Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8092 del 28/01/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 8092 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: SERRAO EUGENIA

SENTENZA

sutricors2 propostO da:
PREZIOSO ENRICO N. IL 30/03/1943
CAFASSO GIOVANNI N. IL 25/03/1968
AVALLONE PASQUALE N. IL 13/03/1977
KACI HASAN N. IL 19/03/1970
DE MIRO MARIO N. IL 30/03/1974
SBRIZZI COSIMO N. IL 23/04/1945
BAKO ARTUR N. IL 23/09/1978
BAKO ARMANDO N. IL 23/05/1976
avverso la sentenza n. 821/2011 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
12/07/2012
visti gli atti, la sentenza e itricorsql
udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.”-FuPo-io RgtQl
che ha concluso per
Annullamento con rinvio per De Miro Mario e Kaci Hasan
Inammissibilità del ricorso di Bako Artur
Rigetto dei ricorsi di Prezioso, Cafasso, Avallone e Sbrizzi
Uditi i difensori
Avv. Alfredo Sorbo in sostituzione dell’Avv. Massimo Amoriello per Prezioso Enrico
Avv. Carlo Ercolino per Cafasso Giovanni
Avv. Alfredo Sorbo anche in sostituzione dell’Aw. Paolo Sperlongano per Avallone Pasquale

Data Udienza: 28/01/2014

RITENUTO IN FATTO
1. In data 12/07/2012 la Corte di Appello di Napoli, in parziale riforma della
sentenza emessa dal Tribunale di Napoli il 25/11/2009, ha assolto per non aver
commesso il fatto Prezioso Enrico dal delitto di cui al capo a) (associazione
finalizzata al traffico di stupefacenti) e rideterminato la pena per i rimanenti capi
p) e q), esclusa l’aggravante di cui all’art.80, comma 2, d.P.R. 9 ottobre 1990,
n.309, in anni 10 di reclusione ed euro 40.000,00 di multa, confermando nel
resto la sentenza appellata. Ha, altresì, corretto il dispositivo della sentenza

intendeva indicato il capo a).
2. Il Tribunale di Napoli aveva pronunciato:
a) condanna di Avallone Pasquale alla pena di anni 12 e mesi 6 di reclusione
per il delitto di cui all’art.74 T.U. stup. in qualità di acquirente-grossista e
spacciatore per avere in più occasioni acquistato quantitativi di sostanza
stupefacente da altri coimputati componenti di organizzazioni transnazionali che
trasportavano e detenevano per la vendita ingenti quantitativi di sostanza
stupefacente del tipo eroina e cocaina sul territorio italiano (capo a); per il delitto
di cui agli artt. 110,81, comma 2, cod.pen. e artt. 73 e 80, comma 2, T.U. stup.
per avere in concorso con altri e con più azioni esecutive di un medesimo
disegno criminoso acquistato e illecitamente detenuto e ceduto ad altri un
quantitativo superiore a kg.1,5 di sostanza stupefacente del tipo eroina tra 1’11 e
il 16 marzo 2003 (capo i); per il delitto di cui agli artt. 110,81, comma 2,
cod.pen. e 73 T.U. stup. per avere in concorso con altri e con più azioni
esecutive di un medesimo disegno criminoso acquistato e illecitamente detenuto
un campione di sostanza stupefacente del tipo eroina ceduta, tra gli altri, dal
‘corriere’ Kaci Aldo tra il 27 il 29 aprile 2003 (capo I); per il delitto di cui agli
artt.110,81, comma 2, cod.pen. e 73 T.U. stup. per aver in concorso con altri e
con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso acquistato e
illecitamente detenuto un campione di sostanza stupefacente del tipo eroina
ceduto tra gli altri dal ‘corriere’ Kaci Aldo tra 1’11 e il 13 luglio 2003 (capo s).
b) condanna di Bako Armando alla pena di anni 22 di reclusione in relazione
al delitto di cui all’art. 74 T.U. stup. quale organizzatore del traffico, per avere
trasportato e detenuto per la vendita quale componente di organizzazione
transnazionale ingenti quantitativi di sostanza stupefacente del tipo eroina e
cocaina sul territorio italiano per il successivo smistamento all’ingrosso in località
diverse, e in particolare per la fornitura, rifornitura e spaccio di kg.5 di eroina e
g.500 di cocaina con conseguente sequestro del 6 febbraio 2003, per la
fornitura, rifornitura e spaccio di kg.1 di sostanza stupefacente tipo eroina del 7
giugno 2003, per la rifornitura e spaccio di una partita di sostanza stupefacente
2

impugnata nel senso che in relazione alla condanna di De Miro Mario non si

tipo eroina pari a kg.30 proveniente dall’Albania dal 6 settembre 2003 al 23
ottobre 2003 (capo a); per il delitto di cui agli artt. 110,81, comma 2, cod.pen. e
73 T.U. stup. per avere in concorso con altri e con più azioni esecutive di un
medesimo disegno criminoso venduto sostanza stupefacente del tipo eroina e
cocaina in quantità non precisata fra il 18 il 28 gennaio 2003 (capo c); del delitto
di cui agli artt.110,81, comma 2, cod.pen. e 73 T.U. stup. per avere in concorso
con altri e con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso venduto
un campione di sostanza stupefacente del tipo eroina fra il 29 gennaio e il 1

c) condanna di Bako Artur alla pena di anni 22 e mesi 6 di reclusione per il
reato cui all’art. 74 T.U. stup. perché, in veste di organizzatore del traffico e
corriere, quale componente di organizzazioni transnazionali, trasportava e
deteneva per la vendita ingenti quantitativi di sostanza stupefacente del tipo
eroina e cocaina sul territorio italiano per il successivo smistamento all’ingrosso
in località diverse, in particolare per fornitura, rifornitura e spaccio di kg.20 di
sostanza stupefacente tipo cocaina proveniente dalla Colombia dal 25 marzo al
15 aprile 2003, per fornitura, rifornitura e spaccio di sostanza stupefacente tipo
eroina il 18 maggio 2003, per fornitura, rifornitura e spaccio di kg.1 di sostanza
stupefacente tipo eroina il 7 giugno 2003, per fornitura, rifornitura e spaccio di
due partite di sostanza stupefacente tipo eroina del 12 luglio e del 27 luglio
2003, per fornitura di una partita di sostanza stupefacente del 4-8 luglio 2003,
per fornitura di partite di sostanza stupefacente dal 15 settembre all’il ottobre
2003, per rifornitura e spaccio di una partita di sostanza stupefacente tipo eroina
pari a kg.30 proveniente dall’Albania dal 6 settembre al 23 ottobre 2003, per
rifornitura e spaccio di una partita di sostanza stupefacente tipo eroina dal 6
settembre al 16 ottobre 2003, per aver ricevuto da Piscopo Domenico e ceduto
definitivamente a Zavalani Florian quantitativi di sostanza stupefacente (capo a);
del delitto di cui agli artt.110,81, comma 2, cod.pen. e 73 T.U. stup. per avere in
concorso con altri e con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso
venduto a Piscopo Domenico un quantitativo imprecisato di sostanza
stupefacente del tipo eroina fra il 9 e il 19 marzo 2003 (capo h); del delitto di cui
agli artt.110,81, comma 2, cod. pen., 73 e 80, comma 2, T.U. stup. per avere in
concorso con altri, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso,
venduto ad Avallone Pasquale un quantitativo superiore a kg 1,5 di sostanza
stupefacente del tipo eroina tra 1 1 11 e il 16 marzo 2003 (capo I); del delitto di cui
agli artt.110,81, comma 2, cod. pen. e 73 T.U. stup. per avere in concorso con
altri, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, ceduto a
Piscopo Domenico sostanza stupefacente del tipo eroina in quantitativo
imprecisato fra 11 aprile 2003 e il 19 maggio 2003 (capo n).
3

febbraio 2003 (capo f).

d) condanna di Cafasso Giovanni alla pena di anni 11 di reclusione in
relazione al delitto di cui all’art.74 T.U. stup. quale acquirente-grossista e
spacciatore per avere in più occasioni acquistato quantitativi di sostanza
stupefacente da Bako Armando e da Bako Artur e Kaci Hasan (capo a); per il
delitto di cui agli artt.110,81, comma 2, cod. pen. e 73 T.U. stup. per avere in
concorso con altri e con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso
acquistato e illecitamente detenuto sostanza stupefacente del tipo eroina e
cocaina in quantità non precisata fra il 18 e il 28 gennaio 2003 (capo c).

