Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 82 del 10/11/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 82 Anno 2016
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: CENTONZE ALESSANDRO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
1) Sorgenti Franco, nato 1’01/04/1948;

Avverso l’ordinanza n. 174/2015 emessa il 07/07/2015 dal Tribunale del
riesame di Perugia;

Sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. Alessandro Centonze;

Sentite le conclusioni del Procuratore generale, in persona del dott.
Francesco Mauro Iacoviello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Sentito per il ricorrente l’avv. Manlio Morcella e l’avv. Enrico De Luca;

Data Udienza: 10/11/2015

RILEVATO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa il 07/07/2015, ai sensi dell’art. 310 cod. proc.
pen., il Tribunale del riesame di Perugia confermava il rigetto della richiesta di
revoca o sostituzione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere applicata a
Franco Sorgenti dal G.I.P. del Tribunale di Terni il 18/05/2015, che era stata
presentata dal suo difensore ex art. 299 cod. proc. pen. L’indagato, in
particolare, risultava sottoposto al regime cautelare di cui si chiedeva la modifica

Nel confermare il provvedimento cautelare sottoposto a impugnazione il
giudice del gravame richiamava preliminarmente la decisione intervenuta in sede
di riesame ex art. 309 cod. proc. pen., evidenziando che, rispetto a tale
pronunzia, non erano stati acquisiti elementi di novità processuale, valutabili ai
sensi dell’art. 310 cod. proc. pen. in senso conforme alla richiesta presentata
dalla difesa del Sorgenti.
Sulla scorta degli elementi indiziari che erano già stati valutati nel senso
evidenziato, dunque, il Tribunale del riesame di Perugia confermava il giudizio di
gravità, precisione e concordanza del compendio indiziario precedentemente
vagliato in senso sfavorevole all’indagato, rilevando ulteriormente che l’azione
criminosa che aveva portato all’uccisione della moglie del Sorgenti, Laura Liví,
nel corso di una lite familiare verificatasi il 29/10/2014 era rivelatrice di
un’assenza di freni inibitori da parte dell’indagato.
Queste conclusioni processuali, pertanto, venivano formulate attraverso una
ricostruzione accurata del compendio indiziario acquisito nel corso delle indagini
preliminari e venivano ulteriormente riconsiderate ai fini della valutazione della
pericolosità sociale del ricorrente.
In tale ambito, innanzitutto, si evidenziava che il Sorgenti, nel corso di un
furibondo litigio con la consorte, le sferrava due fendenti che la colpivano allo
stomaco; subito dopo, condotta la figlia Giulia che piangeva nella propria
camera, si lavava, si cambiava d’abito e si presentava spontaneamente presso la
Casa circondariale di Terni.
Si evidenziava, inoltre, che, nelle more del procedimento, il Tribunale per i
minorenni di Perugia aveva sospeso provvisoriamente le facoltà genitoriali del
Sorgenti, affidando le figlie ai servizi sociali, collocandole presso l’abitazione dei
nonni materni.
Non si riteneva, infine, che costituisse un elemento di novità processuale
rilevante in senso favorevole al Sorgenti la circostanza che il ricorrente aveva
richiesto di essere ospitato presso la Comunità Incontro di Amelia – che
costituiva una struttura protetta convenzionata con il Ministero della Giustizia 2

con l’istanza in esame per l’omicidio aggravato della moglie Laura Livi.

dove potere scontare la misura cautelare agli arresti domiciliari, non potendo tale
elemento, di per sé solo, essere ritenuto utile ai fini di una rivalutazione
complessiva del regime cautelare patito dall’indagato, restando immutato
l’originario giudizio di pericolosità sociale.
Ricostruita in questi termini la vicenda processuale, il Tribunale del riesame
di Perugia confermava l’ordinanza impugnata.

