Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 813 del 21/09/2017


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 813 Anno 2018
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: LIBERATI GIOVANNI

Data Udienza: 21/09/2017

SENTENZA

sul ricorso proposto da
De Santis Francesco, nato a Marcianise il 18/3/1967
avverso l’ordinanza del 15/5/2017 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Giovanni Liberati;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Paola
Filippi, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 15 maggio 2017 il Tribunale di Santa Maria Capua
Vetere ha respinto la richiesta di riesame presentata da Francesco De Santis,
relativa al decreto del 25 marzo 2017 del Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, mediante il quale era stato disposto il
sequestro dei beni del richiedente in misura pari alla differenza tra il profitto
conseguito (pari a euro 1.120.575,00) e le somme di denaro già apprese in sede
esecutiva, in relazione al reato di cui all’art. 5 d.lgs. (contestato al De Santis per
avere, quale amministratore di fatto della S.r.l. Antiche Cascine Italiane, di cui è
legale rappresentante il padre Giuseppe De Santis, omesso di presentare le
dichiarazioni relative alle imposte sui redditi e all’imposta sul valore aggiunto
relative all’anno d’imposta 2012).

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1.1. Il Tribunale, nel disattendere l’impugnazione dell’indagato, ha
sottolineato come i risultati delle indagini preliminari deponessero nel senso della
configurabilità della sua veste di amministratore di fatto della società obbligata
alla presentazione delle dichiarazioni fiscali omesse, evidenziando come
l’indagato fosse stato delegato ad operare sui conti correnti bancari della società,
avesse prestato garanzie a favore della stessa e intrattenesse i rapporti con
clienti e fornitori (tra cui la S.r.l. COGEN, la S.r.l. Archimental Design Costruzioni
Speciali, la S.r.l. Diveal, la S.r.l. Multicedi, la S.r.l. Pescheria La Sirena),

condizioni di salute di De Santis Giuseppe e della moglie, legali rappresentanti
della società, che non gli consentivano, in realtà, di occuparsi della gestione della
stessa.
Con la medesima ordinanza è’ stata disattesa anche la censura relativa
all’ammontare dell’imposta non versata, determinato con il metodo di
accertamento induttivo, ritenuto sufficiente a consentire di ritenerlo accertato a
livello indiziario, riservando alla fase di merito la verifica al riguardo, anche in
relazione al superamento della soglia di rilevanza penale.

2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’indagato,
affidato a due motivi.
2.1. Con un primo motivo ha denunciato violazione degli artt. 309, comma
9, e 324 cod. proc. pen. e mancanza di motivazione dell’ordinanza impugnata.
Ha censurato l’affermazione secondo cui il legale rappresentante della S.r.l.
Antiche Cascine Italia, Giuseppe De Santis, padre dell’indagato, sarebbe stato
incapace di provvedere alla ordinaria amministrazione della società a causa della
sua età e delle sue condizioni di salute, in quanto all’epoca della commissione del
fatto, anteriore di quattro anni allo svolgimento delle indagini, il suddetto legale
rappresentante della società era nel pieno delle sue capacità fisiche e mentali e
pienamente in grado di amministrare la società. Al riguardo ha richiamato gli

sottolineando l’ulteriore elemento indiziario costituito dall’età avanzata e dalle

esiti delle indagini difensive di cui erano stati depositati i verbali, da cui era
emerso che il padre del ricorrente era costantemente presente nella sede della
società e impartiva le direttive necessarie per l’amministrazione, venendo
sostituito, in caso di assenza, dalla moglie. Ha dunque lamentato l’omessa
considerazione da parte del Tribunale dei plurimi elementi addotti a sostegno
della piena capacità del legale rappresentante all’epoca della commissione delle
condotte contestate.
2.2. Con un secondo motivo ha lamentato violazione dell’art. 321, comma 2,
cod. proc. pen., dell’art. 240 cod. pen., dell’art. 12

bis d.lgs. 74/2000 e

mancanza di motivazione, con riferimento alla determinazione dell’ammontare
dell’imposta evasa, essendo stato prospettato che il volume d’affari della Antiche
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Cascine S.r.l. ammontava in realtà a euro 1.380.000,00 e che quindi l’imposta
sul valore aggiunto evasa ammontava a euro 289.800,16, anziché a euro
603.116,00 come ritenuto dal Tribunale; l’imposta IRES non corrisposta
ammontava alla minor somma di euro 71.735,30, ma tali elementi non erano
stati considerati dal Tribunale, con la conseguente insufficienza della motivazione
anche su tale punto della ordinanza impugnata.

1. Il ricorso, peraltro riproduttivo dei motivi di riesame, adeguatamente
considerati dal Tribunale e disattesi con motivazione congrua, è inammissibile,
essendo stato affidato a censure non consentite nel giudizio di legittimità avente
a oggetto misure cautelari reali.

