Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8091 del 12/12/2012


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 8091 Anno 2013
Presidente: MACCHIA ALBERTO
Relatore: VERGA GIOVANNA

Data Udienza: 12/12/2012

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) SCIALPI MARTINO N. IL 13/10/1951
avverso la sentenza n. 1408/2010 CORTE APPELLO di LECCE, del
21/12/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/12/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. riti
che ha concluso per

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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

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MOTIVI DELLA DECISIONE

Con sentenza in data 21 dicembre 2010 la Corte d’appello di Lecce, decidendo in sede di rinvio,
a seguito di annullamento pronunciato con sentenza della corte di cassazione in data
16/4/2010 confermava la sentenza del tribunale di Taranto, sezione distaccata di Martina
Franca che, in data 3 luglio 2002, aveva condannato Scialpi Martino, alle pene ritenute di
giustizia, per il reato di calunnia in danno dell’avvocato Francesco De Giorgio, falsamente

Ricorre per cassazione l’imputato deducendo che la sentenza impugnata è incorsa in:
1. vizio della motivazione. Ritiene che la corte di merito abbia travisato gli elementi
probatori non risultando agli atti che lo Scialpi abbia mai sottoscritto una transazione
per la definizione dei giudizi pendenti con il Colucci. Contesta la sussistenza dei
presupposti per una compensazione dei crediti e sostiene che il legale non aveva alcun
diritto di disporre la compensazione di tali somme;
2. violazione dell’articolo 606 lett. D) codice procedura penale per aver omesso di
acquisire una prova decisiva ai fini del decidere. In particolare lamenta la mancata
acquisizione degli assegni versati dal Colucci al De Giorgio per pagare le competenze di
lite e il danno risarcito dal medesimo Colucci allo Scialpi.
Il ricorso è infondato alla stregua delle considerazioni di seguito indicate.
La corte di cassazione con la sentenza 16 aprile 2010 aveva annullato la sentenza della corte di
appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto che, in data 8 febbraio 2007, aveva assolto
l’imputato dal reato a lui ascritto con la formula “perché il fatto non costituisce reato”
ritenendo insussistente il dolo di calunnia sulla scorta delle seguenti circostanze:

quanto alla vicenda Colucci sussisteva il ragionevole sospetto in capo all’imputato che il
suo legale Di Giorgio si fosse appropriato della somma di lire 11.254.000 versata titolo
di transazione dalla controparte nonché di quella di lire 2.236.000 liquidata per
competenze del legale a seguito della rinuncia della medesima controparte al giudizio
d’appello;

quanto alla vicenda SIDA l’imputato era incorso in errore, poi riconosciuto, circa
l’indebita appropriazione da parte del Di Giorgio di una somma liquidata dal pretore di
Martina Franca, in realtà mai versata da controparte.

Secondo i giudici di legittimità, come evidenziato dalla stessa sentenza impugnata, l’avvocato
Di Giorgio aveva comunicato al cliente, in data 1 luglio 1992, che la somma derivante dalla
transazione Colucci sarebbe stata da lui trattenute a compensazione di pregressi crediti
professionali e, In data 19 settembre 1994, che quella di lire 2.236.000 liquidata a seguito
della rinuncia del giudizio d’appello, era imputabile a onorari e spese legali.

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incolpato del reato di cui agli articoli 646, 61 numero 11 codice penale.

