Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 81 del 10/11/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 81 Anno 2016
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: CENTONZE ALESSANDRO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
1) Amendolia Maurizio, nato il 27/03/1969;

Avverso l’ordinanza n. 210/2015 emessa il 14/07/2015 dal Tribunale del
riesame di Caltanissetta;

Sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. Alessandro Centonze;

Sentite le conclusioni del Procuratore generale, in persona del dott.
Francesco Mauro Iacoviello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Data Udienza: 10/11/2015

s

RILEVATO IN FATTO

1.

Con ordinanza emessa il 16/07/2015 il Tribunale del riesame di

Caltanissetta confermava parzialmente l’ordinanza applicativa della custodia
cautelare in carcere nei confronti di Maurizio Amendolia, che era stata disposta
dal G.I.P. del Tribunale di Caltanissetta il 26/06/2015, per il reato di cui al capo
M) della rubrica, disponendo la sostituzione della misura cautelare della custodia
in carcere con quella degli arresti domiciliari. Tale ipotesi di reato risultava

che costituiva un’articolazione territoriale della famiglia Santapaola di Catania, a
sua volta collegata a

Cosa Nostra,

donde la contestazione della circostanza

aggravante di cui all’art. 7 del d.l. 13 maggio 1991, n. 152.
Secondo la ricostruzione accusatoria recepita dal provvedimento cautelare
genetico la famiglia mafiosa di Troina risultava impegnata nella gestione illecita
delle attività economiche del suo territorio di riferimento, rappresentate dalla
spartizione dei proventi delle estorsioni in danno di operatori commerciali, dal
controllo del mercato alimentare locale e dalla gestione delle

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installate presso i locali pubblici del posto.
Con specifico riferimento agli elementi indiziari acquisiti in relazione
all’estorsione ai danni di Antonio Baudo, contestata al capo M), deve rilevarsi che
su tale ipotesi estorsiva era la stessa persona offesa a riferire di essere stato
avvicinato nelle date del 21/04/2015 e dell’08/05/2015 dall’indagato, che gli
intimava di non vendere più la propria merce a Troina. Il Baudo,
successivamente, era stato minacciato, in diverse occasioni, da altri componenti
del sodalizio mafioso capeggiato dallo Schinocca, tra cui Patrick Schinocca e
Giuseppe Zitelli.
Si riteneva, inoltre, riscontrato tale episodio sulla base delle conversazioni
intercettate il 12/05/2015, il 19/05/2015 e 1’01/06/2015, tra Patrick Schinocca e
Maurizio Amendolia, nel corso delle quali il Baudo veniva citato in relazione
all’inserimento del sodalizio mafioso in esame nel mercato zootecnico locale,
attuato in danno degli operatori locali, grazie all’apporto consapevole e attivo del
ricorrente.
Il contenuto di tali conversazioni telefoniche veniva ulteriormente correlato
ai servizi di osservazione eseguiti dalle forze dell’ordine, che il 19/05/2015
consentivano di verificare che un dipendente della ditta dell’Amendolia veniva
accompagnato personalmente da Davide Schinocca, presso diversi operatori
commerciali locali, per effettuare la consegna dei prodotti zootecnici della sua
azienda.

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commessa in relazione alla sfera di operatività della famiglia mafiosa di Troina,

Deve, infine, rilevarsi che, nel corso del suo interrogatorio di garanzia,
l’Amendolia affermava di essere estraneo ai fatti che gli venivano contestati, pur
ammettendo di conoscere lo Schinocca e di avere accettato la sua proposta di
vendere i prodotti zootecnici della sua azienda.
Questo compendio indiziario imponeva la conferma dell’ordinanza cautelare
genetica.

