Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8166 del 20/01/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 8166 Anno 2016
Presidente: RAMACCI LUCA
Relatore: MANZON ENRICO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
1. Tatò Enrico nato a Firenze il 24/02/1963
2.

Costantino Nicola nato a Bari il 04/05/1957

avverso la sentenza del 19/09/2014 della Corte d’appello di Lecce
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Enrico Manzon;
udito il Pubblico Ministero, in persona Sostituto Procuratore generale Marilia De
Nardo, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza
impugnata per prescrizione;

RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 19 settembre 2014 la Corte d’appello di Lecce
riformava la sentenza in data 14 maggio 2013 con la quale il Tribunale di
Brindisi-Francavilla Fontana aveva condannato Tatò Enrico e Costantino Nicola
alla pena di mesi tre di arresto ciascuno per il reato di cui agli artt. 81, 110, cod.
pen., 256, comma 4, d.lgs. n. 152/2006. La Corte territoriale dichiarava
prescritto il reato per i fatti commessi fino al 9 novembre 2006 e concedeva al
Costantino i doppi benefici; confermava nel resto la decisione appellata.
Osservava in particolare il giudice di appello che ai fini della questione di rito
dedotta come motivo di gravame ossia la mancata applicazione dibattimentale

Data Udienza: 20/01/2016

dell’art. 518, cod. proc. pen., andasse fatta distinzione tra le condotte ascritte ai
prevenuti, poichè riguardando la contestazione supletiva all’udienza del 10
novembre 2011 soltanto la data di cessazione della permanenza, andava
sussunta nell’ipotesi di cui all’art. 516, cod. proc. pen., mentre invece la
contestazione relativa ai fatti accertati con l’accesso ispettivo del 23 febbraio
2009 andava inscritta all’ipotesi di cui all’art. 517, cod. proc. pen., trattandosi di
reato connesso ai sensi dell’art. 12, lett. b), stesso codice. Rilevava poi che non
vi fosse alcuna sanzione di inutilizzabilità delle prove acquisite in sede di

causa di omesso deposito immediato delle relative risultanze, in quanto ciò non
risulta previsto da alcuna norma procedurale. Quanto al merito ribadiva la
congruenza delle risultanze probatorie ai fini dell’ accertamento della
responsabilità penale degli imputati, tuttavia, in virtù delle considerazioni
procedurali svilupate in premessa, riteneva maturata la prescrizione per parte di
essi, ma non di quelli successivi al 23/02/2009. Infine riconosceva l’applicabilità
dell’art. 62 bis, cod. pen. in favore del Costantino e di contro la non concedibilità
della sospensione condizionale della pena al Tatò.
2. Contro tale decisione, tramite il difensore fiduciario, hanno proposto
ricorso per cassazione entrambi gli imputati con unico atto deducendo tre motivi.
2.1 Con un primo motivo si dolgono sia della inutilizzabilità degli atti di
indagine integrativa effettuata dal PM sia della omessa correlativa applicazione
dell’art. 518, cod. proc. pen. Osservano che il primigenio capo di imputazione
arrestava la propria contestazione al 9 novembre 2006 e che dunque era
illegittima la nuova contestazione dibattimentale che aveva postecipato la fine
della permanenza al 23 febbraio 2009, ma anche che erano inutilizzabili le
risultanze delle attività di indagine successive a quella data, perché non
depositate e messe a disposizione della difesa. Ribadiva in questo senso che la
contestazione de qua dovesse essere appunto sussunta nell’ipotesi di cui all’art.
518, cod. proc. pen. e non in quelle delle disposizioni ritenute dalla Corte
territoriale, in particolare non potendosi affermare apoditticamente la
sussistenza della continuazione tra le diverse fattispecie illecite loro contestate.
2.2 Con un secondo motivo denunzia vizio motivazionale sul punto della
esatta comprensione del tipo di contestazione supletiva fatta dal PM nel
dibattimento di primo grado, essendo incomprensibile il verbale dell’udienza
correlativa ed essendo stato ciò fatto oggetto di specifico motivo di gravame.
2.3 Con un terzo motivo lamenta violazione della legge penale con riguardo
alla non rideterminazione del trattamento sanzionatorio, quale conseguenza della
dichiarata prescrizione e della rilevata continuazione tra i reati come distinti in
secondo grado, con correlativa violazione dell’art. 597, cod. proc. pen. ed
essendo comunque errata l’affermazione della Corte territoriale quanto alla

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integrazione di indagine successiva a detto accesso del 23 febbraio 2009, a

corrispondenza delle pene inflitte al minimo edittale, trattandosi di ipotesi
sussunte nell’art. 254, comma 4, d.lgs. n.152/2006

CONSIDERATO IN DIRITTO
LI1 ricorso è inammissibile, poiché i motivi dedotti dai ricorrenti sono
manifestamente infondati.
2.11 fatto processuale oggetto della prima e della seconda censura -da
trattarsi congiuntamente in quanto strettamente collegate- concerne anzitutto la

2011. E’ accaduto che in tale udienza il vigile urbano Roma dichiarasse che in
sede di accesso delegato di pg in data 23 febbraio 2009, quindi successivamente
all’emissione del decreto penale di condanna in data 25 settembre 2007, poi
opposto, veniva accertata la sussistenza di violazioni analoghe a quelle ascritte ai
prevenuti ex art. 256, comma 4 in relazione al comma 3, d.lgs. 152/2006.
Affermano i ricorrenti che a fronte di queste dichiarazioni, essendo emersi
“fatti nuovi”, il PM dovesse procedere nelle forme ordinarie giusta la previsione di
cui all’art. 518, comma 1, cod. proc. pen. e non mediante contestazione
suppletiva, in assenza delle condizioni di cui al comma 2 di tale disposizione
codicistica. Conseguentemente ravvisano una violazione di legge della quale
appunto si dolgono e per la quale chiedono annullarsi la pronuncia impugnata
per error in procedendo, ma anche vizio motivazionale.
Secondo profilo della censura in oggetto, deducente altro vizio procedurale e
motivazionale, riguarda l’omesso deposito ex art. 430, cod. proc. pen. degli atti
relativi alle attività di indagine integrativa sui quali la testimonianza di detto
operante.
Entrambi i profili delle censure sono manifestamente infondati.
Quanto al primo risulta pienamente corretta la valutazione giuridica data
dalla Corte territoriale al fatto processuale citato, trattandosi all’evidenza di una
situazione sussunnibile nell’ipotesi di cui all’art. 517, cod. proc. pen. Infatti è
pacifico che dalla deposizione del vigile Roma è semplicemente emersa la
sussistenza di fatti illeciti analoghi a quelli originariamente contestati, che
indubbiamente costituiscono un’ipotesi di reato continuato, perciò connesso ex
art. 12, comma 1, lett. b), stesso codice. Ciò nel senso che la reiterata violazione
delle prescrizioni loro date per la gestione della discarica ed in particolare quella
di non coprire giornalmente i rifiuti con materiale idoneo, non è dubbio che
rappresenti un atteggiamento dolosamente omissivo frutto di un intendimento
(disegno) unitario.
Di qui la ritualità della contestazione suppletiva operata dal PM.
In ordine al secondo profilo di illegittimità dedotto, il Collegio intende
conformarsi, condividendolo, all’indirizzo giurisprudenziale recente di questa

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contestazione suppletiva fatta in primo grado dal PM all’udienza del 10 novembre

Corte, peraltro citato nella pronuncia di appello, secondo il quale « La violazione
dell’obbligo di immediato deposito della documentazione relativa all’attività
integrativa di indagine, è priva di specifica sanzione processuale, essendo
demandato al giudice del merito il compito di impartire le opportune disposizioni
affinché la difesa sia reintegrata nelle sue prerogative, previa adozione degli
opportuni provvedimenti che, se adeguatamente motivati, sono insindacabili in
sede di legittimità» (Sez. 2, n. 31512 del 24/04/2012, Barbaro, Rv. 254029).
Orbene, è indubbio che nel caso di specie le prerogative difensive siano

pg operante e prima ancora, come correttamente osservato dalla Corte
territoriale, dall’inserimento degli atti dell’indagine integrativa nel fascicolo del
dibattimento. Ne consegue che oltre alla mancanza di sanzione formale per
l’inosservanza della disposizione codicistica evocata, nemmeno può ritenersi
intervenuta nel caso di specie una “violazione sostanziale” del diritto di difesa
degli imputati.
Il primo ed il secondo motivo di ricorso sono quindi manifestamente
infondati.
3.Del pari manifestamente infondato è il terzo motivo.
Lamentano i ricorrenti che la Corte territoriale non abbia tenuto in adeguato
conto la necessità di operare un ridimensionamento del trattamento
sanzionatorio loro riservato in considerazione della prescrizione di parte delle
condotte illecite loro ascritte dichiarata in appello.
Di contro è invece evidente che il giudice di secondo grado ha
espressamente ed adeguatamente tenuto conto di ciò, correttamente rilevando
che non si doveva ridurre la pena inflitta, poiché il primo giudice aveva omesso
sia di irrogare la congiunta pena pecuniaria sia di disporre l’aumento per
continuazione.
4.Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte
costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per
ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria
dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen.,
l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma,
in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 ciascuno in favore della Cassa
delle Ammende.

state garantite, in sé, dalla stessa escussione dibattimentale del teste agente di

Così deciso il 20/01/2016

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