di colpevolezza in ordine ai fatti di reato oggetto
della successiva ordinanza custodiale; che non era applicabile la retrodatazione dei termini di
custodia cautelare alla data della prima ordinanza, con conseguente declaratoria di inefficacia
della misura, in quanto la posizione processuale del BERTONI, ancorchè sovrapponibile a quella
dei coimputati BLAM e MINELLI, era stata caratterizzata da un iter processuale diversificato ed
andava esclusa la desumibilità degli elementi per emettere la nuova ordinanza sino all’epoca

Il BERTONI ricorre per cassazione, tramite il difensore fiduciario, denunciando, con il primo
motivo di doglianza, violazione di legge e vizio motivazionale dell’impugnata ordinanza, al
sensi dell’art. 606, c.1, lett. b) e lett. e), c.p.p., in relazione all’art. 125, c. 3, c.p.p. e all’art.
587 c.p.p., per aver il Tribunale del Riesame ritenuto inapplicabile l’estensione, giusta
ordinanze del medesimo Tribunale nei confronti dei coimputati BLAM e MINELLI, della
retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, a nulla rilevando, ai fini qui
considerati, la discrezionalità del giudice nella valutazione delle singole posizioni processuali o
la diversità dell’iter procedimentale che aveva riguardato gli imputati e, con il secondo motivo,
violazione di legge, ai sensi dell’art. 606, c.1, lett. b) e lett. e), c.p.p., relazione all’art. 125, c.
3, c.p.p. e all’art. 297, c.3, c.p.p., per aver il Tribunale del Riesame escluso l’applicabilità
della retrodatazione del termine massimo di custodia cautelare prevista dalla richiamata
disposizione, con motivazione apparente, contraddittoriamente affermando che la posizione del
ricorrente è del tutto sovrapponibile a quella dei coimputati ma che cionondimeno non fossero
desumibili i fatti reato oggetto della seconda ordinanza cautelare già al tempo della emissione
della prima misura.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e va respinto.
Con l’art. 297 c.p.p., comma 3, disciplinante l’istituto cosiddetto della “contestazione a
catena”, il Legislatore ha voluto codificare la

regula iuris,

frutto dell’elaborazione

giurisprudenziale formatasi sotto la vigenza del previgente codice di rito, con la quale si era
stabilita una deroga al principio della decorrenza autonoma dei termini di durata massima della
custodia in relazione a ciascun titolo cautelare, all’evidente fine di evitare il fenomeno della
“diluizione” nel tempo della “carcerazione provvisoria”, attuata mediante l’emissione, in
momenti diversi, nei confronti della stessa persona di più provvedimenti coercitivi concernenti
il medesimo fatto, diversamente qualificato o circostanziato, ovvero riguardanti fatti di reato
diversi ma connessi tra loro.
Seguendo il percorso argomentativo fissato dalle Sezioni Unite con due decisioni (Sez. U, n.
14535/07 del 19/12/2006, Librato, Rv. 235909-10-11; Sez. U, n. 21957 del 22/03/2005, P.M.
in proc. Rahulia ed altri, Rv. 231057-8-9), con riguardo alla contestazione di reati diversi,
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del primo rinvio a giudizio.

variamente collegabili tra loro, è possibile riconoscere distinte situazioni, alle quali
corrispondono altrettante, distinte regole operative.
In tutti i casi (Sez. 2, n. 13021 del 10/3/2015, Rv. 262933) è necessario, perché si possa
parlare di “contestazione a catena” e perché possa eventualmente trovare applicazione la
disciplina della retrodatazione della decorrenza del termine di durata massima della custodia
cautelare, che i delitti oggetto della ordinanza cautelare cronologicamente posteriore siano
stati commessi in data anteriore a quella di emissione della ordinanza cautelare
cronologicamente anteriore (in questo senso, ex plurimis, Sez. 6, ne 31441 del 24/4/2012, Rv.

