Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8190 del 11/02/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 3 Num. 8190 Anno 2016
Presidente: RAMACCI LUCA
Relatore: LIBERATI GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Venturi Fulvio, nato a Trieste il 24/2/1964
avverso l’ordinanza del 9/7/2015 del Tribunale di Trieste
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Giovanni Liberati;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Sante
Spinaci, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso per
rinuncia.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 9 luglio 2015 il Tribunale di Trieste ha respinto la
richiesta di riesame presentata dal Fulvio Venturi nei confronti della ordinanza
del 16 giugno 2015 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di
Trieste, con cui era stato disposto il sequestro preventivo delle attrezzature di
riproduzione acustica e sonora presenti nel locale Dhome di Trieste, gestito dalla
Euromax S.r.l. (di cui il Venturi è amministratore) in relazione al reato di cui
all’art. 659 cod. pen.
Il Tribunale, nel disattendere le censure del ricorrente, ha, anzitutto,
ritenuto che l’illecito contestato all’indagato debba essere ricondotto alla ipotesi
di cui al comma 1 dell’art. 659 cod. pen., non essendo qualificabile come
mestiere rumoroso l’attività svolta nel locale gestito dalla società amministrata

Data Udienza: 11/02/2016

dall’indagato, trattandosi di attività di commercio e somministrazione di alimenti
e bevande con attività di intrattenimento non prevalente, con la conseguente
non necessarietà di specifici accertamenti tecnici per valutare il superamento
della soglia di normale tollerabilità dei rumori provenienti da tale locale.
Sulla base delle dichiarazioni rese dai vicini, dei rapporti della polizia
giudiziaria, dei rilievi eseguiti da un tecnico incaricato dalla proprietaria
dell’edificio e dei rilievi fonometrici dell’ARPA, il Tribunale ha quindi ritenuto
sussistenti gravi indizi del reato ipotizzato, il nesso di pertinenzialità tra lo stesso

sequestro preventivo delle attrezzature di riproduzione sonora.

2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso il Venturi, mediante il suo
difensore, affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo ha denunciato violazione di legge penale e
processuale, in relazione all’art. 659, comma 2, cod. proc. pen., per l’erronea
qualificazione della attività svolta dalla società amministrata come attività non
rumorosa, come tale rientrante nella previsione del comma 1 dell’art. 659 cod.
pen., trattandosi di un pubblico esercizio con autorizzazione ad effettuare
pubblico spettacolo, destinato per la sua natura a riprodurre musica in occasione
della somministrazione di cibi e bevande (tanto che la società aveva ottenuto il
parere favorevole della Commissione di pubblico spettacolo e della Questura di
Trieste ed aveva depositato una valutazione di impatto acustico, che aveva
accertato la compatibilità della attività di divertimento con le esigenze dei
residenti della zona).
2.2. Con il secondo motivo ha denunciato ulteriore violazione dell’art. 659
cod. pen., per l’omessa considerazione della percezione del disturbo solo da
alcuni condomini occupanti lo stabile in cui è collocato il locale e per la natura di
illecito amministrativo (di cui all’art. 10, comma 2, I. 26/10/1995 n. 447) del
mero superamento dei limiti massimi e differenziali di rumore fissati dalle leggi e
dai decreti presidenziali in materia, in quanto la contravvenzione di cui al comma
2 dell’art. 659 cod. pen. è configurabile in caso di violazioni delle prescrizioni
attinenti la rumorosità diverse da quelle concernenti i limiti delle immissioni
sonore.
Ha inoltre eccepito l’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui
erano stati ritenuti sussistenti i gravi indizi, sulla base del rilievo che si era
prontamente attivato per adeguarsi alle richieste dei condomini dell’edificio, e
l’incertezza delle misure eseguita dai tecnici dell’ARPA (discutendosi tra l’altro del
superamento della soglia prevista per l’utilizzo del criterio differenziale di 0,5
Db).

2

e quanto sequestrato ed il pericolo di recidivanza, confermando il disposto

2.3. Con il terzo motivo ha lamentato violazione di legge penale e
processuale, in relazione all’art. 324 cod. proc. pen., perché il Tribunale aveva
omesso di pronunziarsi sulla richiesta di modifica della misura cautelare
regolando il limite dell’impianto stereofonico del locale a 90 Db con controllo
elettronico.

CONSIDERATO IN DIRITTO

proc. pen., attesa l’intervenuta rinuncia al ricorso da parte del ricorrente
personalmente, con atto dallo stesso proveniente, con sottoscrizione autenticata
dal difensore, depositato nella cancelleria di questa Corte l’8 febbraio 2015,
prima dell’udienza di discussione.

2. Alla declaratoria d’inammissibilità segue, per legge, la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché (trattandosi di causa di
inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr.
Corte Costituzionale sentenza n. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento, a
favore della Cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo
determinare in Euro 500,00.

3. In proposito il Collegio ritiene di dover dare continuità all’orientamento
recentemente espresso da altra Sezione di questa Corte (Sez. 5, n. 18978 del
28/01/2014, Chiapponi, Rv. 259838; Sez. 3, n. 26477 del 30/04/2014,
Martellotta, Rv. 259193; Sez. 5, n. 36372 del 13/06/2013, Rosati, Rv. 256953),
non condividendo l’altro orientamento, espresso in talune pronunce di questa
Corte (Sez. 6, n. 31435 del 24/04/2012, Ighune, Rv. 253229), secondo cui,
qualora il ricorso per cassazione sia dichiarato inammissibile per taluna delle
cause indicate nell’art. 591 cod. proc. pen., non si applicherebbe la sanzione

1. Il ricorso è inammissibile ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett. d), cod.

pecuniaria prevista dall’art. 616 cod. proc. pen., riguardando tale previsione
soltanto i casi in cui l’inammissibilità sia dichiarata ai sensi dell’art. 606 cod.
proc. pen., comma 3.
Ed invero, tale ultimo orientamento appare in contrasto con il letterale
tenore del citato art. 616 cod. proc. pen., il quale, nello stabilire l’applicazione di
detta sanzione “se il ricorso è dichiarato inammissibile”, non distingue affatto tra
le varie possibili cause di inammissibilità.
D’altra parte, stante la peculiarità del mezzo di impugnazione, non appare
affatto illogico che anche le ordinarie cause di inammissibilità, quali previste
dall’art. 591 cod. proc. pen., diano luogo ad una sanzione che non trova, invece,
applicazione quando esse riguardino un’impugnazione di diverso tipo, dovendosi

3

AA

semmai riguardare come difficilmente giustificabile, sul piano logico, che, a
parità di “rimproverabilità” alla parte privata dell’avvenuta proposizione del
ricorso rivelatosi inammissibile, la stessa parte sia o non sia soggetta al
pagamento della sanzione a seconda che la causa di inammissibilità sia
riconducibile alle previsioni di cui all’art. 606 cod. proc. pen., comma 3 o a quelle
di cui all’art. 591 cod. proc. pen.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 500,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 11/2/2016

P.Q.M.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA