Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8100 del 10/02/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 8100 Anno 2016
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: ALMA MARCO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
• TARTARO Giuseppe Antonio, nato a Paduli il giorno 4/5/1956
avverso la sentenza n. 489/13 in data 7/2/2013 della Corte di Appello di Ancona;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dr. Marco Maria ALMA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Mario Maria Stefano PINELLI, che ha concluso chiedendo l’annullamento con
rinvio della sentenza impugnata;

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 7/2/2013 la Corte di Appello di Ancona, in parziale riforma
della sentenza emessa all’esito di giudizio abbreviato in data 17/6/2009 dal
Giudice per l’udienza preliminare presso il locale Tribunale, ha rideterminato la
somma dovuta dall’imputato TARTARO Giuseppe Antonio alla parte civile
POSELLA Caterina, confermando nel resto l’affermazione di penale responsabilità
dell’imputato in relazione al reato di cui all’art. 629 cod. pen.
In particolare si contesta al TARTARO di essersi presentato come funzionario
della società finanziaria incaricata dalla Deutsche Bank di riscuotere il credito
dovuto da PESCIAIOLI Leonardo e, mediante minaccia consistita nel prospettare
a POSELLA Caterina, madre del predetto PESCIAIOLI, il sequestro dei beni
dell’abitazione della medesima in caso di mancato pagamento, di averla costretta
a consegnargli 200,00 C a titolo di rimborso spese per il viaggio effettuato, cosi

Data Udienza: 10/02/2016

procurandosi l’ingiusto profitto della predetta somma con danno della persona
offesa. I fatti risalgono al 15/6/2004.
Ricorrono per Cassazione avverso la predetta sentenza i difensori dell’imputato,
deducendo:
1. Vizi di motivazione della sentenza impugnata ex art. 606, comma 1, lett. e)
cod. proc. pen. con riguardo al travisamento del fatto, erroneamente ritenuto
sussistente ma escluso dagli atti, quale quello di ritenere che al momento della

trasferito la propria residenza, circostanza che comunque, se anche avesse
trovato conferma negli atti, sarebbe stata rilevante solo se fosse stata conosciuta
dall’imputato.
Precisa al riguardo la difesa del ricorrente che il TARTARO fu informato dalla
società per la quale lavorava che il debitore Leonardo PESCIAIOLI risiedeva al
medesimo indirizzo della madre Caterina POSELLA e nessuno gli rappresentò una
situazione differente e non rileverebbe il fatto che nel verbale di s.i.t. reso mesi
dopo il PESCIAIOLI abbia indicato un residenza diversa.
A ciò si aggiunga che i fatti denunciati dalla POSELLA si dividono in due distinte
fasi:
a) la prima caratterizzata dalla legittima minaccia di esercitare un diritto che si
chiudeva con la sottoscrizione della cambiali ed il rilascio della quietanza per la
quale non sussiste il reato;
b) la seconda caratterizzata dal versamento della ulteriore somma di 200,00 C a
titolo di rimborso spese a favore dell’odierno imputato situazione per la quale
non è comprovato che la persona offesa abbia subito una minaccia atteso che le
parti avevano già raggiunto un accordo sulle modalità di adempimento del
debito.
2. Vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. in relazione
ai criteri di valutazione dell’attendibilità della persona offesa e del figlio della
stessa.
Evidenzia al riguardo la difesa del ricorrente che l’unico elemento di prova a
carico dell’imputato è rappresentato dalle dichiarazioni della persona offesa dal
reato (costituitasi parte civile) e del figlio della stessa.
I Giudici del merito nel caso in esame non avrebbero compiuto una completa
verifica della credibilità soggettiva dei dichiaranti e dell’attendibilità intrinseca del
loro racconto cercando ed individuando riscontri alle dichiarazioni degli stessi.
L’annotazione su di un documento rimasto in possesso della persona offesa
contenente l’accordo circa le somme dovute per rimborso spese pari ad C 380,00

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commissione dei fatti ascritti all’imputato il figlio della persona offesa avesse

(per maggio) ed a € 350,00 (per giugno) non sarebbe stata apposta
dall’imputato e la persona offesa aveva tutto l’interesse a non pagare tanto è
vero che la denuncia della POSELLA fu presentata in data 15/12/2004 nel
periodo in cui avrebbe dovuto effettuare il pagamento della prima rata.
La Corte di appello ha quindi ritenuto in maniera del tutto illogica che il TARTARO
per poche centinaia di euro abbia commesso il reato di estorsione senza valutare
l’alternativa possibilità che dei pluriprotestati abbiano potuto, onde evitare di

dell’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
Deve innanzitutto essere evidenziato che la motivazione della sentenza
impugnata, in uno con quella del Giudice di primo grado legittimamente
richiamata per relationem con la quale si integra e complementa, è congrua, non
manifestamente illogica e tantomeno contraddittoria in relazione agli elementi
che hanno portato alla penale affermazione dell’imputato in relazione al reato in
contestazione.
La stessa Corte di appello ha sostanzialmente evidenziato di avere valutato le
dichiarazioni della persona offesa e del figlio della stessa (brani della denunciaquerela sono stati riportati integralmente alla pagg. 6 e 7 della sentenza
impugnata), di avere rinvenuto riscontro documentale alle stesse e, quindi, di
avere sostanzialmente ritenuto attendibili le dichiarazioni accusatorie.
La difesa del ricorrente dal canto proprio ventila la possibile sussistenza di intenti
calunniatori da parte delle persone offese finalizzati ad evitare il pagamento delle
somme dovute.
Sul punto non può che essere evidenziato che questa Corte Suprema ha già
avuto modo di chiarire, con un assunto condiviso anche dall’odierno Collegio, che
“in tema di prove, la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato
rappresenta una questione di fatto che, come tale, non può essere rivalutata in
sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni”
(Cass. Sez. 2, sent. n. 41505 del 24/09/2013, dep. 08/10/2013, Rv. 257241), il
che non risulta avvenuto nel caso in esame.
Al riguardo il ricorrente propone, peraltro in via ipotetica, una ricostruzione
alternativa (anche nell’ottica valutativa dell’attendibilità dei testimoni) a quella
operata dai giudici di merito, ma, in materia di ricorso per Cassazione, perché sia
ravvisabile la manifesta illogicità della motivazione considerata dall’art. 606
primo comma lett. e) cod. proc. pen., la ricostruzione contrastante con il
procedimento argomentativo del giudice, deve essere inconfutabile, ovvia, e non
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dover ottemperare alle obbligazioni assunte, congegnare una calunnia ai danni