2. Il ricorso per cassazione in materia di misure cautelari reali può essere
esaminato solo in relazione al vizio di violazione di legge, non essendo
consentita, in subiecta materia,

la deduzione del vizio di motivazione per

espresso dettato dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen.
Nondimeno, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito come nella violazione
di legge siano ricompresi anche i vizi della motivazione così radicali da rendere
l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto
mancante o comunque privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e
ragionevolezza, come tale inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico
seguito dal giudice, con conseguente violazione dell’art. 125 cod. proc. pen.
(cfr., ex multis, Sez. U., n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692; Sez. 6,
n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele, Rv.254893; Sez. 3, n. 4919 del 14/07/2016,
Faiella, Rv. 269296; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656; Sez.
3, n. 37451 del 11/04/2017, Gazza, Rv. 270543).
2.1. Nel caso in esame entrambe le doglianze formulate dal ricorrente sono
volte, sia pure attraverso la deduzione di violazioni di legge, a censurare le
conclusioni cui il Tribunale è pervenuto, sia riguardo alla configurabilità della
veste di amministratore di fatto in capo al ricorrente, con la conseguente
affermazione della sua responsabilità in relazione alla omessa presentazione
delle dichiarazioni fiscali cui la società dallo stesso amministrata era obbligata;
sia con riferimento all’ammontare dell’imposta così evasa, e dunque alla
determinazione della somma da sottoporre a sequestro.
Tali conclusioni del Tribunale non sono apodittiche o fondate su motivazione
apparente, cioè priva, nel senso anzidetto, dei requisiti minimi di coerenza,
completezza e ragionevolezza, dunque inidonea a rendere comprensibile
l’itinerario logico seguito dal giudice.

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CONSIDERATO IN DIRITTO

2.2. Il Tribunale ha, infatti, confermato la misura cautelare, disattendendo le
doglianze dell’indagato, evidenziandone il ruolo attivo nella gestione della
società, in considerazione della delega a operare con le banche con le quali la
stessa intratteneva rapporti, della prestazione di garanzie, dell’intrattenimento di
rapporti con clienti e fornitori, a fronte dell’età e delle condizioni di salute del
padre e della madre del ricorrente, legali rappresentanti della società, che, ad
avviso del Tribunale, impedivano loro la gestione ordinaria della società: si tratta
di motivazione che non può dirsi mancante, né apparente, né inidonea a

veste del ricorrente di amministratore di fatto della società obbligata alla
presentazione delle dichiarazioni fiscali omesse, con la conseguente
inammissibilità della doglianza del ricorrente, mediante la quale sono stati
prospettati vizi della motivazione, non deducibili nel giudizio di legittimità.
Va aggiunto, per completezza, che tale motivazione non risulta neppure
contraddittoria né manifestamente illogica, posto che la eventuale presenza del
padre del ricorrente presso la sede della società, le sue diverse condizioni di
salute all’epoca della consumazione dell’illecito, e il, conseguente, eventuale
compimento da parte sua di atti di amministrazione, non sono incompatibili con
l’evidenziata veste di amministratore di fatto del ricorrente, fondata su indici del
tutto univoci, atteso che l’ingerenza nell’amministrazione della società, tale da
determinare la configurabilità della veste di amministratore di fatto, non
comporta necessariamente l’assunzione della amministrazione in via esclusiva,
ma anche solo concorrente con quella degli amministratori di diritto, essendo
sufficiente per la configurabilità di tale veste l’ingerenza stabile e continuativa
nella amministrazione dell’ente e il compimento di atti di amministrazione, anche
se in via non esclusiva, ma concorrente con gli amministratori di diritto, posto
che l’amministrazione può essere attribuita a più soggetti e che, quindi, può
avvenire in concorso tra amministratori di diritto e di fatto.
2.3. Analogo ordine di considerazioni può essere svolto per quanto riguarda
la determinazione dell’ammontare delle imposte non versate, tenendo conto
delle quali è stata stabilita la somma da sottoporre a sequestro, in quanto il
Tribunale ha ritenuto, entro il limite della valutazione propria della fase cautelare
(necessariamente fondata sui soli elementi di fatto posti a fondamento del
provvedimento impugnato, suscettibili di ulteriori sviluppi, sia nelle indagini
preliminari, sia nell’eventuale giudizio, anche quanto alla determinazione
dell’imposta evasa, allo stato indicata in misura superiore alla soglia di rilevanza
penale), corretta la determinazione di tale somma compiuta dalla
amministrazione finanziaria, sulla base degli accertamenti bancari, dalle cui
risultanze è stato tratto, con metodo induttivo, il reddito non dichiarato e la
conseguente imposta evasa: anche a questo riguardo il percorso argomentativo
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consentire di comprendere il percorso logico seguito dal Tribunale, per ribadire la

seguito e le ragioni della decisione risultano sufficientemente illustrati, con
motivazione non apparente né inidonea, con la conseguente inammissibilità delle
doglianze sollevate sul punto dal ricorrente; queste, peraltro, sono volte a
conseguire una non consentita riconsiderazione delle risultanze di fatto, riguardo
all’entità del reddito d’impresa e alla imposta evasa, disgiunta dalla
individuazione di vizi o manchevolezze della motivazione dell’ordinanza
impugnata, bensì attraverso una nuova e diversa valutazione degli elementi di
prova già esaminati e di quelli ulteriori proposti dal ricorrente, con la

per essere volta a richiedere una nuova valutazione delle risultanze di fatto già
adeguatamente considerate dai giudici di merito e a sovrapporre alla loro una
nuova valutazione, ritenuta maggiormente persuasiva.

3. Il ricorso deve, in conclusione, essere dichiarato inammissibile, essendo
stato affidato a motivi non consentiti nel giudizio di legittimità.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod.
proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente
(Corte Cost. sentenza 7 – 13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del
procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle
Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella
misura di euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 21/9/2017

Il Consigliere estensore

Il Presid nte

Giovanni Liberati

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conseguente inammissibilità della doglianza anche sotto qu’esto ulteriore profilo,

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