Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8152 del 25/01/2016
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8152 Anno 2016
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
FARANO ANDREA N. IL 01/03/1961
avverso la sentenza n. 21/2014 TRIBUNALE di TRENTO, del
02/12/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FERDINANDO
LIGNOLA;
Data Udienza: 25/01/2016
RILEVATO IN FATTO
– che con l’impugnata sentenza era confermata quella di primo grado con la
quale FARANO ANDREA era ritenuto responsabile dei reati di cui agli artt. 594,
582 e 612 cod. pen., in danno di Ruatti Marco, con conseguente condanna alla
pena di giustizia, fatti commessi il 7 giugno 2007;
– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione personalmente
l’imputato, denunciando;
a) vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità, fondata
credibilità soggettiva, in considerazione dell’astio dimostrato nei confronti
dell’imputato e l’attendibilità intrinseca;
b) intervenuta prescrizione del reato prima del deposito della sentenza di
appello;
CONSIDERATO IN DIRITTO
– che il ricorso va dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza, in quanto
la valutazione dell’attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa non è
illogica nè contraddittoria, laddove evidenzia che il Ruatti ha esposto i fatti in
maniera precisa e dettagliata, senza mostrare particolare animosità, né riferire
circostanze accertate come inveritiere e che la sua versione e avvalorata da
riscontri esterni, rappresentati dalle deposizioni di un teste oculare e di altro
teste;
– che in generale va ricordato che alle dichiarazioni della persona offesa non si
applicano le regole dettate dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., potendo
essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale
responsabilità dell’imputato, previa verifica rigorosa, corredata da idonea
motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità
intrinseca del suo racconto (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte, Rv.
253214); in particolare, il giudice di appello ha dato atto di un narrato in sé
logico, coerente e pertanto attendibile, riscontrato dalle altre dichiarazioni
acquisite oltre che dalla consulenza tecnica prodotta dalla parte civile;;
– che anche il motivo riguardante l’intervenuta prescrizione deve ritenersi
manifestamente infondato, poiché, diversamente da quanto sostenuto dal
ricorrente, ai fini del computo della prescrizione rileva il momento della lettura
del dispositivo della sentenza di condanna e non quello successivo del deposito
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esclusivamente sulle dichiarazioni della persona offesa della quale si contesta la
della stessa (Sez. 1, n. 20432 del 27/01/2015, Lione, Rv. 263365; Sez. 7, ord.
n. 38143 del 13/02/2014, Foggetti, Rv. 262615);
– che si è, infatti, rilevato che la pubblicazione (art. 545 cod. proc. pen.) e il
deposito (art. 548 cod. proc. pen.) della sentenza hanno finalità diverse, poiché
la prima, che garantisce l’immediatezza della deliberazione stabilita dall’art. 525
cod. proc. pen., conclude la fase della deliberazione in camera di consiglio e
consacra, attraverso il dispositivo redatto e sottoscritto dal presidente, la
decisione definitiva non più modificabile in relazione alla pretesa punitiva,
mentre il secondo serve a mettere l’atto, contenente l’esposizione dei motivi di
e segna i tempi della impugnazione in determinati casi (Sez. 5, n. 1520 del
17/03/2000, Cannella, Rv. 215835); si è perciò rimarcato che, ai fini del
computo della eventuale prescrizione, deve essere preso in considerazione il
momento della lettura del dispositivo della sentenza di condanna, anche nel caso
in cui non sia data contestuale lettura della motivazione, e non quello successivo
del deposito della sentenza stessa (Sez. 3, n. 18046 del 09/02/2011, Morra, Rv.
250328);
– che di conseguenza la prescrizione del reato va collocata alla data del 2
dicembre 2014, prima della sentenza di appello, del 7 dicembre 2014 (data in cui
scadono i sette anni e sei mesi del termine complessivo);
– che la ritenuta inammissibilità del ricorso comporta la preclusione per questa
Corte della possibilità di rilevare l’esistenza di cause sopravvenute di non
punibilità ex art. 129 del codice di rito (quale la prescrizione) e comporta altresì
le conseguenze di cui all’art. 616 cod. proc. pen., ivi compresa, in assenza di
elementi che valgano ad escludere ogni profilo di colpa, anche l’applicazione
della prescritta sanzione pecuniaria, il cui importo stimasi equo fissare in euro
mille;
P. Q. M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna 4( ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di mille euro in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2016
Il consigliere estensore
fatto e di diritto sui quali la decisione stessa è fondata, a disposizione delle parti