Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8095 del 29/01/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 8095 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PANARISI CARMELA N. IL 09/04/1962
avverso la sentenza n. 983/2013 CORTE APPELLO di PALERMO, del
08/05/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 29/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. A LME0 o d nee o VIOLA
che ha concluso per e’ ;
~dì A’t.: 04A 4,1’4-0 44′

( Udito, per la parte civile, 1′
v
j
Uditi

sor Avv.

Data Udienza: 29/01/2014

Ritenuto in fatto

,

1. Con sentenza del 27 marzo 2012 il Tribunale di Palermo riconosceva
Panarisi Carmela colpevole del reato p. e p. dagli art. 589, commi 2 e 4, e 590,
commi 2 e 4, cod. pen. ad essa ascritto per aver cagionato la morte di un
pedone e lesioni personali gravissime ad altro pedone all’esito di sinistro stradale
da essa provocato per colpa, con violazione delle norme sulla disciplina della
circolazione stradale.

26 agosto 2006, alla guida della propria autovettura, giunta ad un’intersezione,
pur essendo obbligata a fermarsi e a dare la precedenza all’autovettura
proveniente da destra e, peraltro, in presenza di un segnale verticale di stop,
proseguiva la sua marcia a velocità non consona allo stato dei luoghi, senza
nemmeno accennare un rallentamento, così determinando l’urto con la predetta
autovettura che, sotto la forza impressa dall’impatto, deviava la propria corsa sul
latistante marciapiede ove si trovavano i pedoni, che ne venivano travolti
riportando gravi lesioni dalle quali derivava, per uno di essi, dopo qualche
tempo, la morte.
La Panarisi era pertanto condannata ad un anno e dieci mesi di reclusione,
pena sospesa.
Con la sentenza in epigrafe la Corte d’Appello riformava tale decisione solo
in punto di determinazione della pena, che veniva ridotta ad un anno e quattro
mesi di reclusione.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’imputata, per
mezzo del proprio difensore, articolando quattro motivi, con i quali deduce
violazione di legge e vizio di motivazione in punto di responsabilità penale e
trattamento sanzionatorio.
Rileva in particolare che la corte territoriale ha omesso di considerare che
l’autovettura da essa condotta nell’occorso ebbe a investire i pedoni dopo
l’impatto avuto con la Bmw proveniente dalla sua destra; che i pedoni non erano
visibili dalla posizione ove essa si trovava al momento del sinistro; che sul punto,
ossia sulla posizione dei pedoni, è erronea la valutazione operata dalla corte
territoriale dei raccolti elementi di prova (deposizione del teste Cospolici e tracce
ematiche rinvenute sul marciapiede); che infine la Corte d’Appello non ha tenuto
nel dovuto conto le dichiarazioni dell’altro pedone investito, quali contenute nella
querela dallo stesso sporta.
Sotto altro profilo censura come lacunosa e illogica la motivazione posta a
fondamento della riconosciuta sussistenza di nesso causale tra l’incidente e la
2

Si accertava infatti, conformemente all’imputazione, che la predetta, in data

morte del pedone Rizzo Innocenzo, avendo i giudici di merito trascurato di
considerare la malattia cerebrovascolare cronica di cui questi era affetto e che il
decesso era intervenuto a distanza di due mesi dal sinistro, per arresto
cardiorespiratorio.
Deduce infine che, stante la sua incensuratezza, l’imputata meritava il
minimo della pena.

3. Il ricorso è manifestamente infondato.
Con le doglianze illustrate nell’atto d’impugnazione proposto in questa sede,
la ricorrente si limita in buona sostanza a negare in modo generico ed apodittico
la propria responsabilità penale senza confrontarsi in modo puntuale con le
argomentazioni e la valutazione degli elementi di prova posti a base della
decisione impugnata e valorizzando peraltro aspetti della dinamica del sinistro
smentiti dalla pacifica ricostruzione contenuta nel capo di imputazione e in
sentenza (dalla quale risulta che i pedoni furono travolti non direttamente
dell’auto dell’imputata ma, in conseguenza dell’urto, dall’altra autovettura) e
comunque di marginale rilievo nella individuazione delle cause e responsabilità
del sinistro (tale in particolare la posizione dei pedoni, la cui contestazione da
parte dell’odierna ricorrente appare peraltro affidata a mere generiche critiche
delle valutazioni operate dalla corte territoriale, come tale inidonee a palesarne
una manifesta illogicità).