di cui all’art. 74, comma 1, T.U. stup., per essersi associato in qualità di
organizzatore con poteri decisionali in ordine alle forniture, allo scopo di
commettere più delitti tra quelli previsti dall’art. 73 T.U. stup. dal 6 giugno al 18
agosto 2003 (capo b); del delitto di cui agli artt. 110,81, comma 2, cod.pen. 73
T.U. stup. per avere in concorso con altri e con più azioni esecutive di un
medesimo disegno criminoso acquistato, illecitamente detenuto e ceduto ad altri
detenuti all’interno del carcere di Poggioreale sostanza stupefacente del tipo
cocaina pari a un importo di lire 1.000.000 la prima di fornitura e 500.000 la
seconda tra il 29 luglio e 1’11 agosto 2003 (capo v); del delitto di cui agli
artt.110,81, comma 2, cod.pen., 73 e 80, comma 2, T.U. stup. per avere in
concorso con altri e con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso
ceduto un ingente quantitativo di sostanza stupefacente del tipo cocaina per un
importo di euro 10.000,00 fra il 22 giugno e il 18 agosto 2003 (capo w).
f) condanna di Kaci Hasan alla pena di anni 23 e mesi 6 di reclusione per il
delitto di cui all’art. 74 T.U. stup. per avere in qualità di organizzatore del
traffico, corriere, detentore e spacciatore, quale componente di organizzazione
transnazionale, trasportato e detenuto per la vendita ingenti quantitativi di
sostanza stupefacente del tipo eroina e cocaina sul territorio italiano per il
successivo smistamento all’ingrosso in località diverse, in particolare per la
rifornitura e spaccio di kg.5 di eroina e g.500 di cocaina con conseguente
sequestro del 6 febbraio 2003, di kg.80 di eroina sino al 18 marzo 2003, per la
rifornitura e spaccio di sostanza stupefacente del 24 marzo 2003, per la fornitura
e spaccio di kg.20 di sostanza stupefacente tipo cocaina proveniente dalla
Colombia dal 25 marzo al 15 aprile 2003, per la rifornitura e spaccio di eroina il
18 maggio 2003, per la rifornitura e spaccio di kg.1 di eroina del 7 giugno 2003,
per la rifornitura e spaccio di due partite di sostanza stupefacente tipo eroina del
12 luglio 2003 e del 27 luglio 2003, per la fornitura di una partita di sostanza
stupefacente del 4-8 luglio 2003, per la rifornitura e spaccio di una partita di
eroina pari a kg.30 proveniente dall’Albania dal 6 settembre 23 ottobre 2003,
per la rifornitura e spaccio di una partita di eroina dal 6 settembre al 16 ottobre
4

e) condanna di De Miro Mario alla pena di anni 23 di reclusione per il delitto

2003 (capo a); del delitto di cui agli artt. 110,81, comma 2, cod.pen. 73 T.U.
stup. per avere in concorso con altri e con più azioni esecutive del medesimo
disegno criminoso venduto sostanza stupefacente del tipo eroina e cocaina in
quantità non precisata fra il 18 al 28 gennaio 2003 (capo c); del delitto di cui agli
artt. 110,81, comma 2, cod.pen. e 73 T.U. stup. per avere in concorso con altri e
con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso venduto un campione
di sostanza stupefacente del tipo eroina fra il 29 gennaio il 1 febbraio 2003 (capo
f); del delitto di cui agli artt. 110,81, comma 2, cod.pen. e 73 T.U. stup. per

criminoso venduto un quantitativo imprecisato di eroina tra il 9 e il 19 marzo
2003 (capo h); del delitto di cui agli artt.110,81, comma 2, cod. pen., 73 e 80,
comma 2, T.U. stup. per avere in concorso con altri, con più azioni esecutive di
un medesimo disegno criminoso, venduto ad Avallone Pasquale un quantitativo
superiore a kg 1,5 di sostanza stupefacente del tipo eroina tra 1’11 e il 16 marzo
2003 (capo I); del delitto di cui agli artt.110,81, comma 2, cod. pen. e 73 T.U.
stup. per avere in concorso con altri, con più azioni esecutive di un medesimo
disegno criminoso, ceduto a Piscopo Domenico sostanza stupefacente del tipo
eroina in quantitativo imprecisato fra 11 aprile 2003 e il 19 maggio 2003 (capo
n).
g) condanna di Prezioso Enrico alla pena di anni 14 di reclusione in relazione
all’imputazione del delitto di cui all’art.74 T.U. stup. quale fornitore dello
stupefacente a Bako Artur e Kaci Hasan per il tramite di Piscopo Domenico (capo
a); del delitto di cui agli artt. 110,81, comma 2, cod.pen., 73 e 80, comma 2,
T.U. stup. per aver in concorso con altri e con più azioni esecutive di un
medesimo disegno criminoso ceduto sostanza stupefacente del tipo eroina per
una quantità superiore a kg.2 dal 22 maggio al 3 giugno 2003 (capo p); del
delitto di cui agli artt. 110,81, comma 2, cod.pen., 73 e 80, comma 2, T.U. stup.
per avere in concorso con altri e con più azioni esecutive di un medesimo
disegno criminoso ceduto kg.1 di eroina dall’i al 6 giugno 2003 (capo q).
h) condanna di Sbrizzi Cosimo alla pena di anni 10 di reclusione in relazione
al delitto di cui all’art. 74 T.U. stup. quale organizzatore del traffico perché
referente in Campania, per avere trasportato e detenuto per la vendita ingenti
quantitativi di sostanza stupefacente del tipo eroina e cocaina sul territorio
italiano per il successivo smistamento all’ingrosso in località diverse (capo a).
3. Avallone Pasquale ricorre per cassazione, con due ricorsi, deducendo
violazione dell’art. 606 lett.c) cod.proc.pen. in relazione agli artt.267,268 e 271
cod.proc.pen. ed eccependo l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni
telefoniche compiute per mezzo di impianti di pubblico servizio posti fuori dai
locali della Procura della Repubblica, in assenza di motivazione del
5

avere in concorso con altri e con più azioni esecutive di medesimo disegno

provvedimento del pubblico ministero circa l’inidoneità e le eccezionali ragioni di
urgenza, nonché violazione dell’art. 606 lett.b) cod.proc.pen. in relazione agli
artt.73 e 74 T.U. stup., censurando la decisione impugnata per aver fondato la
sussistenza della responsabilità su un mero dato quantitativo, criticando il
percorso logico non rigoroso seguito dalla sentenza relativamente
all’affermazione della sua responsabilità penale. Secondo il ricorrente, la
sentenza non motiva sufficientemente inficiando la bontà della ricostruzione del
fatto storico e apprezzando condotte e comportamenti sotto il profilo di cui

legittimità come necessari per integrare il reato di associazione per delinquere,
operando un’inaccettabile e immotivato distinguo tra le posizioni dell’Avallone e
del Prezioso Enrico, anch’egli considerato stabile acquirente e tuttavia assolto dal
reato associativo. L’essere funzionale all’associazione, l’agire con la volontà e la
consapevolezza di aderente all’organizzazione criminale e nell’interesse della
stessa, si assume, è un dato da acquisire mediante un’attenta indagine, che non
può essere affidata all’interpretazione del contenuto di intercettazioni di
conversazioni telefoniche senza alcun obiettivo riscontro. La Corte di Appello,
secondo il ricorrente, avrebbe omesso la motivazione circa la contestata
appartenenza dell’imputato all’associazione per delinquere e avrebbe recepito
l’incompleta motivazione della sentenza di primo grado senza alcuna
integrazione in riferimento ai motivi di appello; la Corte avrebbe omesso la
motivazione sulla richiesta di applicazione dell’art. 74, comma 6, T.U. stup. e
dell’art. 73, comma 5, T.U. stup., nonché circa la qualificazione dei reati
contestati ai sensi dell’art.73, comma 5, T.U. stup. e sul diniego delle attenuanti
generiche.
4.

Bako Armando e Bako Artur ricorrono per cassazione, con atti

sovrapponibili, denunciando violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cod.proc.pen. in
quanto la motivazione della sentenza risulterebbe lacunosa, contraddittoria e
illogica con effetto invalidante dell’iter logico-giuridico seguito dal giudicante; la
qualificazione giuridica adottata dalla Corte territoriale, secondo i ricorrenti,
sarebbe censurabile per erronea applicazione della norma di diritto sostanziale
richiamata, in quanto dalle risultanze dell’istruttoria dibattimentale emergerebbe
inequivocabilmente che la condotta criminosa loro contestata non integra gli
estremi della fattispecie delittuosa per cui è condanna, sia per la carenza
probatoria in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico che per il
complessivo apparato accusatorio, rivelatosi inidoneo a fondare un giudizio di
penale responsabilità anche in via meramente indiziaria.
5. Cafasso Giovanni ricorre per cassazione denunciando: a) nullità della
sentenza ex art.606, comma 1, lett. c) cod.proc.pen. in riferimento all’art. 192
6

all’art. 74 T.U. stup. in assenza dei presupposti indicati dalla giurisprudenza di

cod.proc.pen. per errata valutazione degli elementi processuali ai fini della prova
certa di colpevolezza, attesa la insussistenza di elementi probatori univoci in
assenza di riscontri esterni; b) nullità della sentenza ai sensi dell’art. 606 lett.c)
cod.proc.pen. in riferimento all’art. 268, comma 3, e 271 cod.proc.pen.,
ingenerante l’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, unico elemento
indiziario presente in atti, con conseguente assoluta mancanza della prova del
coinvolgimento dell’imputato nel reato contestato, data la mancanza di
motivazione nel decreto in ordine alla necessità di utilizzare le apparecchiature in
uso alla polizia giudiziaria a causa dell’insufficienza e/o inidoneità di quelle

