Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8110 del 29/01/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 8110 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PUCCIO’MANOLO N. IL 13/07/1979
avverso l’ordinanza n. 113/2012 CORTE APPELLO di ROMA, del
31/01/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO;
lette/s2Adie le conclusioni del PG Dott. ALA° e OLI e ArTit o oh.,..

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itAe-941t..AA< 4 fin ~cui?* ,39r--A-51Vi;) Uditi difei ,r( /LI e-° 44^Ò e‘te•A .7r0.14 roc..~.~.4 i • Data Udienza: 29/01/2014 Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 1 febbraio 2013 la Corte d'Appello di Roma rigettava l'istanza di riparazione per ingiusta detenzione formulata nell'interesse di Pucci Manolo: ingiusta detenzione subita dall'istante per quasi un anno dal 25/2/2008 al 23/1/2009 in regime di custodia cautelare in carcere e, successivamente, dal 24/1/2009 al 16/7/2009, agli arresti domiciliari, nell'ambito di un procedimento in cui gli erano stati contestati i reati di usura in danni di Scarano Anna; procedimento definito con sentenza del Tribunale di Roma in data 16/2/2011 che assolveva il Pucci dal reato di cui al capo A e dal primo episodio di cui al capo B per non aver commesso il fatto e dichiarava inoltre non doversi procedere per l'altro episodio di cui al capo B, previa derubricazione del fatto nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, per difetto di valida querela. A tale decisione la corte territoriale perveniva avendo ravvisato colpa grave ostativa al reclamato indennizzo nella condotta del ricorrente, quale constatata dagli agenti della polizia giudiziaria nelle fasi immediatamente precedenti e coeve al momento dell'arresto avvenuto in data 25/2/2008. Rilevava infatti che in tale occasione il Pucci aveva preso appuntamento con la Scarano per la consegna del denaro in luogo poco frequentato; che nella sua vettura era stato rinvenuto un coltello a serramanico lungo cm 26; che nel corso del lungo interrogatorio susseguente il Pucci aveva dichiarato di aver ricevuto per alcuni mesi dalla Scarano una somma mensile di € 500, prevalentemente in contanti, senza mai rilasciare una ricevuta, ed ancora di non conoscere le ragioni per le quali la Scarano era debitrice nei confronti dell'altro coimputato (debito che il Pucci, essendo a sua volta creditore di quest'ultimo, era stato delegato a riscuotere). Argomentava che tali comportamenti «quantomeno imprudenti e superficiali» ponevano il Pucci «in una situazione tale da far apparire integrato il delitto di estorsione e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle persone, ritenuto dal tribunale all'esito del dibattimento». 2. Avverso questa decisione il Pucci propone, per mezzo del proprio difensore, ricorso per cassazione, deducendo vizio di motivazione. Censura, in sintesi, l'ordinanza impugnata, per aver omesso di considerare: la scarsa credibilità della persona offesa; le considerazioni espresse nella sentenza assolutoria che aveva giudicato plausibile la versione del Pucci; le inverosimiglianze dell'assunto che egli non fosse a conoscenza delle ragioni del 2 concorso con altro imputato (capo A) e di estorsione aggravata (capo B), ai credito a lui ceduto nei confronti della Scarano; la circostanza che certamente ne era a conoscenza quest'ultima; che il luogo dell'appuntamento la sera del 25/2/2008 era stato scelto dalla Scarano, perché più vicino al suo negozio; che in quell'occasione, come dichiarato dalla stessa Scarano, la stessa non subì alcuna minaccia né intimidazione; che, in mancanza di querela della persona offesa, non poteva ritenersi accertata nemmeno l'ipotesi delittuosa dell'esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Considerato in diritto 3. Va preliminarmente ordinata la correzione del ruolo d'udienza, nella parte in cui indica il cognome del ricorrente come «PUCCIO», anziché «PUCCI». 4. Il ricorso è infondato. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di riparazione per ingiusta detenzione, al giudice del merito spetta, anzitutto, di verificare se chi l'ha patita vi abbia dato causa, ovvero vi abbia concorso, con dolo o colpa grave. A tal fine, egli deve prendere in esame tutti gli elementi probatori disponibili, relativi alla condotta del soggetto, sia precedente che successiva alla perdita della libertà, allo scopo di stabilire se tale condotta abbia determinato, ovvero anche solo contribuito a determinare, la formazione di un quadro indiziario che ha indotto all'adozione o alla conferma del provvedimento restrittivo. Tale condizione, ostativa al riconoscimento del diritto all'indennizzo, deve manifestarsi attraverso comportamenti concreti, precisamente individuati, che il giudice di merito è tenuto ad apprezzare, in modo autonomo e completo, al fine di stabilire, con valutazione ex ante, non se essi abbiano rilevanza penale, ma solo se si siano posti come fattore condizionante rispetto all'emissione del provvedimento di custodia cautelare. Orbene, nel caso di specie, la corte distrettuale si è attenuta a tali principi, avendo ritenuto, con motivazione adeguata sotto il profilo logico e nel rispetto della normativa di riferimento, che la condotta del Pucci aveva sostanzialmente contribuito ad ingenerare la rappresentazione di una condotta illecita sostituibile nelle ipotesi originariamente contestate, dalla quale è scaturita, con rapporto di causa - effetto, la detenzione ingiustamente sofferta. Come invero evidenziato dalla corte territoriale, l'ipotesi delittuosa posta a base della misura cautelare era stata legittimamente e ragionevolmente 3 3. Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso. rappresentata sulla base di una serie di convergenti elementi certamente idonei a rappresentare la sussistenza di un quadro indiziario idoneo a giustificare la determinazione cautelare. Tanto in particolare deve affermarsi con riferimento al luogo scelto per la riscossione del debito e alla presenza all'interno dell'autovettura di un coltello certamente idoneo ad offendere: elementi di per sé idonei a configurare grave imprudenza nonché a giustificare il sospetto di un'attività estorsiva, tanto più che l'imputato ebbe a dichiarare agli agenti di non conoscere le ragioni del credito a non ha contribuito a chiarire l'errore in cui erano incorsi gli inquirenti e il giudice della cautela). Le censure del ricorrente non si confrontano con il percorso logico argomentativo seguito dalla corte territoriale nel valorizzare gli elementi suddetti, limitandosi a prospettare una serie di argomentazioni mirate piuttosto e soltanto ad evidenziare l'inidoneità di tali elementi a fondare un giudizio di responsabilità penale dell'imputato, siccome emersa all'esito della verifica dibattimentale, ponendosi dunque con evidenza su un piano valutativo come detto del tutto estraneo a quello sul quale muove il giudizio sulla domanda di equa riparazione. A fronte del quadro descritto - giova inoltre evidenziare - rimane irrilevante la circostanza che il fatto contestato sia stato poi all'esito del giudizio di merito qualificato come esercizio arbitrario delle proprie ragioni (delitto per il quale non è consentita la custodia cautelare e ritenuto non procedibile per difetto di querela), potendosi certamente presumere che a tale diversa qualificazione si sia potuti giungere soltanto attraverso l'istruttoria successiva e pertanto in ragione di emergenze diverse da quelle esistenti al momento della determinazione cautelare, quali sopra evidenziate: il che come noto non esclude che, anche in presenza di ingiustizia formale della cautela, la condotta gravemente colposa dell'imputato possa assumere rilievo ostativo al riconoscimento dell'indennizzo (v. Sez. 4, n. 21342 del 19/04/2011, Calabrese, Rv. 250474; Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, D'Ambrosio, Rv. 247663). 5. Le considerazioni che precedono, nel giustificare il riscontro della infondatezza dei motivi di doglianza avanzati dal ricorrente, impongono il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Dispone la correzione del ruolo nel senso che il cognome del ricorrente è 4 lui ceduto (dichiarazione che, come condivisibilmente nota il P.G., certamente PUCCI e non PUCCIO. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 29/01/2014

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