Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 808 del 30/11/2012


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 808 Anno 2013
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: DE MARZO GIUSEPPE

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Maio Carmelo, nato a Barcellona Pozzo di Gotto in data 09/09/1992

avverso l’ordinanza del 10/05/2012 del Tribunale di Messina R.G. 296/2012
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita in Camera di Consiglio la relazione svolta dal Consigliere Giuseppe De
Marzo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Maria
Giuseppina Fodaroni, che ha concluso per il rigetto del ricorso

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza datata 10/05/2012, il Tribunale di Messina, a seguito della
richiesta di riesame proposta nell’interesse di Maio Carmelo, ha confermato
l’ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Messina del 19/04/2012 che aveva
applicato la misura della custodia cautelare in carcere in relazione ai reati di cui
all’art. 416 bis cod. pen. (capo a), di cui agli artt. 110, 629 cod. pen. (capo b), 56,
110, 629 cod. pen. e 7 13 maggio 1991, n. 152, convertito con I. 12 luglio 1991,
n. 203 (capo g)

Data Udienza: 30/11/2012

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2. L’ordinanza ha trattato, in primo luogo, i singoli episodi delittuosi contestati al
Maio e, successivamente, si è occupata della vicenda associativa in cui essi si
collocano.
2.1. Con riferimento alla tentata estorsione aggravata di cui al capo g), il
Tribunale, in punto di fatto, ha valorizzato le dichiarazioni del De Natale Carmelo
Anatoly, sottolineando: a) che le stesse erano riscontrate da quelle del padre
Felice e della sorella Julia e da quelle di Giovanni Calvo e Alberto Biscari; b) che
non risultavano ragioni di astio o animosità del De Natale o della sua famiglia nei

denuncia contro ignoti per un furto subito all’interno del suo locale; d) che il De
Natale si era determinato a denunciare i propri aggressori solo in data
01/12/2011, ossia due giorni dopo il “processo” e il conseguente pestaggio subito
dal Mazzeo, dal Maio e dagli altri sodali e dopo che il padre e la sorella erano
stati avvicinati e minacciati dai suoi stessi aggressori; e) che se il De Natale
avesse inteso mentire per coinvolgere soggetti incolpevoli, avrebbe avuto
interesse a farlo subito e ciò senza dire che, non essendo sino a quel momento
emersi sospetti nei suoi confronti, avrebbe finito solo per esporsi ad un inutile
pregiudizio; f) che proprio la scelta di denunciare l’accaduto due giorni dopo
spiegava il fatto che con molta probabilità alcune delle tracce esteriori
dell’aggressione fossero in via di regressione, quando il De Natale era stato
visitato presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale di Barcellona Pozzo di Gotto; g)
che, quanto al coinvolgimento del De Natale nel furto ai danni del Mazzeo (fatto
per il quale egli non era stato indagato), il primo aveva riferito che i suoi
aggressori avevano sostenuto di avere appreso tale circostanza del Calvo, il
quale, nelle sommarie informazioni testimoniali del 06/04/2012, aveva negato la
circostanza.
2.2. Con riferimento all’estorsione di cui al capo b), sempre in punto di fatto,
l’ordinanza impugnata ha valorizzato le dichiarazioni delle persone offese,
Giuseppe Recupero e Benedetto Gianlombardo, titolari dell’esercizio
commerciale Mojito’s, e non portatori di motivi di astio o di risentimento nei
confronti del Maio, nonché le risultanze delle intercettazioni di conversazioni tra il
Maio e Salvatore Campisi, che sarebbe stato arrestato dopo la consegna del
denaro da parte della vittima.
2.3. Con riferimento all’esistenza dell’associazione, l’ordinanza, dopo avere
richiamato la motivazione dell’ordinanza del G.i.p., ha riprodotto ed esaminato le
conversazioni intercettate in carcere tra Salvatore Campisi, dopo l’arresto, e il
fratello Vincenzo, dalle quali emerge anche la completa fiducia riposta del Maio.
3. Avverso tale ordinanza, nell’interesse del Maio è stato proposto ricorso per
cassazione, affidato a sette motivi.
3.1. Con il primo motivo, si lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) c) ed
e), cod. proc. pen., violazione degli artt. 125, 210, 273, 371 cod. proc. pen. e 56,
2