installate presso la procura; c) nullità della sentenza ex art.606, comma 1, lett.
e) cod.proc.pen. per contraddittorietà o illogicità della motivazione in riferimento
al reale portato probatorio delle intercettazioni captate, di cui si eccepisce
l’inutilizzabilità; d) nullità della sentenza ex art. 606, comma 1, lett. e)
cod.proc.pen. per omessa valutazione e conseguente omessa coerente
motivazione ai fini della prova di responsabilità dell’elemento soggettivo di
partecipazione al reato previsto dall’art. 74 T.U. stup., non superandosi con le
motivazioni addotte il giudicato cautelare, ove si ritenevano insussistenti i gravi
indizi di colpevolezza per il reato associativo di cui al capo a).
5.1. Il ricorrente sostiene che i giudici di merito non abbiano risposto alle
eccezioni mosse in merito all’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche
sollevate dalle difese sin dalla fase cautelare, avendo il magistrato ripetuto nel
decreto una formula di stile inidonea ad assolvere all’obbligo motivazionale, con
conseguente impossibilità di utilizzare le conversazioni, ritenute indizi anche di
una sua partecipazione al sodalizio criminoso e all’attività di vendita di sostanza
stupefacente. Non essendo intervenute prove nuove, si sostiene, si è ignorato e
mai superato il dato processuale di un giudicato cautelare, in cui si era affermato
che risultavano acquisiti nei confronti dell’imputato gravi indizi di colpevolezza in
relazione ai soli reati-fine. Secondo il ricorrente, gli elementi posti a sostegno
della sentenza di condanna per il reato associativo attengono ai reati-fine, i quali
però sono isolati e intervenuti in data anteriore alle condotte associative,
essendo illogica la motivazione ove ha ritenuto sussistente la prova certa della
colpevolezza di Giovanni Cafasso in merito al capo a) dell’imputazione per i reatifine commessi antecedentemente alla contestazione associativa; la sentenza di
condanna si fonderebbe su intercettazioni senza che alcuna prova sia stata
rinvenuta circa la partecipazione permanente dell’imputato alla struttura
criminale composta sostanzialmente da albanesi, e, per quanto riguarda
l’acquisto di sostanza stupefacente, le intercettazioni telefoniche sono esigue, N

1,1,

sommarie e non documentano da sé l’acquisto della sostanza, non individuano la !
qualità, né vi sono riscontri esterni; la proposta di vendita da parte di albanesi di
7

cui si parla nella sentenza non può in alcun modo integrare il delitto di cessione
di sostanza stupefacente né configurare la stabile partecipazione di Giovanni
Cafasso all’associazione per delinquere rivolta al traffico internazionale di
stupefacenti; il difetto della motivazione è dato dalla apodittica affermazione che
uno dei colloquianti delle conversazioni riportate sia Giovanni Cafasso solo
perché nelle intercettazioni viene usato il nome “Gianni”, con travisamento dei
dati lessicali delle intercettazioni. Il ricorrente denuncia anche violazione di legge
e vizio motivazionale in tema di corretta valutazione e motivazione della

termini di prevalenza e massima estensione, non considerando il comportamento
processuale dell’imputato e la sua sostanziale incensuratezza.
6. De Miro Mario ricorre per cassazione, con due ricorsi, deducendo: a)
violazione di legge e vizio motivazionale in relazione all’art. 74 T.U. stup. per
avere la Corte di Appello fondato la pronuncia di condanna in ordine al delitto
associativo su scelte dettate da opzioni meramente soggettive, che hanno
determinato un vero e proprio travisamento della prova. Il ricorrente assume
che, a fronte della travisata interpretazione delle intercettazioni telefoniche
offerta dai giudici di merito, scollegata da un’analitica e non certamente
prevenuta lettura delle stesse, i giudici hanno ritenuto che una riprova della
sussistenza del delitto associativo fossero le forniture di cocaina all’interno del
carcere destinate alla vendita, con un teorema accusatorio che non trova
riscontro nella lettura delle stesse intercettazioni, dalle quali invece si evince,
come con riferimento alla conversazione intercorsa il 7 agosto 2003, che la
fornitura di stupefacente recapitata al De Miro in carcere fosse destinata al suo
personale consumo; che il giudice di primo grado, a pag.241, avrebbe travisato il
significato dell’intercettazione telefonica, dalla quale emerge come il De Miro
fosse totalmente all’oscuro degli affari della Iafulli e la radicale insussistenza di
quel ruolo egemone che gli è stato riconosciuto; che nella conversazione dell’Il
luglio 2003 la stessa Iafulli avrebbe offerto al De Miro, una volta scarcerato, un
ruolo apicale, così come gli inviti rivolti dal De Miro alla sua interlocutrice di
vendergli la droga stanno inequivocabilmente a significare che difettava quel
pactum sceleris che configura il delitto associativo; che i giudici di appello hanno

ritenuto opportuno analizzare il reato di cui al capo u) e l’aggravante di cui al
comma 4 dell’art. 74 T.U. stup. per dare maggiore forza argomentativa alle
conclusioni, pur essendo il De Miro stato assolto in primo grado da tale reato; b)
violazione di legge e vizio motivazionale in relazione all’art. 73 T.U. stup. per
avere la Corte, con riferimento al capo v), fornito una illogica motivazione,
considerando come destinata alla vendita in carcere una sostanza stupefacente
in relazione alla quale dalle captate intercettazioni si evinceva che la droga
8

congruità della pena e del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche in

serviva all’imputato per farne uso personale, oltre che per avere con riferimento
al capo w) ritenuto responsabile il De Miro, che aveva fatto esclusivamente da
tramite per l’acquisto della droga, con tale affermazione di responsabilità
scardinando sotto il profilo logico-giuridico la ritenuta responsabilità per il delitto
associativo, posto che Esposito Antonio e la sorella Carmela erano stati assolti da,e,
reato di cui al capo b) e al capo v); c) violazione di legge e vizio motivazionale in
relazione all’attenuante di cui all’art. 73, comma 5, T.U. stup., non avendo la
Corte motivato il diniego dell’attenuante per il reato di cui al capo w) e avendo la

cui al capo v).
7. Kaci Hasan ricorre per cassazione chiedendo che la sentenza sia annullata
in relazione alla qualifica di organizzatore attribuita al ricorrente e deducendo: a)
violazione di legge in relazione all’art. 74, comma 1, T.U. stup. e vizio
motivazionale per avere la Corte attribuito al ricorrente la qualifica di
organizzatore dell’associazione per delinquere senza specificare da quali
telefonate emergesse il ruolo organizzativo attribuitogli, essendo meramente
apparente l’indicazione di innumerevoli telefonate alle quali la Corte ha rinviato,
descrivendo un’attività che non appare caratterizzante il ruolo dell’organizzatore
dell’associazione, essendo priva di quell’autonomia di cui deve godere un
partecipe per essere qualificato come capo, dirigente od organizzatore di
un’associazione, ed avendo anzi la stessa sentenza escluso in numerosissimi
passaggi della motivazione l’autonomia gestionale del Kaci, come ad esempio a
pagg.61 e segg.; è la stessa Corte, secondo il ricorrente, ad aver evidenziato
come il Kaci non assumesse alcuna decisione senza prima consultare Bako Artur;
quanto affermato dalla Corte relativamente al reato-fine contestato al capo s) dà
conto della totale assenza di autonomia gestionale del Kaci e del ruolo subalterno
al Bako; quanto affermato dalla Corte a pag.32 è coerente con il ruolo attribuito
al Bako a pag.62 della sentenza ma in evidente contraddizione con il ruolo di
organizzatore poi attribuito al Kaci.
8. Prezioso Enrico ricorre per cassazione deducendo: a) inosservanza delle
norme processuali previste a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità e
decadenza ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) in riferimento gli artt. 268,
comma 3, e 271, comma 1, cod.proc.pen., per avere il giudice di appello
erroneamente ritenuto che non potesse essere introdotto nella discussione un
motivo non contenuto nell’atto di appello, indicato nell’impugnazione proposta da
altro imputato. Trattandosi di questione oggettiva, si assume, la questione
sollevata dal coimputato poteva essere fatta propria dal difensore del Prezioso, il
quale ha eccepito l’inutilizzabilità delle captazioni telefoniche. Secondo il
ricorrente, trattandosi di questione concernente tutti i decreti, nei quali il
9