Il presupposto della anteriorità dei fatti oggetto della seconda ordinanza coercitiva, rispetto
all’emissione della prima non ricorre – ma questa ipotesi nel caso di specie non rileva – allorché
il provvedimento successivo riguarda un reato di associazione e la condotta di partecipazione si
sia protratto dopo l’emissione della prima ordinanza.
Il G.I.P. del Tribunale di Brescia ha disposto la custodia cautelare in carcere del BERTONI, con
una prima ordinanza, quella del 22/1/2009, per il reato di

traffico illecito di sostanze

stupefacenti culminato nell’arresto in flagranza e, con una seconda

ordinanza, quella

dell’8/4/2013, per traffico di stupefacenti (capo 2 dell’imputazione), nonché per il reato di
associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (capo 10
dell’imputazione), fatti commessi sino alla data dell’arresto.
Il prevenuto è stato poi rinviato a giudizio, nell’aprile del 2009, per i fatti di cui alla prima
ordinanza cautelare e condannato, con sentenza del 9/6/2010, irrevocabile il 22/12/2011,
alla pena di anni sei di reclusione.
Siffatta situazione è riconducibile a quella contemplata nel secondo periodo dell’art. 297
c.p.p., comma 3, in quanto presuppone l’accertata esistenza, tra i fatti oggetto delle plurime
ordinanze cautelari, di una delle tre forme di connessione qualificata previste dalla norma – che
non è qui in contestazione – ma è caratterizzata dall’intervenuta emissione del decreto di rinvio
a giudizio per i fatti oggetto del primo provvedimento coercitivo.
Tale ipotesi presuppone, ovviamente, che le due o più ordinanze siano state emesse in distinti
procedimenti, ma (come hanno chiarito le Sezioni unite nelle più volte richiamate sentenze) è
irrilevante che gli stessi siano “gemmazione” di un unico procedimento, vale a dire siano la
conseguenza di una separazione delle indagini per taluni fatti, oppure che i due procedimenti
abbiano avuto autonome origini ((Sez. 2, n. 13021/2015, citata).
Trovando applicazione la regola dettata dal secondo periodo dell’art. 297 c.p.p., comma 3, la
retrodatazione della decorrenza dei termini di durata massima delle misure applicate con la
successiva o le successive ordinanze opera solo se i fatti oggetto di tali provvedimenti erano
desumibili dagli atti già prima del momento in cui è intervenuto il rinvio a giudizio per i fatti
oggetto della prima ordinanza ( Cass. n. 42442 del 26/9/2013 Rv. 257380, n. 50128 del
21/11/2013 Rv. 258500, n. 17918 del 3/4/2014 Rv. 259713).

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253237; Sez. 6, n. 15821, del 3/4/2014 Rv 259771).

Il Tribunale del Riesame ha affrontato la questione negli esatti termini di cui all’indirizzo
giurisprudenziale sopra ricordato ed ha escluso che pur trattandosi degli stessi fatti storici, si
potessero ricavare dalle vicende processuali riguardanti i coimputati BLAM e MINELLI, già
all’epoca della prima ordinanza e del rinvio a giudizio del BERTONI, gravi indizi di colpevolezza
(art. 273 c.p.p.) in ordine ai fatti di reato posti a fondamento della seconda ordinanza
cautelare adottata nei confronti del ricorrente.
Questa ‘Corte ha affermato che, in tema di retrodatazione della decorrenza dei termini di
custodia cautelare, la nozione di anteriore “desumibilità” delle fonti indiziarie, poste a