Con riferimento alla causa contro la SIDA, poi, con lettera in data 17 ottobre 1995, il Di Giorgio
aveva fatto presente all’imputato, senza ricevere alcun riscontro, che il commissario liquidatore
della SIDA non aveva provveduto al pagamento della somma determinata dal pretore e che
sarebbe stato opportuno notificare il precetto al debitore solidale.
Secondo la corte di cessazione ne derivava che all’atto della denuncia, in data 26 agosto 1997,
l’imputato era da tempo (almeno da due o tre anni) ben avvertito delle ragioni (compensazione
con crediti professionali, omessi pagamenti di controparte) – delle quali non rilevava discutere
aspettava di percepire in relazione all’esito delle cause intrattenute e ciò nonostante l’imputato
non solo accusò il legale di varie appropriazione indebite ma sollevò perfino il sospetto che
quest’ultimo avesse apposto firme false al fine di incassare le somme portate dagli assegni.
La sentenza impugnata attribuiva allo Scialpi un ragionevole sospetto circa la sussistenza dei
fatti appropriatiVi commessi dal suo avvocato ma, non tenendo in adeguato conto le obiettive
risultanze processuali Indicate nella sentenza (corrispondenze epistolari non contestate
dall’imputato), ometteva di rendere ragione di simile valutazione che peccava dunque di
genericità, dovendosi al riguardo tenere presente che, come più volte affermato dalla
giurisprudenza di legittimità, per escludere il dolo di calunnia, occorre che sussista la
convinzione o al più un dubbio o un errore ragionevole circa la colpevolezza dell’accusato.
La sentenza veniva quindi annullata con rinvio affinché la corte di appello di Lecce potesse
adeguatamente motivare in positivo o in negativo circa la sussistenza dell’elemento soggettivo
del reato contestato, tenendo conto dei principi di diritto enunciati dalla corte.
Il giudice del rinvio riteneva pacifica la sussistenza della condotta materiale della calunnia, ma
riteneva anche che non potesse ascriversi all’imputato un ragionevole sospetto circa la
sussistenza dei fatti appropriativi commessi dal suo legale posto che la costante e condivisibile
giurisprudenza della Suprema Corte aveva chiarito che il dolo di calunnia andava escluso solo
quando il denunciante aveva riferito un fatto obbiettivamente falso, ma da lui ragionevolmente
supposto come vero. Situazione che nel caso in esame non si era verificata considerato che
risultava per tabulas che l’avvocato Di Giorgio aveva comunicato al cliente, con note in data 1°
luglio 1992 e 19.7.1994, che la somma derivante dalla transazione Colucci sarebbe stata da lui
trattenute a compensazione di pregressi crediti professionali e che quella di lire 2.236.000,
liquidata a seguito della rinuncia al giudizio di appello, doveva essere imputata a onorari e
spese legali. Così come con riferimento alla causa Sida, risultava dalla nota 17 ottobre 1995
che il legale aveva comunicato allo Scialpi, senza ricevere alcun riscontro, che Il commissario
liquidatore della SIda non aveva provveduto al pagamento della somma determinata dal
pretore e che quindi sarebbe stato opportuno notificare il precetto al debitore solidale. Alla
data della denuncia (26 agosto 1996) lo Scialpi era perciò da lungo tempo consapevole delle
ragioni, la cui fondatezza non aveva rilevanza penale, per cui l’avvocato De Giorgio non gli
aveva fatto pervenire le somme che lui si aspettava di percepire. L’irrilevanza in sede penale
delle fondatezza o meno delle questioni civili sottostanti portava la Corte territoriale a
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la fondatezza – per cui l’avvocato Di Giorgio non gli aveva fatto pervenire le somme che egli si

respingere la richiesta rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale avente ad oggetto perizia sui
conteggi dare/avere nei rapporti fra il De Giorgio e lo Scialpi.
Ciò detto è di tutta evidenza che la corte territoriale non è Incorsa in alcun travisamento della
prova con riguardo ai rapporti sottostanti considerato che con motivazione logica e coerente ha
ritenuto irrilevante in questo processo per calunnia stabilire la fondatezza o meno delle ragioni
che avevano portato l’avvocato De Giorgio a non far pervenire all’imputato le somme che
costui si aspettava di percepire ,in quanto ciò che aveva rilevanza nel processo era il fatto che
pagamento di controparte) per cui il legale non gli aveva fatto pervenire le somme che lui si
aspettava, accusò il legale di appropriazione indebita, spingendosi a sollevare il sospetto che
costui avesse apposto firme apocrife al fine di incassare dette somme, circostanze che
escludevano in radice qualsiasi ragionevole sospetto in capo all’imputato della veridicità delle
accuse mosse ed integravano l’elemento soggettivo del reato di calunnia.
Proprio tale considerazione di irrilevanza aveva portato la Corte a respingere la richiesta di
rinnovazione di istruttoria avente ad oggetto perizia sui conteggi dare/avere nei rapporti fra il
De Giorgio e lo Scialpi.
Ciò detto e con riferimento al secondo motivo di ricorso, non deve dimenticarsi che, in ogni
caso, la perizia non può affatto rientrare nel concetto di prova decisiva ai sensi e per gli effetti
dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), stante il suo carattere, per così dire, “neutro”, sottratto
alla disponibilità delle parti e sostanzialmente rimesso alla discrezionalità del giudice.
La perizia, in altri termini, proprio per il rilevato carattere “neutro” (nè a favore, ne’ contro) è
sottratta al potere dispositivo delle parti, che possono attuare il diritto alla prova, laddove lo
ritengano, anche attraverso proprie consulenze. La sua assunzione è pertanto rimessa al
potere discrezionale del giudice e non è riconducibile al concetto di prova decisiva, con la
conseguenza che il relativo diniego non è sanzionabile ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1,
lett. d), e, in quanto giudizio di fatto, se assistito da adeguata motivazione, è insindacabile in
sede di legittimità anche al sensi dello stesso art. 606 c.p.p., lettera e) (v., tra le tante, Cass.,
Sez. 4^, 3 maggio 2005, Candelora ed altro),In questa prospettiva, la mancata rinnovazione
dell’istruttoria avente ad oggetto perizia sui conteggi non può essere dedotta con la censura in
esame. Ciò che è deducibile in questa sede è semmai il vizio di motivazione ma la sentenza
impugnata è però esente da tali censure per quanto sopra detto.
Il reato, tenuto conto delle sospensioni, si prescrive il 24.12.2012 e, quindi,alla data odierna
non è prescritto
Il ricorso deve essere respinto e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deliberato in Roma Il 12.12.2012

l’imputato, ben consapevole delle ragioni (compensazione credito professionale, omesso

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