Corte configurato la sussistenza di un’aggravante mai contestata per il reato di

pubblico ministero faceva semplicemente riferimento all’inidoneità ed
insufficienza degli impianti installati presso la Procura, non era necessario
indicare il decreto o i decreti non motivati né le formule ritenute non idonee; tale
problematica era stata oggetto di valutazione anche nel provvedimento
cautelare, ed era stata risolta dal Giudice per le indagini preliminari mediante
riferimento ad una giurisprudenza di legittimità ormai superata, posto che le
Sezioni Unite hanno statuito come il semplice riferimento all’insufficienza o
inidoneità degli impianti presso la Procura contenuto nel decreto esecutivo di

motivazione prescritto a pena di inutilizzabilità assoluta dall’art. 268, comma 3,
cod.proc.pen.; secondo il ricorrente, tale vizio motivazionale renderebbe
inutilizzabili i risultati delle intercettazioni telefoniche e conseguentemente nulla
la sentenza per inosservanza di norme processuali prescritte a pena di
inutilizzabilità; b) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale ai
sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) in relazione all’art. 73 T.U. stup., nonchè
manifesta contraddittorietà ed illogicità della sentenza ex art. 606, comma 1,
lett. e) cod.proc.pen. relativamente al medesimo aspetto, in quanto i giudici di
merito, pur ritenendo il ricorrente estraneo al contesto associativo, hanno
confermato l’impianto motivazionale del provvedimento di primo grado per le
residuali imputazioni; nella sentenza di primo grado si faceva riferimento a
riscontri all’unico elemento di prova a carico del Prezioso, mentre all’udienza del
12 maggio 2009 lo stesso verbalizzante aveva negato che vi fosse stata attività
di sequestro o riscontro alle intercettazioni, la cui incompletezza, cattiva qualità
o cripticità ne ha reso incerto il risultato, facendosi riferimento a somme
incompatibili con la quantità di stupefacente che si ritiene oggetto di transazione,
contestando il ricorrente la motivazione fornita dalla Corte di Appello a pag.79 in
merito al fatto che i pagamenti fossero sostanzialmente contestuali o
avvenissero, come sostenuto dallo stesso Prezioso, mediante anticipo di somme;
con riguardo alla conversazione del 27 maggio 2003 ore 21:36 il Tribunale ha
fatto riferimento allo scambio di classici involucri contenenti 500 grammi di
sostanza stupefacente verosimilmente del tipo

hashish

mentre nella

contestazione rubricata al capo p) si parla della cessione di una quantità
superiore a kg.2 di eroina; né può costituire riscontro al costrutto accusatorio di
cui al capo q), che riguarda una condotta avvenuta nella prima settimana di
giugno, un controllo effettuato il 10 luglio 2003.
9. Sbrizzi Cosimo ricorre per cassazione deducendo vizio motivazionale,
inosservanza od erronea applicazione della legge penale con specifico riferimento
alla mancata assoluzione del ricorrente dalla contestata fattispecie associativa e
con richiesta subordinata di esclusione del ruolo di organizzatore per totale
10

attività tecniche di registrazione non consenta di ritenere assolto l’obbligo di

carenza di motivazione. Secondo il ricorrente, la Corte avrebbe desunto la
partecipazione dello Sbrizzi al reato associativo da un’interpretazione parziale e
illogica delle intercettazioni telefoniche indirette tra i coindagati, non supportata
da oggettivi riscontri fattuali; l’assoluzione dall’unico reato-fine contestato è
sintomatica dell’infondatezza dell’ipotesi accusatoria, che non ha consentito di
trovare alcun riscontro di tipo dinamico al dedotto, indimostrato, generico ed
indefinito ruolo di partecipe dell’associazione. La Corte, si assume, avrebbe
omesso di considerare che non vi fosse la prova che il “vecchio”, al quale si fa

certezza in Sbrizzi Cosimo, tanto più che all’udienza del 12 maggio 2009
(pagg.21 segg. della sentenza di primo grado) il Maresciallo Barnabà ha
precisato che nell’ambito dell’indagine erano presenti altri soggetti che venivano
appellati con tale nomignolo; appare illogico che la Corte di Appello pretenda di
individuare il contributo del ricorrente alla vita associativa dal compendio
indiziario che comprenderebbe un contributo dinamico relativamente ad
un’ipotesi di reato-fine dal quale è stato assolto in primo grado; la sentenza
impugnata risulta immotivata e inconferente in rapporto ai motivi di gravame
laddove non si è considerata l’assenza di telefonate dirette dello Sbrizzi nei
confronti degli altri coimputati coinvolti nella contestazione di partecipazione
all’associazione, non consentendo le argomentazioni contenute nella sentenza
impugnata di ritenere provata oltre ogni ragionevole dubbio la responsabilità
penale del ricorrente, ancor meno con il ritenuto ruolo apicale di organizzatore;
la sentenza sarebbe immotivata nella parte in cui non ha ritenuto di dare valore
liberatorio al breve lasso di tempo nell’ambito del quale emergerebbe la figura
dello Sbrizzi, mentre la Corte avrebbe dovuto evidenziare che la posizione di
quest’ultimo emerge in modo indiretto in poche occasioni nell’arco dell’indagine,
soprattutto senza che i dati emergenti siano caratterizzati da una univoca lettura
del contenuto delle intercettazioni telefoniche, non essendovi prova della stabilità
di vincoli tra lo Sbrizzi e altri soggetti del gruppo, dalle cui attività l’imputato
viene sistematicamente escluso, in contrasto con le indicazioni della
giurisprudenza di legittimità in merito alla prova della partecipazione
all’associazione.
10. All’udienza del 28/1/2014, preso atto che l’avviso all’imputato Bako
Armando ai sensi dell’art.613, comma 4, cod.proc.pen. non era andato a buon
fine, la posizione di tale ricorrente è stata separata con rinvio a nuovo ruolo.
11. Nel corso della medesima udienza, il difensore di Cafasso Giovanni ha
depositato copia dell’ordinanza emessa dal Tribunale del Riesame del
30/05/2007, menzionata nel ricorso.

11

riferimento indiretto in alcune conversazioni telefoniche, fosse identificabile con

CONSIDERATO IN DIRITTO
i. E’ necessario premettere, in via generale, che costituisce orientamento
consolidato di questa Corte quello secondo il quale, in presenza di una doppia
conforme affermazione di responsabilità, va ritenuta l’ammissibilità della
motivazione della sentenza d’appello per relationem a quella della decisione
impugnata, sempre che le censure formulate contro la sentenza di primo grado
non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi,
in quanto il giudice di appello, nell’effettuazione del controllo della fondatezza

questioni sommariamente riferite dall’appellante nei motivi di gravame, sulle
quali si sia soffermato il primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e
prive di vizi logici, non specificamente e criticamente censurate. In tal caso,
infatti, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si
integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale
occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della
motivazione, tanto più ove i giudici dell’appello abbiano esaminato le censure
con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti
riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della
decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito
costituiscano una sola entità (Sez.6, n.28411 del 13/11/2012, dep. 1/07/2013,
Santapaola, Rv. 256435; Sez. 3, n. 13926 del 10/12/2011, dep. 12/04/2012,
Valerio, Rv. 252615; Sez. 2, n. 1309 del 22/11/1993, dep. 4/02/1994,
Albergamo ed altri, Rv. 197250).

2. Tanto premesso, ed esaminando partitamente i ricorsi, l’impugnazione
proposta da Avallone Pasquale non può trovare accoglimento.
2.1. Quanto all’eccepita inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche poste
a base della pronuncia impugnata, è principio ripetutamente affermato nella
giurisprudenza di questa Corte, a partire dalla pronuncia delle Sezioni Unite del
2007 (Sez. U, n.30347 del 12/07/2007, Aguneche, Rv. 236754) che sono
inutilizzabili gli esiti di intercettazioni qualora le conversazioni risultino registrate
mediante impianti diversi da quelli in dotazione dell’ufficio di procura senza esser
state precedute da un provvedimento autorizzativo che contenga un
apprezzamento del Pubblico Ministero circa l’esistenza attuale ed effettiva delle
condizioni di oggettiva insufficienza o inidoneità degli impianti della stessa
procura (Sez. 1, n.10399 del 13/01/2010, Amendola, Rv. 246353). Con la
precisazione che il requisito dell’inidoneità dell’impianto, attiene non solo
all’aspetto tecnico-strutturale, concernente le condizioni materiali dell’impianto
stesso, ma anche a quello cosiddetto funzionale, da valutare in relazione al tipo
12

degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non è tenuto a riesaminare

di indagine che si svolge e allo specifico delitto per il quale si procede
(Sez. 6, n.17231 del 14/04/2010 ,Hosa,Rv. 247010;Sez. 6, n.2930 del 23/10/20
09, dep. 22/01/2010, Ceroni, Rv. 246128). Con l’ulteriore specificazione per cui
la motivazione sulle ragioni di eccezionale urgenza, implicitamente desumibile
anche dallo stesso contesto del processo e dalla natura delle imputazioni
(Sez. 6, n.49754 del 21/11/2012, Casulli, Rv. 254101), per l’uso di impianti in
dotazione della polizia giudiziaria, è assorbente rispetto ai profili tecnici
di inidoneità funzionale degli impianti della procura, sicché, in tal caso, l’omessa