2. Avverso tale provvedimento di rigetto Franco Sorgenti, a mezzo dei suoi

vizio di motivazione, in relazione alla ritenuta insussistenza dei presupposti
cautelari per la modifica del regime detentivo carcerario patito dall’indagato, che
era stato valutato nell’ordinanza impugnata in termini manifestamente illogici ed
espressi in termini argomentativi apodittici. A supporto di tali considerazioni
processuali, la difesa del ricorrente ripercorreva preliminarmente la vicenda
delittuosa che vedeva coinvolto il Sorgenti, evidenziando come il litigio in seguito
al quale la Livi veniva uccisa giungeva al culmine di una lunga serie di
umiliazioni, personali e sentimentali, che l’indagato aveva patito per mano della
vittima.
Si deduceva, in tale ambito, che il giudice del riesame, pur avendo
richiamato formalmente i parametri processuali che consentivano di ritenere
sussistente il quadro cautelare sottoposto alla sua cognizione, aveva eluso il
tema processuale sottoposto al suo giudizio – costituito dalla necessità di una
rivalutazione complessiva della pericolosità sociale dell’indagato – ritenendo che
l’unico elemento di novità addotto fosse costituito dalla disponibilità del
ricorrente di essere allocato, agli arresti domiciliari, presso una comunità
protetta.
Si trascuravano, in questo modo, gli ulteriori elementi valutativi introdotti
dalla difesa del Sorgenti, rappresentati dall’assenza di pregiudizi penali del
ricorrente; dal conseguire l’azione criminosa ad accadimenti non determinati
dall’indagato; dall’atteggiamento di collaborazione del Sorgenti, manifestatosi
nell’immediatezza dei fatti in contestazione; dalla necessità di una rivalutazione
complessiva della pericolosità sociale dell’indagato, che tenesse conto della
modifica normativa dell’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., introdotte
con gli artt.1 e 2 della legge 16 aprile 2015, n. 74
Si rappresentava, inoltre, che il lasso di tempo trascorso dai fatti in
contestazione, in assenza di un percorso processuale finalizzato ad attualizzare la
misura cautelare della custodia in carcere in atto applicata al Sorgenti,
determinava la manifesta illogicità dell’ordinanza in esame, che si chiedeva di
rivalutare. Dallo stesso provvedimento impugnato, infatti, emergeva l’assenza di
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difensori di fiducia, ricorreva per cassazione, deducendo violazione di legge e

attualità delle esigenze cautelari legittimanti il permanere del regime restrittivo
al quale era sottoposto il Sorgenti, resa evidente dall’assenza di evidenze
probatorie comprovanti la sua pericolosità sociale, che avevano indotto lo stesso
pubblico ministero a esprimere parere favorevole all’accoglimento dell’istanza
proposta.

2.1. Infine, in data 04/11/2015, la difesa dell’indagato depositava memoria
per l’udienza camerale del 10/11/2015, nelle quali si evidenziava che la modifica

artt.1 e 2 della legge n. 74 del 2015 – imponeva una rivalutazione del requisito
dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato, tenuto conto delle emergenze
probatorie concrete, riguardanti la posizione del Sorgenti.
Si richiamava, in proposito, l’orientamento ermeneutico secondo cui il
requisito della concretezza del pericolo di commettere ulteriori reati della stessa
specie di quelli per i quali si procede non si identificava con quello dell’attualità
del pericolo medesimo. Infatti, il pericolo di reiterazione poteva rivestire il
requisito della concretezza, ma soltanto attraverso un apprezzamento eseguito in
chiave prognostica, certamente insussistente nel caso in esame, sulla base del
quale ritenere altamente probabile che l’indagato – verificandosene l’occasione avrebbe commesso i reati espressamente previsti dall’art. 274, comma 1, lett.
c), cod. proc. pen.
Tali

ragioni

processuali

imponevano l’annullamento dell’ordinanza

impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.
Deve, innanzitutto, rilevarsi che, sulla posizione di Franco Sorgenti si è
formato un giudicato cautelare, per effetto del quale la revoca dell’ordinanza
restrittiva applicata nei suoi confronti deve ritenersi possibile solo in
conseguenza del sopraggiungere di elementi di novità processuale, di portata
tale da indurre il giudice del gravame a una rivalutazione in senso favorevole
all’indagato del regime restrittivo patito.
Rispetto all’esistenza di tale pregiudizio cautelare, tuttavia, non influiscono
le modifiche normative introdotte dagli artt. 1 e 2 della legge n. 47 del 2015, alle
quali fa riferimento la difesa del ricorrente nelle memorie di udienza depositate il
04/11/2015, pur imponendosi una riconsiderazione della pericolosità sociale del
Sorgenti sotto il differente profilo dell’attualità, con il quale ci si dovrà
confrontare.
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dell’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. – così come modificato dagli