2. Avverso tale ordinanza Maurizio Amendolia, a mezzo del suo difensore,

legge e vizi di motivazione del provvedimento impugnato.
Con il primo motivo di ricorso, si deduceva violazione di legge relativamente
al percorso argomentativo esplicitato nell’ordinanza impugnata, che appariva
privo di valutazione autonoma rispetto alla sottostante verifica giurisdizionale,
eseguita dal G.I.P. del Tribunale di Caltanissetta il 26/06/2015.
Con il secondo motivo di ricorso, si deduceva vizio di motivazione, atteso
che l’ordinanza impugnata aveva disatteso le doglianze difensive poste a
fondamento dell’impugnazione del provvedimento cautelare genetico effettuata
presso il Tribunale del riesame di Caltanissetta.
Con il terzo motivo di ricorso, si deduceva violazione di legge, in relazione
alla mancata trasmissione del decreto autorìzzativo emesso con riferimento
all’utenza in uso al ricorrente il 28/05/2015, nell’ambito del procedimento n.
563/2015 R.I.T.
Con il quarto motivo di ricorso, si deduceva violazione di legge e vizio di
motivazione, in relazione alla contraddittorietà del percorso motivazionale
seguito dal tribunale del riesame nel valutare il compendio indiziario acquisito nei
confronti dell’Amendolia, resa evidente dal fatto che, nel provvedimento
impugnato, venivano richiamati episodi estranei alla vicenda estorsiva in esame,
alla quale ci si riferiva esclusivamente nelle pagine 11 e 12, con argomentazioni
assertive e apodittiche.
Con il quinto motivo di ricorso, si deduceva violazione di legge in relazione
all’aggravante dell’art. 7 del di. n. 152 del 1991, che era stata contestata al
ricorrente senza tenere conto delle emergenze probatorie, che non consentivano
di ricondurre l’episodio delittuoso contestato al capo M) a un ambito
direttamente o indirettamente riconducibile alla sfera di operatività della famiglia
mafiosa di Troina.
Con il sesto motivo di ricorso, si deduceva violazione di legge, in relazione
all’aggravante dell’art. 7 del d.l. n. 152 del 1991, atteso che nel provvedimento
impugnato, nonostante le specifiche doglianze difensive, non era stata fornita

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ricorreva per cassazione, deducendo sette motivi di ricorso, inerenti violazioni di

alcuna spiegazione in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi della
circostanza in questione.
Con il settimo e ultimo motivo, si deduceva violazione di legge, in relazione
alle esigenze cautelari previste dall’art. 274 cod. proc. pen., con riferimento alle
quali non era stata fornita alcuna motivazione in ordine al vaglio di pericolosità
sociale del ricorrente, tenuto conto del regime presuntivo rilevante in relazione
all’ipotesi delittuosa contestata.
Queste ragioni processuali imponevano l’annullamento della sentenza

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
In via preliminare, deve rilevarsi che le Sezioni unite hanno già avuto modo
di chiarire che, in tema di misure cautelari personali, allorché «sia denunciato,
con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal
tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza,
alla Corte Suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare
natura del giudizio di legittimità ed ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice
di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad
affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la
congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti
rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano
l’apprezzamento delle risultanze probatorie» (cfr. Sez. U, n. 11 del 22/03/2000,
Audino, Rv. 215828).
Infatti, il mezzo di gravame, come mezzo di impugnazione, ancorché atipico,
ha la funzione di sottoporre a controllo la validità dell’ordinanza cautelare con
riguardo ai requisiti formali enumerati nell’art. 292 cod. proc. pen. e ai
presupposti ai quali è subordinata la legittimità del provvedimento coercitivo. Ne
consegue che la motivazione della decisione del tribunale del riesame, dal punto
di vista strutturale, deve essere conformata al modello delineato dalla stessa
disposizione, a sua volta ispirata al modello processuale dell’art. 546 cod. proc.
pen., con gli adattamenti necessari dal particolare contenuto della pronuncia
cautelare, non fondata su prove ma su indizi e tendente all’accertamento di una
qualificata probabilità di colpevolezza, così come affermato dalle Sezioni unite in
un risalente intervento chiarificatore (cfr. Sez. U, n. 11 dell’08/07/1994, Buffa,
Rv. 198212).

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impugnata.

Questo orientamento ermeneutico, dal quale questo Collegio non intende
discostarsi in questa sede processuale, ha trovato ulteriore conforto in più
recenti pronunzie di questa Corte (cfr. Sez. 4, sent. n. 26992 del 29/05/2013,
Tiana, Rv. 255460).
Tali ragioni processuali impongono di ritenere inammissibili le doglianze
difensive.