inutilizzabilità del decreto di intercettazione (Sez. 6, n. 39216 del 09/04/2013,
Di Fiore, Rv. 256590; Sez. 1, n. 11561 del 05/02/2013, Tavelli, Rv. 255336).
2.2. La sentenza impugnata (pag.78) ha ritenuto generica l’eccezione
concernente l’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, in quanto la difesa
non avrebbe indicato i decreti asseritamente non motivati né le formule ritenute
non idonee, rilevando la Corte come i decreti visionati recassero puntuale
esposizione dell’assenza di postazioni di ascolto disponibili presso la procura
nonché delle ragioni di urgenza che rendevano necessaria l’immediata
prosecuzione dell’attività di captazione. Pur essendo condivisibile la censura della
motivazione nella parte in cui ha dichiarato inammissibile l’eccezione, posto che
la sanzione processuale dell’inutilizzabilità non rientra tra le questioni lasciate
nella disponibilità esclusiva delle parti, essendo sempre rilevabile d’ufficio, la
questione è priva di decisività, posto che la Corte ha comunque fornito una
motivazione alternativa. A fronte della motivazione espressa dalla Corte
territoriale con riguardo al contenuto dei decreti autorizzativi delle
intercettazioni, il ricorrente avrebbe dovuto, nel rispetto del principio di
specificità del ricorso, riportare nell’atto o allegare la motivazione dei decreti
emessi dal pubblico ministero ai sensi dell’art.268, comma 3, cod.proc.pen.
asseritamente viziati, onde consentire a questa Corte di verificare su quali
presupposti i decreti stessi fossero stati emessi, tanto più a fronte della specifica
indicazione, nella sentenza impugnata, del fatto che i decreti visionati dalla Corte
di Appello recassero puntuale esposizione delle ragioni di urgenza che rendevano
necessaria l’immediata prosecuzione dell’attività di captazione (Sez. 2, n.24925
del 11/04/2013, Cavaliere, Rv. 256540; Sez. 5, n. 11910 del 22/01/2010,
Casucci, Rv. 246552).
2.3. Il riconoscere al giudice di legittimità il potere di cognizione piena e
diretta del fatto processuale qualora venga dedotto un error in procedendo, non
comporta, infatti, il venir meno della necessità di rispettare le regole poste dal
codice di rito per la proposizione del ricorso per cassazione. Ciò vuoi dire che,
pur trattandosi di motivo di natura processuale in relazione al quale alla Corte di
13

indicazione specifica dei precisati aspetti tecnici non è causa di nullità o

Cassazione è consentito esaminare gli atti del fascicolo processuale al fine di
verificare il fondamento dell’eccezione proposta, l’applicazione concreta di questo
principio presuppone che venga quanto meno specificamente indicato l’atto dal
quale si ritiene derivino conseguenze giuridiche o quello che sia affetto dal vizio
denunziato e che l’atto da esaminare sia contenuto nel medesimo fascicolo. Se
invece questa indicazione non viene fornita o, seppur fornita, l’esame
dell’eccezione richiede l’acquisizione di atti o documenti o notizie di qualsiasi
genere che non formano parte del fascicolo del processo deve ritenersi nel primo

legittimità di individuare l’atto affetto dal vizio denunziato; nel secondo caso che
costituisca onere della parte richiederne l’acquisizione al giudice del merito, se il
problema si pone in questa fase, ovvero produrlo nel giudizio di legittimità nei
casi in cui la Corte di Cassazione sia anche giudice del fatto. Diversamente
verrebbe attribuito al giudice di legittimità un compito di individuazione, ricerca e
acquisizione di atti, notizie o documenti del tutto estraneo ai limiti istituzionali
del giudizio di legittimità (Sez. U, n. 39061 del 16/07/2009, De brio,
Rv.244328; Sez. 1, n. 26492 del 09/06/2009, Bellocco, Rv.244039;
Sez.4, n.25310 del 07/04/2004, Ardovino, Rv. 228953).
2.4. Se ne deve trarre la conseguente dichiarazione di inammissibilità di tale
motivo di ricorso.
2.5. Quanto alle censure concernenti l’illogica ed immotivata sussunzione
delle condotte dell’Avallone, desunte dalle sole intercettazioni, nell’ambito del
reato associativo, il ricorso si pone in palese contrasto con il testo del
provvedimento impugnato. La Corte territoriale, quanto al contestato reato
associativo, ha rinviato a quanto accertato dal tribunale, ritenendo che l’analisi
delle condotte compiuta dai primi giudici fosse sul punto condivisibile in ragione
della lineare ricostruzione delle vicende oggetto di contestazione, della facile
decifrabilità del linguaggio registrato e dell’accertata identità dei soggetti ai quali
le condotte erano state attribuite. Nella sentenza di primo grado, con riguardo al
reato associativo, era stata ritenuta la posizione apicale e gerarchicamente
sovraordinata dei fratelli Bako Armando e Bako Artur nonché di Kaci Hasan, i
quali dirigevano le azioni del sodalizio, indicandosi Piscopo Domenico come
anello di congiunzione fra gli albanesi e gli acquirenti campani, Kaci Aldo e
Kadena Ilirjian quali corrieri, Avallone Pasquale, Cafasso Giovanni, Papa Giovanni
e Sbrizzi Cosimo quali acquirenti-grossisti. Esaminando partitamente i singoli
motivi di impugnazione, la Corte di Appello di Napoli si è confrontata con i motivi
di appello e, in particolare: a) con riguardo alla condotta contestata con data tra
1 1 11 e il 16 marzo, ha confermato la sentenza di primo grado riportando brani
significativi delle conversazioni intercettate, in parte riportate nella motivazion
14

caso che il motivo sia inammissibile per genericità, non consentendo al giudice di

ed analiticamente esaminate; b) con riguardo alla condotta contestata con data
tra il 27 il 29 aprile 2003, richiamando la ricostruzione della vicenda operata dal
giudice di primo grado, ha riportato sinteticamente la conversazione del 23 aprile
2003 22:20, da cui ha desunto l’esistenza di pregressi rapporti e la palese
richiesta di fornitura di sostanza, nonché la contrattazione sul prezzo, la
conversazione del 27 aprile 2003 18:20, in cui gli imputati di nazionalità
albanese si organizzano per portare ai grossisti il campione della sostanza
stupefacente da vendere, la conversazione del 29 aprile 2003 18:47, in cui

contestata con data tra 1’11 e il 13 luglio 2003, ha ritenuto tale vicenda
fortemente significativa della sussistenza di rapporti articolati e stabili tra le varie
frange dell’organizzazione e, richiamando l’esposizione più analitica contenuta
nella sentenza di primo grado, ha ricostruito la vicenda identificando
nell’imputato Avallone il personaggio indicato nell’intercettazione del 6 luglio
2003 come “Giovanni”, in quanto interessato ai contatti degli albanesi con il
macedone Limani e alla contemporanea trattativa con l’albanese ‘Make’
dimorante a Napoli, richiamando l’intercettazione dell’8 luglio 2003 12:10, in cui
Avallone Pasquale chiama Kaci Hasan e chiede novità circa una situazione che i
giudici di merito ritengono con evidenza nota ad entrambi, contemporaneamente
rilevando come fossero state intercettate conversazioni fortemente significative
in ordine alle vorticose e ubiquitarie fonti degli albanesi: in data 9 luglio 2003
22:36, Avallone era stato avvisato da Kaci Hasan che era “tutto a posto”, il 10
luglio 2003 alle 12:10 Avallone Pasquale aveva chiamato Kaci Hasan riferendo
che lo stava raggiungendo, desumendo i giudici da ulteriori intercettazioni che
l’appuntamento fosse a Mondragone, peraltro avendo confermato tale incontro il
personale del Nucleo Operativo Carabinieri di Taranto, che aveva predisposto un
servizio di osservazione, con attività investigativa completatasi con il controllo
alle 20:10 del medesimo 10 luglio 2003 di un’autovettura, indicata nelle
telefonate intercettate, su cui viaggiavano quattro soggetti identificati in Bako
Artur, Kaci Hasan, Martusciello Angelo e Avallone Pasquale provenienti da Roma,
seguita da telefonate intercorse nella notte tra Bako Artur, in cui quest’ultimo
rassicurava Demo Ermonela per non essergli state prelevate le impronte digitali,
a differenza di quanto avvenuto per Avallone, privo di documenti. I giudici di
merito hanno affermato la valenza probatoria degli elementi acquisiti,
sottolineando che le successive conversazioni dimostravano l’invio di un corriere
e il contatto con il quale il Kaci avvertiva Avallone che ancora non era arrivato
niente con telefonata del 12 luglio 2003 14:22, che alle 18:00 Kaci Hasan fissava
un appuntamento con Avallone e da un servizio di osservazione predisposto dai
Carabinieri del Nucleo Operativo di Taranto si accertava lo scambio di un
15