4. Tanto deve dirsi anche con riferimento alla contestata sussistenza di un
nesso causale tra il sinistro e il successivo decesso del pedone Rizzo Innocenzo.
Sul punto il convincimento della Corte d’Appello è motivato sulla base degli
esiti della consulenza tecnica medico-legale, la quale – si riferisce in sentenza «ha chiarito come le condizioni del Rizzo, pur immediatamente curato, si fossero
a seguito della grave lesione alla gamba … aggravate sino ad arrivare
all’amputazione dell’arto e al manifestarsi di una sepsi diffusa», ed ha quindi
«univocamente ricondotto la causa del decesso … alle lesioni traumatiche
patite».
Una tale motivazione è perfettamente congrua e valida sul piano logico a
supportare il convincimento detto.
Per contro la censura sul punto svolta dal ricorrente (secondo cui il giudice
del merito non avrebbe tenuto conto della pregressa malattia cronica e del
tempo trascorso dal sinistro al decesso) si appalesa del tutto generica e non vale

3

Considerato in diritto

a evidenziare lacune o incoerenze logiche nel ragionamento probatorio della
corte.
Il rilievo oblitera infatti il dato istruttorio utilizzato dalla Corte d’Appello,
rappresentato dai rilievi peritali che, evidentemente, nel supportare le
conclusioni dette e nel far espresso riferimento anche alle condizioni preesistenti
della persona offesa, hanno anche implicitamente escluso una incidenza causale
di queste ultime tale da interrompere il nesso causale con il sinistro, invece
espressamente affermato.

motivazione, in quanto: a) nei motivi d’appello fosse stata dedotta
specificamente l’esistenza di gravi errori, lacune o incongruenze negli
accertamenti e nelle valutazioni peritali; b) tali motivi non fossero stati esaminati
o vi fosse stata data risposta incoerente o illogica da parte del giudice del merito.
Nulla di tutto questo deduce la ricorrente, la quale si limita piuttosto ad
affermare genericamente l’insussistenza del nesso causale.
In tal senso la censura si risolve evidentemente nella mera apodittica
prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti, come tale del tutto
inammissibile in sede di legittimità.

5. Quanto infine al trattamento sanzionatorio, è appena il caso di
rammentare che in tema di dosimetria della pena, la giurisprudenza di questa
Corte non solo ammette la c.d. motivazione implicita (Sez. 6, n. 36382 del
04/07/2003, Dell’Anna, Rv. 227142) o con formule sintetiche (tipo “si ritiene
congrua” v. Sez. 6 , n. 9120 del 02/07/1998, Urrata, Rv. 211583), ma afferma
anche che le statuizioni relative sono censurabili in cassazione solo quando siano
frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico.
Trovasi anzi condivisibilmente precisato che «la determinazione della misura
della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere
discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia
valutato globalmente gli elementi indicati nell’art. 133 cod. pen. Anzi, non è
neppure necessaria una specifica motivazione tutte le volte in cui la scelta del
giudice risulta contenuta in una fascia medio bassa rispetto alla pena edittale»
(Sez. 4, n. 41702 del 20/09/2004, Nuciforo, Rv. 230278).
In relazione alle esposte coordinate di riferimento è da escludersi che, nel
caso in esame, la quantificazione della pena sia frutto di arbitrio o di illogico
ragionamento o che comunque si espongano a censura di vizio di motivazione,
avendo il giudice a quo sia pure adeguatamente motivato sul punto facendo in
particolare riferimento all’elevato grado della colpa e alla gravità del danno.

4

In tale contesto, intanto avrebbe potuto ravvisarsi in astratto un vizio di

6. Ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. il ricorso va pertanto
dichiarato inammissibile.
Discende dal detto esito, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna
della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – apparendo
evidente che essa ha proposto il ricorso determinando la causa di inammissibilità
per colpa (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) e tenuto conto della rilevante
entità di detta colpa – della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 29/01/2014.

Ammende a titolo di sanzione pecuniaria.

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