2. Passando a considerare le singole doglianze difensive, occorre prendere le

2.1. Quanto al primo motivo di ricorso se ne deve rilevare l’inammissibilità,
atteso che, nel caso di specie, nessuna violazione si è concretizzata, occorrendo
precisare che l’ordinanza genetica e quella impugnata risultano autonome,
dovendosi evidenziare che nella verifica della consistenza dei rilievi critici mossi
dal ricorrente all’ordinanza impugnata, tale decisione non può essere valutata
isolatamente ma deve essere esaminata in correlazione con l’ordinanza
applicativa della misura cautelare, sviluppandosi entrambe secondo linee logiche
e giuridiche pienamente concordanti, con la conseguenza che deve ritenersi che
la motivazione dell’ordinanza impugnata deve necessariamente collegarsi – come
nel caso di specie – all’ordinanza genetica emessa il 26/05/2015, dando origine a
un complesso argomentativo omogeneo e unitario (cfr. Sez. 2, n. 21599 del
16/02/2009, Emmanuello, Rv. 244541).
Nemmeno, nel caso di specie, è ravvisabile una motivazione per relationem,
in relazione alla quale si sia verificata una violazione dell’obbligo di motivazione
del giudice del riesame – astrattamente ravvisabile quando l’ordinanza contiene
una motivazione che si risolve nel mero richiamo alle argomentazioni svolte nel
provvedimento impugnato, omettendo la valutazione delle doglianze contenute
nella richiesta di riesame – atteso che sul coinvolgimento diretto dell’Amendolia
nell’episodio delittuoso contestatogli al capo M), nelle pagine 11 e 12 del
provvedimento in esame, ci si soffermava in termini ineccepibili, esaminando
analiticamente il contenuto delle conversazioni intercettate tra Patrick Schinocca
e Maurizio Annendolia nelle date del 12/05/2015, del 19/05/2015 e
dell’01/06/2015.

2.2. Parimenti inammissibile deve ritenersi il secondo motivo di ricorso,
atteso che in relazione a ciascuna delle doglianze difensive proposte – alle quali
la difesa del ricorrente, limitatamente a questa censura, si riferiva in termini
generici e aspecifici – veniva fornita congrua e plausibile spiegazione
processuale.
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mosse dal primo motivo di ricorso.

Deve, inoltre, rilevarsi che tali doglianze vengono analiticamente esaminate
nelle pagine 2 e 3 del provvedimento impugnato, smentendo, sotto il profilo
strettamente contenutistico, l’assunto difensivo e imponendo la declaratoria di
inammissibilità della doglianza esaminata.

2.3. Parimenti inammissibile deve ritenersi il terzo motivo di ricorso, cui ci si
riferiva analiticamente a pagina 15 dell’ordinanza impugnata con argomenti
ineccepibili, mediante richiamo della giurisprudenza di legittimità.

cautelare, nessuna norma impone, a pena di nullità, il deposito dei decreti
autorizzativi delle intercettazioni eseguite nel corso delle indagini preliminari,
perché gli elementi che il pubblico ministero deve presentare sono solo quelli
indicati dall’art. 291, comma 1, cod. proc. pen. (cfr. Sez. 3, n. 19101 del
07/03/2013, D., Rv. 255117).
Ne discende che la mancata trasmissione dei decreti autorizzativi delle
intercettazioni ambientali e dei verbali di esecuzione delle operazioni non
determina la perdita di efficacia della misura cautelare applicata all’indagato su
richiesta del pubblico ministero, ma, se del caso, solo l’inutilizzabilità degli esiti
delle intercettazioni, qualora i decreti siano stati adottati fuori dei casi consentiti
dalla legge o in violazione degli artt. 267 e 268, commi 1 e 3, cod. proc. pen.
(cfr. Sez. 1, n. 7350 del 28/01/2008, Haziri, Rv. 239139).
Invero, nel caso di specie, ci si è limitati a formulare in modo generico una
serie di astratte e non dimostrate ipotesi di illegittimità del decreto autorizzativo
del 28/05/2015, come se i vizi fossero automaticamente ricollegabili alla
mancata o tardiva trasmissione dei decreti al tribunale del riesame, peraltro
insussistente nel caso in esame. Ne consegue che, in mancanza di specifici e
puntuali rilievi in punto di illegittimità, deve ritenersi che sussista una
presunzione di legittimità di tale decreto, anche in considerazione del fatto che il
ricorrente non ha formulato alcuna censura specifica in ordine al contenuto e
all’interpretazione delle intercettazioni di cui al procedimento n. 563/2015 R.I.T.

2.4. Deve ritenersi inammissibile anche il quarto motivo di ricorso, per la cui
ricognizione occorre rinviare alle considerazioni esplicitate nel paragrafo 2.1.,
afferendo la doglianza difensiva in esame alla congruità del percorso
motivazionale seguito dal tribunale del riesame, in correlazione al compendio
indiziario esaminato nel provvedimento cautelare genetico, adottato dal G.I.P.
del Tribunale di Caltanissetta il 26/06/2015.