confronti degli indagati; c) che il 27/11/2011 Antonino Mazze° aveva presentato

629 cod. pen., per avere il Tribunale posto a base della sua decisione le
affermazioni di Carmelo Anatoly De Natale, senza verificare l’esistenza dei
necessari riscontri confermativi, richiesti in caso di dichiarazioni di indagati di
reati connessi o collegati per motivi probatori.

A questo riguardo, il ricorrente rileva che le dichiarazioni del padre e della sorella
del De Natale, come pure quelle di Alberto Biscari e Giovanni Calvo, non
potevano fornire alcun riscontro, dal momento che nessuno di loro era stato
presente al lamentato pestaggio del De Natale.

cinque persone con calci e pugni per circa cinque minuti, la diagnosi dei sanitari
dell’ospedale di Barcellona Pozzo di Gotta si limitava a menzionare una “riferita
pregressa contusione regione medio dorsale e lombo sacrale giudicata guaribile
in tre giorni”, ciò che appare incompatibile con l’aggressione sofferta, anche a
voler ipotizzare, secondo la motivazione del Tribunale, una regressione delle
lesioni.
Inoltre, a differenza di quanto ritenuto dal Tribunale, la denuncia era stata
presentata dal De Natale il 30/11/2011 e quindi non il 01/12/2011 e comunque
non dopo che il padre era stato avvicinato da quanti erano interessati a
recuperare le somme che lo stesso De Natale avrebbe sottratto ad Antonio
Mazzeo.
3.2. Con il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed
e) cod proc. pen., si lamenta violazione degli artt. 125, 273 cod. proc. pen. e 56,
629 cod. pen., dal momento che la condotta era riconducibile al più all’esercizio
arbitrario delle proprie ragioni.
3.3. Con il terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e)
cod proc. pen., si lamenta violazione degli artt. 125, 273 cod. proc. pen., 56 e
629 cod. pen., art. 7 d.l. n. 152 del 1991, dal momento che il Tribunale aveva
ritenuto sussistente l’aggravante in questione per la presenza del “metodo
mafioso” e non, secondo la contestazione, perché il delitto era stato commesso
per agevolare l’associazione dei barcellonesi. In ogni caso, la motivazione era
illogica per il fatto che l’episodio avrebbe visto coinvolti soggetti privi di
precedenti giudiziari, i quali si erano limitati a richiedere la restituzione del
maltolto ad un ladro.
3.4. Con il quarto motivo, formulato ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett, b), c) ed
e) cod. proc. pen., si lamenta violazione degli artt. 125, 273 cod. proc. pen., 56,
629 cod. pen., con riferimento all’episodio estorsivo di cui al capo b), dal
momento che la frequentazione del bar da parte del Maio derivava dal fatto che
egli risiede a pochi metri dallo stesso, mentre assolutamente inconferenti
apparivano la presunta rissa simulata avvenuta dinanzi al bar e una
conversazione con Salvatore Campisi dal contenuto non comprensibile.

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Del resto, nonostante quest’ultimo avesse dichiarato di essere stato colpito da