l’imputato Avallone rifiuta una fornitura diversa; c) con riguardo alla condotta

involucro consegnato da un extracomunitario a Kaci Aldo, che alle ore 00.32 del
13 luglio 2003 Avallone parlava con Kaci Hasan dei risultati dell’assaggio
effettuato sul campione. In merito alla domanda di assoluzione dell’appellante,
ha ritenuto che il costante contatto dell’imputato con gli albanesi, la previa
informazione in merito a tutte le forniture dagli stessi organizzati, il chiaro
interesse all’intermediazione per acquisti di notevole entità non consentissero
diversa lettura con riferimento ai dati emersi dalle intercettazioni e dai controlli
effettuati in occasione del viaggio in Pomezia per l’organizzazione dell’acquisto

del rapporto, risalente ad epoca considerevolmente antecedente l’inizio delle
intercettazioni, desunta dal riferimento ad una procedente fornitura di cocaina
proveniente dal sud America, dall’indicazione di luoghi di incontro non specificati,
dall’utilizzo di espressioni sintetiche o criptiche ma ricorrenti (macchine,
documenti, passaporti) ed immediatamente comprese. Ha, poi, ritenuto
indicativa la presenza dell’Avallone, sia nel viaggio a Pomezia che in quello a
Napoli per i contatti e l’acquisizione di campioni con i fornitori, per negare la tesi
difensiva in ordine ai soggetti con cui interagiva l’imputato, ritenuto comunque
dato non significativo a fronte delle innumerevoli conversazioni dalle quali
emergeva la piena consapevolezza dell’imputato in ordine alle modalità del
rifornimento organizzato dagli albanesi, nonché l’inverosimiglianza che la
sostanza stupefacente fosse acquistata dall’imputato per uso proprio o per un
piccolo spaccio, inconciliabile con il ruolo e con le modalità di acquisizione dei
campioni per una successiva acquisizione di grossi quantitativi. Ha spiegato per
quale motivo l’esito negativo del controllo del 10 luglio 2003 non potesse
ritenersi acquisizione istruttoria idonea a dimostrare che l’attività dell’imputato
fosse finalizzata all’acquisto di piccola entità destinato allo spaccio al minuto,
sottolineando come il livello dell’informazione dell’Avallone e gli acquisti di
chilogrammi di sostanza rendessero inverosimile l’ipotesi difensiva, emergendo
oltretutto dalle telefonate intercettate che l’Avallone era convocato per i saggi di
campioni della sostanza da acquistare. La motivazione fornita dai giudici di
merito, le cui due pronunce, come detto, si integrano secondo principi
interpretativi consolidati, appare congrua, esente da illogicità e resiste alle
generiche, e in parte non corrette, censure mosse dal ricorrente.
2.6. In merito al deteriore trattamento dell’Avallone rispetto al coimputato
Prezioso Enrico è sufficiente prendere in esame le pagg.76 e 77 della sentenza
impugnata per desumerne la logicità con riferimento al diverso giudizio espresso
nei confronti di quest’ultimo; in merito all’asserita omessa motivazione in punto
di sussunzione del fatto in ipotesi lieve o attenuata, il coinvolgimento
dell’imputato in forniture provenienti, oltre che dall’Albania, anche dal sud
16

con il Kadena, sottolineando come le conversazioni dessero conto della stabilità

America e comunque il continuo contatto dello stesso con i fornitori hanno
indotto la Corte a ritenere inapplicabile l’ipotesi di cui all’art. 74, comma 6, T.U.
stup., così come l’attenuante di cui all’art. 73, comma 5, T.U. stup.,
evidenziandosi nella sentenza come la cessione di “campioni” di sostanza deve
essere valutata alla luce dell’offensività della condotta, da correlare alla quantità
di sostanza stupefacente richiesta e offerta piuttosto che al quantitativo del
campione (cfr. esattamente sul tema Sez. 4, n.38133 del 02/07/2013, Cuomo,
Rv. 256289; Sez. 6, n.37983 del 16/03/2004, Benevento,Rv. 230372). La Corte

sostegno della richiesta di concessione delle attenuanti generiche, negate sia
sulla base di due precedenti specifici sia in ragione della personalità di notevole
spessore criminale dell’imputato, dedito ad un esercizio professionale dell’attività
illecita e stabilmente inserito in una scelta di devianza. Trattasi, inoltre, di
censura che concerne un giudizio, quale quello riguardante la determinazione
della pena e la concessione dei benefici come la sospensione condizionale,
riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità ove, come nel
caso in esame, congruamente motivato.
2.7. Il ricorso proposto da Avallone Pasquale deve essere, pertanto,
rigettato con condanna del ricorrente, ai sensi dell’art.616 cod.proc.pen., al
pagamento delle spese processuali.

3. Il ricorso proposto da Bako Artur è inammissibile.
3.1. La funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata
avverso il provvedimento al quale si riferisce. Tale critica argomentata si realizza
attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt.581 e
591 cod.proc.pen.), devono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli
elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di
impugnazione è, pertanto, innanzitutto il confronto puntuale (cioè con specifica
indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il
dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta,
mediante l’individuazione dei capi e dei punti dell’atto impugnato che si
intendono sottoporre a censura con espressione di un vaglio critico in ordine a
ciascuno di essi analiticamente formulato, che consenta di dimostrare che
ragionamento del giudice è errato (Sez.5, n.28011 del 15/02/2013, Sammarco,
Rv.255568; Sez. 6, n.22445 dell’8/09/2009, P.M. in proc. Candita, Rv. 244181).
3.2. Quando, poi, il ricorso contesta le ragioni che sorreggono la decisione
deve, altresì, contemporaneamente enucleare in modo specifico il vizio
denunciato, in modo che sia chiaramente sussumibile fra i tre previsti
dall’art.606, comma 1, lett.e) cod. proc. pen., deducendo poi, altrettanto
17

ha ritenuto inconferente con le risultanze processuali anche l’argomentazione a

specificamente, le ragioni della sua decisività rispetto al percorso logico seguito
dal giudice del merito per giungere alla deliberazione impugnata, così da
condurre a decisione differente.
3.3. Nel caso concreto, il ricorso presentato da Bako Artur si caratterizza per
essere uno scritto discorsivo contenente l’enunciazione di frasi ed argomenti
disancorati dal provvedimento impugnato, si connota per un generico riferimento
alle ragioni degli elementi costitutivi del reato e per un’apodittica censura per
violazione di legge e vizio motivazionale, dovendo ritenersi inammissibile perché

base di generiche censure alle valutazioni operate dal giudice di merito. Si
chiede, in realtà, al giudice di legittimità una rilettura degli atti probatori, per
pervenire ad una diversa interpretazione degli stessi. Trattasi di censure non
consentite in sede di legittimità perché in violazione della disciplina di cui
all’art.606 cod.proc.pen. (Sez. 4, n. 31064 del 02/07/2002, P.O.in proc. Min.
Tesoro, Rv. 222217; Sez. 1, n. 10527 del 12/07/2000, Cucinotta, Rv. 217048;
Sez. U, n.6402 del 30/04/1997,Dessimone,Rv. 207944;Sez. U, n.930
del 13/12/1995 (dep. 29/01/1996 ), Clarke, Rv.203428). Infatti, nel momento
del controllo di legittimità, la Corte di Cassazione non deve stabilire se la
decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione
dei fatti né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se
questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i ‘limiti di una
plausibile opinabilità di apprezzamento’, secondo una formula giurisprudenziale
ricorrente(Sez. 4, n.47891 del 28/09/2004, n. 47891, Mauro, Rv. 230568;
Sez. 4, n.4842 del 2/12/2003-6/02/2004, Elia, Rv. 229369).
3.4. Tenuto conto della sentenza Corte Cost. n. 186 del 13/06/2000 e
rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente abbia
“proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, alla declaratoria di inammissibilità segue, a norma dell’art.616
cod.proc.pen., l’onere delle spese del procedimento e del versamento di una
somma, in favore della Cassa delle Ammende, determinata, in considerazione
delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, nella misura di euro 1.000,00.