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Deve, in proposito, rilevarsi che, ai fini dell’adozione di una misura

2.5.

Analogo giudizio di inammissibilità deve essere espresso con

riferimento al quinto e al sesto motivo di ricorso, che devono essere esaminati
congiuntamente, riguardando la ricorrenza dei presupposti applicativi
dell’aggravante di cui all’art. 7 del d.l. n. 152 del 1991.
Deve, in proposito, rilevarsi che gli scenari associativi descritti nella parte
iniziale del provvedimento impugnato consentono di ritenere smentito dalle
emergenze processuali l’assunto su cui si fondano tali doglianze difensive,
essendo evidente che l’aggravante dell’art. 7 del n. 152 del 1991 discende dalla

famiglia mafiosa di Troina capeggiata da Davide Schinocca.
Invero, non potendosi dubitare che l’attività di gestione illecita delle
forniture zootecniche contestata al capo M) fosse gestita dal ricorrente
nell’ambito associativo prefigurato al capo A) della rubrica – correttamente
richiamato nel provvedimento impugnato – non è possibile escludere la
ricorrenza dell’aggravante contestata che, al contrario, si imponeva per effetto
delle evidenze probatorie richiamate con riferimento al ruolo operativo svolto
dall’Amendolia in collegamento con gli Schinocca.
D’altra parte, nemmeno è possibile ritenere carente la motivazione su tale
specifico profilo, su cui i giudici del gravame si soffermavano nelle pagine nelle
pagine 4-10, descrivendo i rapporti esistenti tra l’Arnendolia, lo Schinocca e i
componenti del suo sodalizio mafioso in termini ineccepibili.

2.6. Analogo giudizio di inammissibilità, infine, deve essere formulato in
relazione alla ricorrenza delle esigenze cautelari riguardanti la posizione
processuale del ricorrente.
Deve, in proposito, rilevarsi che la presunzione di pericolosità sociale di cui
all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. impone la misura della custodia cautelare
in carcere per un indagato di associazione mafiosa, salvo che non risultino
interrotti i suoi legami con l’organizzazione criminosa ovvero quando il venire
meno della sua pericolosità sociale derivi da elementi concreti e specifici, che
dimostrino l’effettivo allontanamento rispetto al sodalizio.
Differente, invece, è la valutazione che deve essere compiuta in riferimento
ai reati fine aggravati dall’art. 7 del d.l. n. 152 del 1991, atteso che gli elementi
che, in questo caso, si richiedono per superare la presunzione iuris tantum non
possono coincidere con quelli richiesti per il partecipe.
Questa differenziazione si impone alla luce della giurisprudenza di questa
Corte che, pur riconoscendo che, anche nei reati fine, opera la presunzione di cui
all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., afferma che rispetto a tali ipotesi gli
elementi che si richiedono per vincere una simile presunzione di pericolosità sono

riconducibilità delle attività associative contestate al capo M) della rubrica alla

differenti da quelli richiesti per il partecipe del sodalizio mafioso e devono essere
valutati con una prognosi di ripetibilità della situazione che ha dato luogo al
collegamento con la consorteria. Ne consegue che per valutare tali condotte
delittuose i parametri indispensabili per superare la presunzione di pericolosità
sociale non coincidono con la rescissione definitiva dei collegamenti con il
sodalizio, ma comportano una prognosi sulla «ripetìbilità o meno della situazione
che ha dato luogo al contributo dell’extraneus alla vita della consorteria» (cfr.
Sez. 6, n. 27685 dell’08/07/2011, Mancini, Rv. 250360).

riesame di Caltanissetta ha fatto buon governo dei principi di diritto che si sono
esposti, soffermandosi analiticamente sulla pericolosità sociale dell’Amendolia,
comprovata dal ruolo svolto nella gestione dell’attività estorsiva in esame e
dall’inserimento nelle strategie di condizionamento mafioso del mercato
zootecnico locale, attestate dal contenuto delle conversazioni intercettate nelle
date del 12/05/2015, del 19/05/2015 e dell’01/06/2015, tra Patrick Schinocca e
Maurizio Amendolia,

3. Per queste ragioni, il ricorso proposto da Maurizio Amendolia deve essere
dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al
versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in 1.000,00
euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di 1.000,00 euro alla Cassa delle
Ammende.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 10 novembre 2015.

Nella cornice ermeneutica richiamata, questa Corte ritiene che il Tribunale del

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