Nel valutare eventuali elementi di novità processuale, invero, occorre tenere
presente l’esistenza di una presunzione relativa di pericolosità sociale, nei
termini di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., che comporta la possibilità
di sostituire la misura in carcere con altra meno afflittiva, nel caso di
attenuazione delle esigenze cautelari, così come prevede l’art. 299 cod. proc.
pen., mediante una verifica, da parte del giudice, circa il permanere delle
condizioni che hanno determinato la limitazione della libertà personale e la scelta
di una determinata misura cautelare. Con l’affermazione di questo principio –

cod. proc. pen. certamente rilevante nell’ipotesi del Sorgenti ancorché non
rilevante nel caso in esame – questa Corte ha costantemente ribadito la
posizione ermeneutica secondo cui la presunzione relativa deve ritenersi
operante non solo in occasione dell’adozione del provvedimento genetico della
misura coercitiva, ma anche per il suo prosieguo (cfr. Sez. 6, n. 32412 del
27/06/2013, Cosentino, Rv. 255751).
Inoltre, nella verifica di questo aspetto dinamico della vicenda cautelare,
governato dal combinato disposto degli artt. 275, 299 e 310 cod. proc. pen., il
giudice del gravame deve tenere presente il sopraggiungere di eventuali
elementi di effettiva novità processuale, che dovranno essere valutati alla luce
della giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo cui: «L’istanza di
revoca della misura cautelare non può trovare adito allorché si fonda su censure
che investono quegli stessi elementi indiziari posti a base dell’ordinanza
applicativa della misura cautelare, e questi risultano immutati nella loro valenza
e gravità in quanto, nelle sedi di esame dell’istanza di revoca e dell’appello
avverso il provvedimento di diniego, avuto riguardo alla formulazione dell’art.
299 cod. proc. pen., possono essere oggetto di valutazione solo fatti nuovi
“anche” se apprezzati congiuntamente a quelli originariamente esaminati, dai
quali risulti un mutamento “in melius” del quadro indiziario, e non gli stessi
elementi già apprezzati anche in sede di riesame» (cfr. Sez. 6, n. 14300 del
04/02/2014, Rosaci, Rv. 259450).
In questa cornice, deve rilevarsi che, tenuto conto della gravità della
contestazione processuale elevata al Sorgenti e delle sue condizioni soggettive,
gli elementi acquisiti non consentono di ritenere superato il giudizio di
pericolosità sociale nei suoi confronti sulla base delle generiche indicazioni
difensive, anche tenendo conto delle modifiche normative introdotte dagli artt. 1
e 2 della legge n. 47 del 2015; giudizio di pericolosità sociale che potrà
comunque essere ulteriormente vagliato attraverso i meccanismi di cui agli artt.
299 e 310 cod. proc. pen., in presenza di elementi di novità valutative allo stato
non emerse.
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che governa l’aspetto dinamico della vicenda cautelare disciplinato dall’art. 299

Da questo punto di vista, non può non rilevarsi, in linea con quanto
correttamente osservato dal procuratore generale nelle sue conclusioni, che, se è
vero che la condotta delittuosa contestata al Sorgenti si connota per
l’infungibilità del soggetto passivo del reato, è parimenti vero che tale solo
elemento – astrattamente neutro siccome rilevante per tutte le ipotesi di
omicidio – non è stato supportato processualmente da alcun elemento, clinico o
criminologico, idoneo a consentire di esprimere un giudizio di attenuata

1.1. Non può, per altro verso, rilevare in senso favorevole all’indagato il
mero decorso del tempo, in relazione al quale occorre richiamare l’intervento
chiarificatore delle Sezioni unite, che hanno individuato i parametri ai quali
occorre fare riferimento in materia di presunzione di adeguatezza della custodia
in carcere nel suo evolversi, affermando il principio di diritto secondo cui: «La
presunzione di adeguatezza della custodia in carcere di cui all’art. 275, comma
terzo, cod. proc. pen. opera non solo nel momento di adozione del
provvedimento genetico della misura coercitiva ma anche nelle successive
vicende che attengono alla permanenza delle esigenze cautelari» (cfr. Sez. U, n.
34473 del 19/07/2012, Lipari, Rv. 253186).
Nel valutare questo arresto giurisprudenziale occorre considerare che, in
precedenza, le Sezioni unite erano intervenute sullo stesso tema, affrontando il
problema dell’individuazione dei presupposti legittimanti la sostituzione della
misura cautelare, disancorati al mero dato cronologico, tenuto conto dei
parametri di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., affermando nella parte
narrativa: «Anche nel momento della sostituzione della misura cautelare giocano
le presunzioni alle quali si è già fatto cenno nel considerare il momento genetico
della misura cautelare: una diversa soluzione, evidentemente, renderebbe del
tutto irrazionale il sistema. Tuttavia, in tale fase non possono operare
presunzioni prima inesistenti» (cfr. Sez. U, n. 27919 del 31/03/2011, Ambrogio,
Rv. 250196).
In questa cornice ermeneutica, non v’è dubbio che il legislatore ha inteso
attribuire alla presunzione dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., il carattere di
eccezionalità com’è reso palese dall’elencazione specifica dei reati ai quali ha
voluto ricollegare detta presunzione e dall’espressione residuale «salvo che non
siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari».
Dunque, in deroga alla regola generale enunciata nel primo comma dello stesso
articolo e al principio della custodia cautelare in carcere quale