cautelare, non va confusa con quella di semplice “conoscenza” o “conoscibilità” dì determinate
evenienze fattuali.
Infatti, la desumibilità, per essere rilevante ai fini del meccanismo di cui all’art. 297 c.p.p.,
comma 3, deve essere individuata nella condizione di conoscenza, da un determinato
compendio documentale o dichiarativo, degli elementi relativi ad un determinato fatto-reato
che abbiano in sè una specifica “signìficanza processuale” (così, Sez. 3, n. 18671 del
1571/2015, Rv. 263511).
Ciò si verifica allorquando il pubblico ministero procedente sia nella reale condizione di
avvalersi di un quadro sufficientemente compiuto ed esauriente, sebbene modificabile nel
prosieguo delle indagini, del panorama indiziario, tale da consentirgli di esprimere un meditato
apprezzamento prognostico della concludenza e gravità delle fonti indiziarle, suscettibili di dare
luogo – in presenza di concrete esigenze cautelari – alla richiesta ed all’adozione di una misura
cautelare (Sez. 4, n. 15451 del 14/03/2012, Rv. 253509; Sez. 6, n. 11807 del 11/02/2013,
Rv. 255722).
Ne consegue che del tutto correttamente, nella esaminata fattispecie, è stata escluso che la
“desumibilità” allo stato degli atti, al momento dell’emissione della prima ordinanza, potesse
ricavarsi dal decreto, in data 23/1/2009, di ritardata esecuzione dell’arresto dei coimputati
BLAM e MINELLI (allegato in copia la ricorso di legittimità), per il solo riferimento, nel
provvedimento, ad un’ipotesi investigativa concernente l’esistenza “di un sodalizio criminoso
finalizzato in modo continuativo al traffico all’ingrosso di sostanze stupefacenti nonché in
ordine al modus operandi di detta associazione, all’individuazione dei canali di importazione
dall’estero dello stupefacente, di eventuali nascondigli della sostanza citata, dei mezzi utilizzati
per riciclare il provento dell’illecita attività”, dovendosi anche considerare la rilevata esigenza dì
“completamento della attività d’indagine … al fine di acquisire rilevanti e decisivi elementi
probatori in ordine all’esistenza dell’ipotizzato sodalizio criminoso”, contenuta nella parte
dispositiva.
Sotto tale profilo quindi non è ravvisabile alcuna contraddittorietà tra omogeneità delle
posizioni processuali e diversità dell’iter processuale, ove la affermazione si intenda riferita
alla evoluzione diacronica del quadro indiziario della ipotizzata partecipazione all’associazione
di ciascuno degli imputati.
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fondamento dell’ordinanza cautelare successiva, dagli atti inerenti la prima ordinanza

Ne è superfluo evidenziare che in materia di associazione per delinquere finalizzata al traffico
di stupefacenti, come costantemente affermato nella giurisprudenza di questa Corte, la
commissione di ripetuti reati di “spaccio” ex art. 73 D.P.R. n. 309/1990, non può da sola
costituire prova dell’integrazione del reato associativo, rappresentando al più indice
sintomatico dell’esistenza dell’associazione, che va accertata con riferimento all’accordo tra i
sodali, alla struttura organizzativa ed all’ “affectio societatis” (Sez. 6, n. 24379 del 4/2/2015,
Rv. 264177).
Il Tribunale del Riesame in conclusione ha adeguatamente chiarito come, al momento

ancora sino all’epoca della richiesta di rinvio a giudizio, non fossero desumibili dagli atti a
disposizione del P.M. elementi che potessero giustificare la richiesta di emissione della seconda
ordinanza cautelare, considerato che le date (18/6/2009 e 28/10/2009) delle ordinanze
custodiali emesse nei confronti dei coimputati, cui pure è stata riportata la decorrenza dei
termini di durata massima delle misure loro applicate, sono comunque successive sia alla
prima ordinanza cautelare (22/1/2009), che al rinvio ai giudizio dell’odierno ricorrente (aprile
2009).
Ed in tema di “contestazioni a catena”, è onere della parte, che invoca la retrodatazione della
decorrenza del termine di custodia cautelare, provare la desunnibiiità dagli atti, del fatto di
reato oggetto dell’ordinanza successiva (Sez. n. 18671 dei 15/1/2015, Rv. 263511, n. 6374 del
28/1/2015, Rv. 262577).
Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 20 novembre 2015.

dell’emissione della prima delle due ordinanze cautelari adottate nei confronti del ricorrente, ed

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