4. Il ricorso proposto da Cafasso Giovanni è infondato.
4.1. Il ricorrente denuncia l’inutilizzabilità delle conversazioni captate sulla
base dei decreti autorizzativi nn.15/03 e 36/03 in quanto tali decreti sarebbero
privi di motivazione, senza inserirne il testo nel ricorso e senza allegarli. Come
già osservato con riferimento ad altro ricorrente, la sentenza impugnata (pag.78)
ha rigettato analoga eccezione sollevata da altro coimputato affermando che i
decreti visionati recavano puntuale esposizione dell’assenza di postazioni di
18

tendente ad una rivalutazione in fatto non consentita in sede di legittimità, sulla

ascolto disponibili presso la procura nonché delle ragioni di urgenza che
rendevano necessaria l’immediata prosecuzione dell’attività di captazione.
L’integrazione tra le due pronunce di merito porta a ritenere che i decreti
visionati dalla Corte di Appello fossero quelli analiticamente elencati quali fonti di
prova a pag.26 ss. della sentenza di primo grado, tra i quali si trovano anche i
decreti nn.15/03 e 36/03. A fronte della motivazione espressa dalla Corte
territoriale con riguardo al contenuto dei decreti autorizzativi delle intercettazioni
posti a base della pronuncia di condanna, il ricorrente avrebbe dovuto, nel

motivazione dei provvedimenti asseritamente viziati, onde consentire a questa
Corte di verificare la fondatezza dell’eccezione, tanto più a fronte della specifica
indicazione, nella sentenza impugnata, del fatto che i decreti visionati dalla Corte
di Appello recassero puntuale esposizione delle ragioni di urgenza che rendevano
necessaria l’immediata prosecuzione dell’attività di captazione.
4.2. Il ricorrente si duole, poi, dell’assenza di riscontri esterni capaci di
suffragare l’ipotesi di colpevolezza desunta dalle intercettazioni telefoniche,
svolgendo per lo più censure generiche e in fatto che tendono ad una
rivalutazione del compendio probatorio, inammissibile in sede di legittimità, sulla
base di affermazioni in parte contrastanti (vedasi la motivazione a pag.74-75
circa l’identificazione dell’imputato o l’indicazione delle attività dibattimentali
successive al giudizio cautelare a pag.17-18 della sentenza di primo grado) con il
testo delle pronunce di merito. In ogni caso, la specifica censura circa l’illogicità
della motivazione, laddove desume l’appartenenza dell’imputato Cafasso
Giovanni al sodalizio criminoso indicato nel capo A dalle sole intercettazioni
telefoniche intercorse tra quest’ultimo e Kaci Hasan nel periodo 18-23 gennaio
2003, si scontra con il tenore del provvedimento impugnato, in cui con congrua
motivazione la Corte territoriale ha desunto il ruolo di acquirente-grossista
dell’associazione ascritto al Cafasso dalla dimestichezza personale, dalla
comunione di linguaggio convenzionale, dai riferimenti sintetici a luoghi noti agli
interlocutori, in definitiva da elementi sintomatici di rapporti già da tempo
instaurati con personaggi di spicco dell’associazione emergenti dalle
intercettazioni telefoniche, utilizzabili ai fini dell’accertamento del reato di cui al
capo A nella loro integralità, dunque anche con riferimento alle captazioni di
epoca successiva al gennaio 2003, analiticamente valutate nella sentenza a
pag.75. Non si ravvisa alcuna contraddizione nelle pronunce di merito, non
potendosi escludere la sussistenza del reato associativo dall’insufficienza della
prova in merito al perfezionamento di un reato-fine, tanto meno nel caso in
esame, in cui la pronuncia assolutoria non ha posto in dubbio l’effettività dei
contatti intercorsi tra fornitori e grossista nel periodo 29 gennaio/6 febbraio 200
19

rispetto del principio di autosufficienza del ricorso, riportare nell’atto o allegare la

al fine di pervenire ad una nuova transazione, ritenuta correttamente
sintomatica di una stabilità di rapporti alla luce delle contestazioni concernenti
pregresse cessioni (capo c), non inquadrate come reati-fine. La sentenza
impugnata risulta, dunque, avere correttamente applicato il principio
interpretativo per cui, in materia di associazione finalizzata al traffico
di stupefacenti, la partecipazione dell’imputato al sodalizio criminoso può essere
desunta anche dalla commissione di singoli episodi criminosi, purché siffatte
condotte, per le loro connotazioni, siano in grado di attestare, al di là di ogni

della persona, funzionale all’associazione e alle sue dinamiche operative e di
crescita criminale, e le stesse siano espressione non occasionale della adesione
al sodalizio criminoso e alle sue sorti, con l’immanente coscienza e volontà
dell’autore di farne parte e di contribuire al suo illecito sviluppo
(Sez. 6, n.44102 del 21/10/2008, Cannizzo, Rv. 242397).
4.3. La correlata censura per omessa valutazione e conseguente omessa
coerente motivazione, ai fini della prova di responsabilità dell’elemento
soggettivo di partecipazione al reato previsto dall’art. 74 T.U. stup., delle
motivazioni del cosiddetto giudicato cautelare, ove si ritenevano insussistenti i
gravi indizi di colpevolezza per il reato associativo di cui al capo a), deve
ritenersi infondata. La Corte territoriale, operando una diversa valutazione del
compendio istruttorio, oggetto di cognizione sommaria ai fini della cautela,
all’esito di una più completa cognizione delle emergenze istruttorie, ha espresso
la motivazione indicata al punto n.4.2, evidentemente incompatibile con le
valutazioni del Tribunale del Riesame, implicitamente rigettando il relativo
motivo di appello, il cui vaglio emerge dal fatto che a tale motivo si rinviene
espresso riferimento a pag.73 della motivazione.
4.4. La censura concernente la determinazione della pena ed il
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche prevalenti è inammissibile.
La Corte ha ritenuto inconferente con le risultanze processuali l’argomentazione
concernente l’incensuratezza dell’imputato, condannato per violazione
dell’art.416 bis cod.pen., ritenendo di valutare negativamente il comportamento
processuale del medesimo (pag.75) ed argomentando le ragioni per le quali ha
ritenuto adeguata la pena applicata dal giudice di primo grado. Trattasi, dunque,
di censura che concerne un giudizio, quale quello riguardante la determinazione
della pena e la concessione di circostanze attenuanti generiche, riservato al
giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità ove, come nel caso in
esame, congruamente motivato.

20

ragionevole dubbio e secondo massime di comune esperienza, un ruolo specifico

4.5. Il ricorso proposto da Cafasso Giovanni deve essere, pertanto, rigettato
con condanna del ricorrente, ai sensi dell’art.616 cod.proc.pen., al pagamento
delle spese processuali.

5. Il ricorso proposto da De Miro Mario è infondato.
5.1. La funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata
avverso il provvedimento al quale si riferisce. Tale critica argomentata si realizza
attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt.581 e

elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di
impugnazione è, pertanto, innanzitutto il confronto puntuale (cioè con specifica
indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il
dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta,
mediante l’individuazione dei capi e dei punti dell’atto impugnato che si
intendono sottoporre a censura con espressione di un vaglio critico in ordine a
ciascuno di essi analiticamente formulato, che consenta di dimostrare che
ragionamento del giudice è errato (Sez.5, n.28011 del 15/02/2013, Sammarco,
Rv.255568; Sez. 6, n.22445 dell’8/09/2009, P.M. in proc. Candita, Rv. 244181).
5.2. Quando, poi, il ricorso contesta le ragioni che sorreggono la decisione
deve, altresì, contemporaneamente enucleare in modo specifico il vizio
denunciato, in modo che sia chiaramente sussumibile fra i tre previsti
dall’art.606, comma 1, lett.e) cod. proc. pen., deducendo poi, altrettanto
specificamente, le ragioni della sua decisività rispetto al percorso logico seguito
dal giudice del merito per giungere alla deliberazione impugnata, così da
condurre a decisione differente.
5.3. Il ricorrente si duole del travisamento delle intercettazioni telefoniche
poste a base della pronuncia di condanna riportandone, nel ricorso, alcuni brani;
offrendone, in sostanza, una diversa interpretazione, non incompatibile ma,
meramente alternativa a quella indicata dai giudici di merito. Occorre, in
proposito, ribadire che è inammissibile il ricorso per cassazione che deduca il
vizio di manifesta illogicità della motivazione e, pur richiamando atti
specificamente indicati, non contenga la loro integrale trascrizione o allegazione
e non ne illustri adeguatamente il contenuto, così da rendere lo stesso dotato del
requisito della specificità con riferimento alle relative doglianze
(Sez. 5, n.11910 del 22/01/2010, Casucci, Rv. 246552;
Sez. 4, n.3360 del 16/12/2009, dep. 26/01/2010, Mutti, Rv. 246499). In
considerazione del vizio lamentato, non è infatti sufficiente che gli atti del
processo evocati con il ricorso siano semplicemente contrastanti con particolari
accertamenti e/o valutazioni del giudicante, o con la sua ricostruzione
21

591 cod.proc.pen.), devono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli

complessiva (e finale) dei fatti e delle responsabilità, ne’ che tali atti possano
essere astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella
fatta propria dal giudicante. Occorre invece che gli atti del processo, presi in
considerazione per sostenere l’esistenza di un vizio della motivazione, siano
decisivi, ossia autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale
che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal
giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o
da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione.

coimputati e l’assenza di motivazione circa gli elementi costitutivi
dell’associazione, si tratta di censure infondate che aggirano, a fronte della
specifica motivazione svolta dalla Corte territoriale alle pagine 93-95 e dell’ampia
motivazione di primo grado alle pagine 255 ss. e 268, il dovuto confronto
puntuale con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta,
mediante l’individuazione dei capi e dei punti dell’atto impugnato che si
intendono sottoporre a censura con espressione di un vaglio critico in ordine a
ciascuno di essi analiticamente formulato, che consenta di dimostrare che il
ragionamento del giudice è errato.
5.5. In contrasto con il testo della sentenza impugnata (pagg.86-95) si
mostrano le censure concernenti l’omessa motivazione circa il riconoscimento
dell’attenuante di cui all’art.73, comma 5, T.U. stup. richiesto con i motivi di
appello o l’applicazione dell’aggravante di cui all’art.80, comma 1, T.U. stup., che
in alcun modo risulta oggetto del dispositivo di condanna e che viene menzionata
a pag.95 della sentenza quale mero argomento logico per escludere la possibilità
di qualificare il fatto come di scarso allarme, confermandosi anche per tale
ricorrente, in presenza di congrua motivazione sul punto, l’infondatezza delle
censure concernenti la valutazione dei giudici di merito in punto di
determinazione della pena.
5.6. Conclusivamente, il ricorso proposto da De Miro Mario deve essere
rigettato con condanna del ricorrente, ai sensi dell’art.616 cod.proc.pen., al
pagamento delle spese processuali.