extrema ratio, il

legislatore ha ritenuto, per determinati reati, specificamente indicati, di stabilire
una presunzione di idoneità della più afflittiva delle misure.
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pericolosità sociale del ricorrente.

Ne discende che l’interpretazione della disposizione in esame non può che
essere quella più rigorosa consentita dall’enunciato letterale, in stretta aderenza
alla ratio

normativa, ricercando un giusto contemperamento delle opposte

esigenze del diritto alla libertà dell’indagato e della tutela della collettività.
Così ricostruita la disciplina applicabile con riferimento al principio di
adeguatezza della custodia in carcere di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc.
pen., non può ritenersi che l’ordinanza impugnata sia incorsa nel vizio eccepito,
in ragione del fatto che la motivazione si sofferma adeguatamente su tale

puntualmente enucleati, di cui valutava la ricorrenza tanto nella fase genetica
della condizione restrittiva del Sorgenti, quanto nello sviluppo ulteriore della sua
posizione cautelare.

2. In questa cornice sistematica, occorre rilevare che, al contrario di quanto
dedotto dalla difesa del ricorrente, il Tribunale del riesame di Perugia eseguiva
una ricostruzione analitica della pericolosità sociale del Sorgenti, compiendo un
giudizio di attualizzazione – idoneo a soddisfare i parametri imposti dalla legge n.
47 del 2015 – fondato sulle emergenze probatorie successive all’adozione del
provvedimento restrittivo emesso nei suoi confronti, com’è dimostrato dal
richiamo alla sospensione provvisoria delle sue facoltà genitoriali disposta dal
Tribunale per i minorenni di Perugia.
Sulla scorta di tale ricostruzione, il tribunale del riesame riteneva che la
misura degli arresti domiciliari non risultava adeguata a contenere prevedibili
impulsi aggressivi del Sorgenti, il quale non si era impegnato a comprendere e a
razionalizzare le ragioni della sua azione omicida in danno della consorte, che
non poteva ritenersi espressione di una condotta occasionale ed estemporanea,
rappresentando al contrario l’epilogo di una vicenda familiare che avrebbe potuto
trovare altre soluzioni, non perseguite perché presumibilmente non gradite al
ricorrente.
In questa contesto processuale, deve ritenersi ineccepibile il percorso
argonnentativo seguito dal Tribunale del riesame di Perugia al fine di escludere la
possibilità che l’allocazione presso una comunità protetta, che era stata richiesta
dall’indagato, potesse costituire una soluzione compatibile con la sua elevata
pericolosità sociale. Esemplare, da questo punto di vista, è il passaggio
motivazionale esplicitato a pagina 3 del provvedimento impugnato, nel quale si
affermava: «Nella situazione sopra descritta la collocazione del Sorgenti, agli
arresti domiciliari, in una Comunità, non lontana dal luogo dove le figlie abitano
(presso i nonni materni), non tranquillizza affatto circa lo spontaneo

indispensabile profilo valutativo, con riferimento a una pluralità di parametri

adeguamento dell’appellante alle prescrizioni che caratterizzano la misura di
cautela domiciliare […]».
Ne discende conclusivamente che, sulla base di un percorso motivazionale
correttamente esplicitato, il Tribunale del riesame di Perugia riteneva che non
erano stati acquisiti elementi dai quali emergesse che le esigenze precauzionali
necessarie nel caso in esame potevano essere soddisfatte con la cautela
domiciliare.

deve essere rigettato, con la sua condanna al pagamento delle spese
processuali, cui consegue, a cura della cancelleria, la trasmissione di copia del
provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, comma
1 ter, disp. att., cod. proc. pen.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al
direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter, disp. att.,
cod. proc. pen.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 10 novembre 2015.

3• Per queste ragioni, il ricorso proposto nell’interesse di Franco Sorgenti

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