Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8113 del 14/02/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 8113 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Sannino Vincenzo n. il 30.8.1978
nei confronti di:
Ministero dell’Economia e delle Finanze
avverso l’ordinanza n. 36/2012 pronunciata dalla Corte d’appello di
Firenze il 25.3.2013;
sentita nella camera di consiglio del 14.2.2014 la relazione fatta dal
Cons. dott. Marco Dell’Utri;
lette le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del dott. F.
Salzano, che ha richiesto il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 14/02/2014

Ritenuto in fatto
i. – Con ordinanza resa in data 25.3/5.4.2013, la Corte d’appello di Firenze ha rigettato la domanda proposta da Vincenzo Sannino
per la riparazione dell’asserita ingiusta detenzione dallo stesso subita
nel periodo dal 19.3.2010 al 9.7.2010, in relazione a due imputazioni
per usura ed estorsione per le quali l’autorità inquirente aveva richiesto e ottenuto, con riguardo al ricorrente, un provvedimento di archiviazione.
Con il provvedimento impugnato, la corte fiorentina ha ritenuto il comportamento del Sannino idoneo a dar causa colpevolmente al
provvedimento restrittivo della sua libertà personale, per avere lo
stesso intrattenuto conversazioni telefoniche indizianti e ambigue
frequentazioni con un soggetto imputato di usura, e per aver successivamente rilasciato dichiarazioni false, implausibili e reticenti in relazione alle contestazioni ascrittegli dall’autorità inquirente, sì da
prospettare la conferma del grave quadro indiziario complessivamente determinatosi a suo carico.
Avverso il provvedimento della corte d’appello di Firenze,
a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione il
Sannino, censurando il provvedimento impugnato per violazione di
legge e vizio di motivazione.
In particolare, si duole il ricorrente che la corte territoriale abbia ritenuto causalmente rilevante e gravemente colpevole il complessivo comportamento del Sannino nel provocare l’adozione del
provvedimento restrittivo dallo stesso sofferto, in assenza di alcun
concreto elemento probatorio di riscontro in tal senso utilizzabile,
essendosi la corte territoriale inammissibilmente limitata a un’indebita e travisata rivalutazione degli elementi indiziari originariamente
acquisiti a carico del Sannino nel corso del procedimento poi sfociato
nel ricordato provvedimento di archiviazione.
Ha depositato memoria il procuratore generale presso la corte
di cassazione, concludendo per il rigetto del ricorso.
Con memoria pervenuta in data 29.1.2014, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha concluso per il rigetto del ricorso.
Con memoria pervenuta in data 4.2.2014, il ricorrente ha insistito per l’accoglimento del ricorso, dichiarando formalmente di rinunciare alla trattazione del procedimento in pubblica udienza.
2. –

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Considerato in diritto
3. — Il ricorso è infondato.
Secondo il consolidato insegnamento di questa corte di legittimità, la condotta dell’indagato che, in sede d’interrogatorio, si avvalga della facoltà di non rispondere, pur costituendo esercizio del
diritto di difesa, può assumere rilievo ai fini dell’accertamento della
sussistenza della condizione ostativa del dolo o della colpa grave,
qualora l’interessato non abbia riferito circostanze, ignote agli inquirenti, utili ad attribuire un diverso significato agli elementi posti a
fondamento del provvedimento cautelare (Cass., Sez. 3, n.
44090/2011, Rv. 251325; Cass., Sez. 4, n. 47047/2008, Rv. 242759;
Cass., Sez. 4, n. 47041/2008, Rv. 242757; Cass., Sez. 4, n. 4159/2008,
Rv. 242760).
In altri termini, il silenzio serbato in sede d’interrogatorio dal
soggetto sottoposto a custodia cautelare costituisce comportamento
non prudente, e integra gli estremi della colpa ostativa all’equo indennizzo, quando l’interessato era a conoscenza di dati di fatto che se conosciuti tempestivamente – non avrebbero consentito il determinarsi o il protrarsi della privazione della libertà (Cass., Sez. 4, n.
40902/2008, Rv. 242756).
Allo stesso modo, anche le dichiarazioni mendaci, implausibili
o contraddittorie rese dall’indagato valgono a integrare il ricorso di
comportamenti gravemente imprudenti, come tali idonei a giustificare il diniego della riparazione invocata, ove ritenuti suscettibili di
esplicare una rilevabile efficienza causale sull’adozione o il mantenimento della misura cautelare dallo stesso sofferta (cfr. Cass., Sez. 4,
n. 4159/2008, Rv. 242760).
In linea generale, pertanto, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, può affermarsi che l’esercizio, da parte dell’indagato,
della facoltà di non rispondere in sede d’interrogatorio, così come la
reticenza e persino il ricorso alla menzogna, costituiscono legittimo
esercizio del diritto di difesa, ma possono bensì rilevare ai fini dell’accertamento della sussistenza della condizione ostativa del dolo o della
colpa grave, quando l’interessato non abbia riferito (o, peggio ancora,
abbia ingenerato confusione in ordine al significato di) circostanze,
ignote agli inquirenti, utili ad attribuire un diverso significato agli
elementi posti a fondamento del provvedimento cautelare (cfr. Cass.,
Sez. 4, n. 47041/2008, Rv. 242757).