6. Il ricorso proposto da Kaci Hasan è infondato.
6.1.11 ricorrente si duole della sussunzione della sua condotta nell’astratta
figura di reato prevista dall’art.74, comma 1, T.U. stup., ritenendo che la Corte
gli abbia erroneamente ascritto il ruolo di organizzatore all’interno
dell’associazione, peraltro in contraddizione con il ruolo di preminenza attribuito
nella stessa pronuncia a Bako Artur.

22

5.4. Quanto ai vizi motivazionali concernenti l’assoluzione di alcuni

6.2. Secondo un principio già affermato da questa Sezione, la qualifica di
organizzatore all’interno di un’associazione criminosa dedita al traffico di
sostanze stupefacenti spetta a chi assume poteri di gestione, quand’anche non
pienamente autonomi, in uno specifico rilevante settore operativo del gruppo
(Sez.4, n.45018 del 23/10/2008, Cela, Rv.242032). La lettura delle sentenze di
merito consente di apprezzare come i giudicanti, con una satisfattiva analisi degli
elementi ritenuti rilevanti, abbiano convincentemente supportato il ruolo di
organizzatore svolto dal Kaci. Ruolo di cui hanno apprezzato esattamente i tratti

direttive in tutti i traffici dell’organizzazione, mantenesse i contatti con gli
acquirenti-grossisti italiani e impartisse disposizioni per la conclusione dei singoli
affari, secondo quanto emerso dalle intercettazioni telefoniche, rispetto alla cui
interpretazione valgono qui gli stessi rilievi di inammissibilità della censura per
difetto di specificità già rilevati in altro ricorso, che lo vedono come protagonista.
Conformemente alla sentenza di primo grado, la sentenza di appello ha
riscontrato il ruolo del Kaci di collettore tra le direttive del Bako e le richieste
degli acquirenti, di esecutore di consegne e recettore di pagamenti, la sua
presenza in occasione di un incontro organizzato con gli acquirenti a Pomezia per
sottoporre agli stessi il saggio di un campione di sostanza stupefacente. La
ricostruzione dei giudici di merito può ritenersi giuridicamente corretta e basata
su elementi (insindacabili nella loro ricostruzione fattuale) coerenti e quindi non
censurabili proprio in ragione del principio per cui può qualificarsi come
organizzatore anche colui che, non limitandosi ad attività meramente esecutive
del progetto comune, assuma una funzione di fulcro, svolga poteri gestionali,
ancorché non pienamente autonomi, apportando all’associazione un contributo
primario, ponendo cioè in essere una condotta maggiormente pericolosa di quella
degli altri sodali.
6.3. Al rigetto del ricorso segue, a norma dell’art. 616 cod.proc. pen, la
condanna del ricorrente Kaci Hasan al pagamento delle spese processuali.

7. Il ricorso proposto da Prezioso Enrico è infondato.
7.1.Quanto all’eccepita inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche valga
richiamare, onde evitare ultronee ripetizioni, quanto osservato ai punti nn.2.1,
2.2 e 2.3.
7.2. Se ne deve trarre la conseguente dichiarazione di inammissibilità di tale
motivo di ricorso.
7.3. Con riguardo alla dedotta violazione di legge, nonchè illogicità e carenza, #
della motivazione per incompletezza dei colloqui intercettati, cattiva qualità
dell’intercettazione, cripticità del linguaggio usato dagli interlocutori, assunti dal
23

distintivi nel fatto che il Kaci avesse una posizione centrale con mansioni

ricorrente quali presupposti della censura concernente la necessità, trascurata
dalla Corte, di riscontri atti ad acclarare con certezza la responsabilità del
ricorrente, deve trovare applicazione il principio interpretativo secondo il quale,
con riferimento ai risultati delle intercettazioni di comunicazioni, il giudice di
merito deve accertare che il significato delle conversazioni intercettate sia
connotato dai caratteri di chiarezza, decifrabilità dei significati e assenza di
ambiguità, di modo che la ricostruzione del significato delle conversazioni non
lasci margini di dubbio sul significato complessivo della conversazione

contrario, cercare elementi di conferma che possano eliminare i ragionevoli dubbi
esistenti (Sez. 4, n.21726 del 25/02/2004, Spadaro, Rv. 228573). Di tale
verifica si è fatta carico la pronuncia impugnata, così come la sentenza di primo
grado che la integra, fornendo ampia motivazione delle ragioni per le quali i
colloqui intercettati non potessero ritenersi ambigui o suscettibili di diversa
interpretazione, anche con riferimento alla natura della sostanza oggetto delle
transazioni, sul presupposto di fatto che alcune operazioni di sequestro avevano
consentito di accertare come il traffico di stupefacenti nel quale erano coinvolti
gli imputati concernesse esclusivamente droghe del tipo eroina e cocaina. A
fronte della sola argomentazione connotata da specificità, ossia quella
concernente l’interpretazione data dal Tribunale alla conversazione del 27
maggio 2003 21:36, da ritenere con evidenza un lapsus calami (laddove risulta
un riferimento ad hashish) nell’ambito di una pronuncia molto complessa e
articolata concernente in via esclusiva reati inerenti al traffico, alla fornitura e
alla cessione di eroina e cocaina (e non hashish), il ricorso presenta generiche
argomentazioni che sono del tutto inidonee a disarticolare l’iter motivazionale
seguito dai giudici di merito in punto di idoneità delle intercettazioni a sostenere
l’ipotesi accusatoria.
7.4.11 rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente Prezioso
Enrico, ai sensi dell’art.616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese
processuali.

8. Il ricorso proposto da Sbrizzi Cosimo è infondato.
8.1. Non può condividersi il generico assunto per cui l’assoluzione
dell’imputato dall’unico reato-fine contestatogli sarebbe sintomatica
dell’infondatezza dell’ipotesi accusatoria in merito al reato associativo. Risulta
opportuno ribadire, in proposito, un principio consolidato nella giurisprudenza di
questa Corte, secondo il quale l’assoluzione relativa ai reati-fine non ha alcun,
rilievo ai fini dell’accertamento della responsabilità dell’imputato per il reat
associativo (Sez.1, n.5036 del 3/04/1997, Pesce, Rv. 207792).
24

(Sez. 6, n.29350 del 03/05/2006, Rispoli, Rv. 235088), dovendo in caso

8.2. I giudici del tribunale hanno premesso (pagg.33 ss.) le argomentazioni
in base alle quali hanno ritenuto che la valenza dimostrativa delle affermazioni e
delle notizie recepite con riferimento a soggetti terzi con lo strumento delle
intercettazioni telefoniche, con riferimento al coinvolgimento di tali persone in
attività illecite, dovesse considerarsi superiore a quella di qualsiasi usuale
chiamata di correo, successivamente descrivendo il preciso organigramma
dell’associazione di narcotrafficanti, nell’ambito del quale hanno ritenuto che
Sbrizzi Cosimo rivestisse il ruolo di acquirente-grossista. Le ragioni in base alle

motivazione (pagg.56, 85,87, 139,140,146,168,179-188) in cui sono elencati i
riferimenti a tale imputato fatti dagli organizzatori del traffico, le telefonate nelle
quali l’imputato è diretto interlocutore, i servizi di osservazione effettuati dalla
polizia giudiziaria nel mese di agosto 2003 a Napoli. Il Tribunale ha richiamato
(pagg.287 ss.) un analitico elenco di indizi in base ai quali è stato desunto lo
stabile collegamento di tale imputato all’associazione di cui al capo A. In merito
alla possibilità di identificare nello Sbrizzi il “vecchio” al quale si riferiscono i
trafficanti nelle loro conversazioni, la Corte (pagg.69-70) ha satisfattivamente
indicato le ragioni e gli elementi che consentivano di identificare con certezza
tale imputato come sodale, limitandosi il ricorrente a reiterare argomentazioni,
generiche sul punto, che non si confrontano con tale motivazione, la cui logicità
e completezza resistono alle censure mosse nel ricorso.
8.3. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato con condanna del ricorrente,
ai sensi dell’art.616 cod.proc.pen., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Disposta la separazione della posizione di Bako Armando.
Rigetta i ricorsi di Prezioso Enrico, Cafasso Giovanni, Avallone Pasquale, Kaci

quali il Tribunale è giunto a tale conclusione sono rinvenibili nelle parti della

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