Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 809 del 30/11/2012


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 809 Anno 2013
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: DE MARZO GIUSEPPE

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Campisi Vincenzo, nato a Milazzo in data 26/08/1982

avverso l’ordinanza del 11/05/2012 del Tribunale di Messina R.G. 397/2012
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita in Camera di Consiglio la relazione svolta dal Consigliere Giuseppe De
Marzo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Maria
Giuseppina Fodaroni, che ha concluso per il rigetto del ricorso

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza datata 11/05/2012, il Tribunale di Messina, a seguito della
richiesta di riesame proposta nell’interesse di Vincenzo Campisi, ha confermato
l’ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Messina del 19/04/2012 che aveva
applicato la misura della custodia cautelare in carcere in relazione al reato di cui
all’art. 416 bis cod. pen.
2.

Con riferimento all’esistenza dell’associazione, l’ordinanza, dopo avere

richiamato la motivazione dell’ordinanza del G.i.p., ha riprodotto ed esaminato le
conversazioni intercettate in carcere tra Salvatore Campisi, dopo l’arresto, e il
fratello Vincenzo, aggiungendo che quest’ultimo era sostanzialmente l’unico
1

Data Udienza: 30/11/2012

mezzo di contatto di cui il primo disponeva per comunicare con l’esterno e che
risultava aver ricevuto incarichi di gestione del denaro e, in particolare, del
rapporto con esponenti del clan dei barcellonesi e incarichi di distruzione di
documenti. Il fatto che alcuni profili potessero essere ignoti al Campisi si spiega,
secondo l’ordinanza impugnata, con il fatto che lo spessore criminale dell’odierno
ricorrente è inferiore a quello del fratello Salvatore.
3. Avverso tale ordinanza, nell’interesse del Campisi è stato proposto ricorso per
tassazione, affidato a tre motivi.

cod proc. peri., violazione degli artt. 125, 273 cod. proc. pen. e 416 bis cod. pen.
In particolare, si censura il fatto che il Tribunale non abbia motivato: a) in ordine
alla riconducibilità del gruppo interessato al paradigma normativo dettato
dall’art. 416 bis cod. pen.; b) in ordine al significato delle conversazioni fra il
Campisi e il fratello Salvatore detenuto, aventi ad oggetto la riscossione di crediti
correlati all’attività imprenditoriale da loro svolta; c) in ordine alla rilevanza di
attività estorsive al fine di dimostrare l’esistenza di una associazione accorpata e
forse identificatesi nel c.d. clan dei barcellonesi; d) in ordine alle ragioni per le
quali si era ritenuto di individuare Salvatore Foti nei “Salvatore” menzionato in
una conversazione tra i fratelli Campisi.
3.2. Con il secondo motivo, si lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed
e) cod proc. pen., violazione degli artt. 125, 273 cod. proc. pen. e 416 bis cod.
peri., per avere i giudici del riesame ritenuto sussistente la partecipazione del
ricorrente alla vita associativa, senza spiegare perché, pur non escludendo che
nelle conversazioni i due fratelli parlassero della loro attività d’impresa, essi
hanno finito per ricondurre i crediti dei quali si parla ad attività estorsive, mai
contestate al ricorrente medesimo, il quale peraltro non risultava avere
intrattenuto contatti telefonici né essere mai stato controllato con i presunti
correi.
In realtà, secondo il ricorso, a) dalle comunicazioni tra i due fratelli, oggetto
dell’intercettazione in ambiente carcerario, non emergerebbe alcun riferimento ai
“barcellonesi”; b) gli episodi menzionati nell’ordinanza non dimostrerebbero i
connotati di “mafiosità” dell’organizzazione; c) dalla conversazione di Salvatore
Campisi con la zia Rosaria Calabrò emerge al contrario che nessun altro era
coinvolto nelle vicende del primo; d) era illogica la motivazione che, dopo avere
ritenuto sussistente una condotta partecipativa di Vincenzo Campisi, spiegava
l’ignoranza da parte di quest’ultimo di alcune vicende della vita associativa con il
suo ridotto spessore criminale; e) era carente la motivazione che aveva
trascurato di considerare come due collaboratori di giustizia che, pure avevano
accusato Salvatore Campisi, nulla avevano saputo riferire del fratello.
3.3. Con il terzo motivo, si lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e)
cod proc. pen., violazione degli artt. 125, 274 cod. proc. pen., per avere la Corte
2

3.1. Con il primo motivo, si lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e)

trascurato di considerare, in punto di esigenze cautelari, l’incensuratezza del
Campisi e la sua giovane età.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. Cominciando ad esaminare i primi due motivi, che presentano profili di stretta
connessione e possono essere trattati congiuntamente, deve premettersi che, in
materia di intercettazioni telefoniche, la interpretazione del linguaggio e del
contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa alla

motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza (Sez.
6, n. 35680 dell0/06/2005, Patti, Rv. 232576).
Ora, l’attenta valutazione del Tribunale di Messina supera le generiche doglianze
del ricorso, quanto alla correlazione tra l’associazione della quale si discute e il
clan dei barcellonesi, nel momento in cui evidenzia il problema, affrontato da
Salvatore Campisi con il fratello Vincenzo, di provvedere alla consegna della
quota spettante al gruppo operante a Barcellona (pag. 6 dell’ordinanza
impugnata).
Ed è il caso di sottolineare che nelle conversazioni riportate a tal proposito si
parla di un debito del Campisi e non solo di crediti da riscuotere.
Questo dato, unitamente al fatto che, nel discutere con il fratello Vincenzo,
Salvatore Campisi si rivolge al primo in modo cripitico e velatamente allusivo
(pag. 7 della motivazione), dimostra che il Tribunale ha puntualmente esaminato
la tesi difensiva secondo cui i due fratelli avrebbero discusso dei crediti derivanti
da una diversa, lecita attività imprenditoriale, per disattenderla. Pertanto, non
sussiste la carenza di motivazione lamentata nel quinto motivo, in quanto il
Tribunale non si limita a rinviare agli approfondimenti istruttori finalizzati a
verificare la compatibilità tra quanto sostenuto dalla difesa rispetto alle reale
proporzioni dell’attività, ma valorizza il tono usato dai fratelli nella loro
conversazione e la preoccupazione che il denaro riscosso venisse consegnato “a
Barcellona”, oltre che il coinvolgimento di persone, come il Maio Carmelo, che
nulla hanno a che fare con l’attività imprenditoriale. In aggiunta il Tribunale, a
pag. 14 dell’ordinanza, sottolinea che, al di là del fatto che le fatture prodotte
dalla difesa recano valori piuttosto elevati rispetto alle dimensioni di un’impresa
di recente costituzione, comunque, fatta eccezione per una mera coincidenza di
alcuni nominativi, difficilmente esse possono essere ricondotte alle riscossioni cui
il Campisi fa riferimento nei colloqui. E sul punto la critica del ricorso appare
assolutamente generica, soprattutto se si considera che a pag. 9 del
provvedimento impugnato si riporta una conversazione dalla quale emerge che
Carmelo Maio, persona estranea all’impresa, è incaricato di una riscossione,
anche a costo di ricorrere alle “mascate” e di consegnare poi il denaro “a
quello”.

valutazione del giudice di merito, che si sottrae al sindacato di legittimità se è

t

Così come generiche e non fondate su alcun travisamento di atto processuale
sono le critiche relative al significato degli episodi dell’estorsione al De Natale e
al locale “Pane e vino”.
Inoltre, solo una parziale lettura della conversazione tra Salvatore Campisi e la
zia, Rosaria Calabrò, può indurre a ritenere che davvero il primo fosse convinto
dell’estraneità delle persone di cui parlava ai fatti a lui riconducibili: non
casualmente di fronte ai dubbi della zia, seconda la quale, se li avessero
arrestati, li avrebbero fatti parlare, il Campisi non dichiara che nulla avrebbero

sostiene “non cantano nemmeno se li ammazzi”.
Ai fini che qui rilevano, non è decisivo verificare il percorso che conduce il
Tribunale a identificare Salvatore Fati nel “Salvatore” di cui si parla in una
conversazione tra i fratelli Campisi.
Va invece considerato che la motivazione del Tribunale si sottrae ai vizi logici
denunciati in ricorso, quando, proprio alla luce della puntuale ricostruzione del
contenuto delle comunicazioni tra Salvatore Campisi e l’odierno ricorrente,
ricostruisce il fondamento obiettivo dell’appartenenza di quest’ultimo al
sodalizio.
La critica per la quale un partecipe ad un gruppo delinquenziale debba
necessariamente essere al corrente di tutte le vicende del primo non riposa su
alcuna massima di esperienza. à invece certamente possibile che la diversa
caratura dei protagonisti di un fenomeno associativo si esprima anche in una
differente ampiezza delle conoscenze.
Quanto, infine, alla mancata conoscenza del ricorrente da parte di due
collaboratori di giustizia, secondo quanto emerge dagli stessi verbali allegati al
ricorso, deve rilevarsi, in generale, che si tratta di elementi istruttori avulsi da un
adeguato contesto conoscitivo, e, in particolare, per quanto concerne Santo
Gullo, che l’inizio della sua detenzione risale al gennaio 2009 (e, anzi, a proposito
di altro sodale, il Gullo ha cura di chiarire che, al momento del suo arresto, egli
faceva parte dell’associazione con una sottolineatura che circoscrive, nel caso di
specie, anche i limiti della sua conoscenza) e, per quanto concerne Carmelo
Bisognano, che anche la sua conoscenza di Salvatore Campisi non si traduce in
indicazioni specifiche.
3. Anche il terzo motivo è infondato, dal momento che il Tribunale di Messina, a
fronte del riconoscimento della sussistenza di elementi rivelatori della
partecipazione del Maio all’associazione della quale si tratta, riconducibile al
paradigma normativa di cui all’art. 416 bis, cod. proc. pen., ha motivatamente
argomentato in ordine alla sussistenza di esigenze cautelari, avendo riguardo alle
caratteristiche dell’associazione e alla costante attività delinquenziale cui il
ricorrente è apparso dedito. In tale articolato quadro valutativo, l’assenza di
precedenti e la giovane età appaiono elementi assolutamente recessivi.

potuto ammettere, visto che non erano coinvolti in vicende delinquenziali, ma

4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente, ex art. 616 cod. proc.
pen., al pagamento delle spese processuali.

P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 ter, disp.
att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma il 30/11/2012

li Consigliere estensore

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