rappresentare soltanto una ipotesi alternativa a quella ritenuta in sentenza. (cfr.,
con riferimento a massime di esperienza alternative, Cass. Sez. 1 sent. n. 13528
del 11.11.1998, dep. 22.12.1998, Rv 212054).
Passando ai restanti motivi di doglianza bisogna innanzitutto rilevare come il
ricorso nella parte in cui si sostiene che all’epoca dei fatti il PESCIAIOLI risiedeva
ancora con la madre o comunque non risultava al TARTARO risiedere altrove non
rispetta il principio giurisprudenziale dell'”autosufficienza” del ricorso per

Nello stesso si fa menzione di documentazione al riguardo che sarebbe stata in
possesso dell’imputato ma che non è stata allegata al ricorso che in questa sede
ci occupa.
Il fatto che il PESCIAIOLI, all’epoca dei fatti, fosse ancora effettivamente
residente presso la casa della POSELLA ove il TARTARO ebbe a recarsi rimane
quindi a livello di mera asserzione verbale della difesa dell’imputato e come tale
non è in grado di portare a ritenere che i Giudici del merito siano incorsi in un
travisamento della prova (se del caso anche inventandosi una circostanza non
emersa dall’incartamento processuale).
Per il resto il deve osservarsi che il ricorrente, sotto il profilo del vizio di
motivazione, tenta in realtà di sottoporre a questa Corte un giudizio di merito,
non consentito anche dopo la Novella. La modifica normativa dell’articolo 606
cod. proc. pen., lett. e), di cui alla legge 20 febbraio 2006 n. 46 ha lasciato
infatti inalterata la natura del controllo demandato la corte di Cassazione, che
può essere solo di legittimità e non può estendersi ad una valutazione di merito.
Al giudice di legittimità resta tuttora preclusa – in sede di controllo della
motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché
ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Tale
modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del
fatto, mentre la Corte, anche nel quadro della nuova disciplina, è – e resta giudice della motivazione.
Nel caso di specie va anche ricordato che con riguardo alla decisione in ordine
all’odierno ricorrente ci si trova dinanzi ad una c.d. “doppia conforme” e cioè
doppia pronuncia di eguale segno per cui il vizio di travisamento della prova può
essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti
(con specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato è
stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione della motivazione
del provvedimento di secondo grado.

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cassazione.

Il vizio di motivazione può infatti essere fatto valere solo nell’ipotesi in cui
l’impugnata decisione ha riformato quella di primo grado nei punti che in questa
sede ci occupano, non potendo, nel caso di c.d. “doppia conforme”, superarsi il
limite del “devolutum” con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il
giudice d’appello, per rispondere alle critiche dei motivi di gravame, abbia
richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (Cass.
Sez. 4, sent. n. 19710/2009, Rv. 243636; Sez. 1, sent. n. 24667/2007; Sez. 2,

Nel caso in esame, invece, il giudice di appello ha esaminato lo stesso materiale
probatorio già sottoposto al tribunale e, dopo aver preso atto delle censure
dell’appellante, è giunto, con riguardo alla posizione dell’imputato, alla medesima
conclusione della sentenza di primo grado.
Un solo profilo – ritiene il Collegio – deve essere ancora sottolineato: il TARTARO
ha chiesto ed ottenuto dalla POSELLA una somma che non gli era dovuta ed in
relazione alla quale non avrebbe direttamente potuto agire giudizialmente nei
confronti della stessa.
Come emerge dalle sentenze in atti e ricordato anche dalla difesa del ricorrente il
credito originario nei confronti del PESCIAIOLI era della Vonwiller Factoring
S.p.a., poi ceduto alla Deutsche Bank che aveva incaricato del recupero dello
stesso la Diafin Consult S.p.a.
L’imputato TARTARO era legato alla Diafin con un contratto di prestazione di
servizio.
In una simile ottica le spese di viaggio sostenute per il recupero del credito
potevano al più riguardare il rapporto tra creditore e debitore (per intenderci tra
la Deutsche Bank ed il PESCIAIOLI) ovvero inerire ai rapporti interni tra
l’imputato e la Diafin ma giammai la situazione descritta avrebbe potuto
determinare l’insorgenza di un credito “diretto” del TARTARO nei confronti del
PESCIAIOLI e, tantonneno, nei confronti della di lui madre.
E’ quindi di tutta evidenza che nel momento in cui la POSELLA si è determinata
ad erogare al TARTARO una somma non dovuta, oltretutto in una situazione di
già pesante posizione debitoria per un debito non da lei contratto, ciò non può
che essere avvenuto se non nell’ambito di un complessivo contesto minaccioso al
punto che sarebbe addirittura illogico pensare che al contrario ci si trovi in
presenza di un atto di liberalità o di un pacifico accordo tra le parti.
Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato
inammissibile.
Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle
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sent. n. 5223/2007, Rv 236130).

Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di C
1.000,00 (mille) a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma il giorno 10 febbraio 2016.

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