..

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Nel caso di specie, secondo il ragionamento coerentemente dipanato nel provvedimento impugnato in questa sede, la corte d’appello di Firenze ha riconosciuto, in capo al Sannino, il ricorso di consistenti profili di colpa grave nel concorrere a dar causa al provvedimento restrittivo adottato nei suoi confronti, evidenziando come lo
stesso avesse reso, nel corso delle indagini preliminari, dichiarazioni
“palesemente infondate” (cfr. fl. 3 dell’ordinanza impugnata), e quindi implausibili e reticenti in relazione alla spiegazione del significato
di delicatissimi elementi indiziari sulla cui base era stata formulata
l’ipotesi accusatoria posta a fondamento della misura restrittiva adottata a suo carico.
In particolare, a carico del Sannino erano state individuate significative circostanze indizianti ingenerate dai colloqui telefonici
dallo stesso intrattenuti al fine di instaurare contatti con un soggetto
imputato per usura (tale Raffaele De Simone), prendendo a tal fine
accordi per incontrarlo e colloquiando in forme significativamente
sospette per il rischio (apertamente ed espressamente percepito) di
essere intercettato dall’autorità inquirente con riferimento alla vicenda relativa alla commissione di fatti penalmente rilevanti in danno di
tale Domenico Specchia; premesse da cui era scaturito un viaggio del
Sannino da Napoli all’isola d’Elba, coerente con la conferma dei sospetti indotti dalle ricordate conversazioni indizianti, siccome destinato a consentire il personale incontro del Sannino con il De Simone.
Ciò posto, la corte territoriale ha significativamente sottolineato come il Sannino, sulla base di tale antefatto, in sede di interrogatorio di garanzia non avesse fornito alcuna esaustiva e chiara spiegazione dei propri comportamenti, né del contenuto delle conversazioni
richiamate, arrivando a fornire giustificazioni completamente infondate (facendo riferimento a lavori da eseguire presso cantieri siti
nell’isola d’Elba), successivamente modificando le proprie versioni
senza tuttavia chiarire e rendere definitivamente comprensibili le ragioni dell’esigenza di incontrare personalmente il De Simone, finendo
per essere definitivamente scagionato dalle accuse formulate nei suoi
riguardi unicamente per un approfondimento investigativo disposto
su esclusiva iniziativa degli organi inquirenti.
Del tutto correttamente, la corte territoriale ha ascritto una
decisiva valenza causale (in relazione all’adozione e al mantenimento
della misura cautelare detentiva assunta nei confronti del Sannino)

.

alla congiunta incidenza delle relative condotte dichiarative implausibili, contraddittorie e reticenti, avendone coerentemente e logicamente riconosciuto la piena idoneità (attraverso la confusione volontariamente ingenerata in ordine al significato del grave quadro indiziario acquisito a suo carico) a impedire l’imposizione e il protrarsi
della privazione della sua libertà, così lasciando prospettare un’apparente e intuibile conferma del ridetto quadro indiziario.
In modo del tutto ragionevole e sulla base di una motivazione
pienamente coerente sul piano logico-giuridico e congruamente lineare in termini argomentativi, pertanto, la corte territoriale ha ravvisato la colpa grave del ricorrente nell’aver volontariamente determinato una situazione di fatto di presumibile grave sospetto a suo carico (al punto da corroborare il grave quadro indiziario delineatosi
nei termini idonei a giustificare l’adozione del ricordato provvedimento restrittivo della libertà personale), con la conseguente corretta
reiezione della pretesa riparatoria dallo stesso originariamente avanzata.
4. — Le considerazioni che precedono valgono a giustificare il
riscontro dell’infondatezza dei motivi di doglianza avanzati dal Sannino, cui segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali, oltre al rimborso delle spese del
giudizio in favore del ministero resistente, secondo la liquidazione di
cui al dispositivo.

Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione
delle spese sostenute dal Ministero dell’Economia per questo giudizio
di cassazione liquidate in euro 750,00.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14.2.2014.

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