3.5. Con il quinto motivo, si lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed
e) cod proc. pen., violazione degli artt. 125, 273 cod. proc. pen., 416 bis cod.
peri.
In particolare, si censura il fatto che il Tribunale non abbia motivato: a) in ordine
alla riconducibilità del gruppo interessato al paradigma normativo dettato
dall’art. 416 bis cod. pen.; b) in ordine al significato delle conversazioni fra il
Campisi e il fratello Salvatore detenuto, aventi ad oggetto la riscossione di crediti
correlati all’attività imprenditoriale da loro svolta; c) in ordine alla rilevanza di
forse identificatesi nel c.d. clan dei barcellonesi; d) in ordine alle ragioni per le
quali si era ritenuto di individuare Salvatore Foti nel “Salvatore” menzionato nel
corso di una conversazione tra i fratelli Campisi.
3.6. Con il sesto motivo, si lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e)
cod proc. peri., violazione degli artt. 125, 273 cod. proc. pen. e 416 bis cod. peri.,
per avere il Tribunale ritenuto sussistente la partecipazione del ricorrente alla
vita associativa, senza considerare che egli, lungi dall’essere un esattore per
conto del gruppo, doveva solo riscuotere un credito vantato dal Campisi, per la
sua attività d’impresa, nei confronti di tale Melo Calabrò.
Inoltre gli episodi menzionati nell’ordinanza non dimostrerebbero i connotati di
“mafiosità” dell’organizzazione e dalla conversazione di Salvatore Campisi con la
zia Rosaria Calabrò emerge al contrario che nessun altro era coinvolto nelle
vicende del primo.
3.7. Con il settimo motivo, si lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed
e) cod proc. pen., violazione degli artt. 125, 274 cod. proc. peri., per avere la
Corte trascurato di considerare, in punto di esigenze cautelari, l’incensuratezza
del Maio e la sua giovane età.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato, per le ragioni che si espongono seguendo l’ordine delle
censure del ricorrente.
2. Con riguardo al reato di cui al capo g), cui sono dedicati i primi tre motivi del
ricorso, che, per ragioni di ordine espositivo si esaminano congiuntamente,
occorre premettere che la deduzione secondo la quale il De Natale sarebbe
indagato per un reato connesso o collegato per ragioni probatorie appare in
contrasto con l’affermazione contenuta nell’ordinanza impugnata (pag. 5,
quartultimo rigo) e non smentita dal verbale di sommarie informazioni allegato al
ricorso, dal quale emerge solo che sono state rivolte a tal Giuseppe Coppolino
delle domande sul De Natale.
Ciò posto, va rilevato che coerentemente alla lettera della legge e alla stregua
della costante interpretazione fornitane dalla giurisprudenza (v. Sez. U, n. 41461
del 19/07/2012, Bell’Arte, Rv. 253214), le regole dettate dall’art. 192 comma
terzo cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le
4

attività estorsive al fine di dimostrare l’esistenza di una associazione accorpata e

,nvniTret,

I 193,11,91. W W

quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento
dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica,
corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e
dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere
più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le
dichiarazioni di qualsiasi testimone.
Il Tribunale di Messina, peraltro, in una prospettiva di attenta verifica del
materiale istruttorio, ha analizzato le dichiarazioni del De Natale, ponendole a

In questa prospettiva, la motivazione non esibisce alcun vizio di manifesta
illogicità, dal momento che le dichiarazioni del padre e della sorella della vittima,
come pure quelle del Calvo e del Biscari sono state utilizzate sia per confermare
alcuni decisivi aspetti della ricostruzione, come la convocazione del De Natale
presso l’esercizio del Mazzeo, sia per dare conto delle finalità perseguite da
quest’ultimo e dai suoi sodali.
L’ordinanza valorizza, pertanto, anche le dichiarazioni di Felice De Natale, padre
di Carmelo, il quale ha riferito che, nei giorni successivi, il Mazze° lo aveva
contattato, aveva ammesso di avere percosso il figlio e aveva aggiunto che
“sarebbe potuto capitare qualcosa al ragazzo, anche perché c’erano di mezzo
altre persone”, non meglio specificate.
In tale contesto, l’imprecisione dell’ordinanza che colloca il colloquio del Mazze°
con il padre del De Natale in epoca antecedente e non successiva alla denuncia
non inficia l’iter motivazionale, dal momento che, in primo luogo, non incide sul
fatto che la sorella del De Natale ha riferito di era stata avvicinata dalla fidanzata
del Mazzeo il 29/11/2011, prima della denuncia, e, in secondo luogo, non riesce a
superare le considerazioni svolte dal Tribunale, quanto: a) all’assenza di
interesse del De Natale a denunciare fatti dai quali sarebbe potuto scaturire un
sospetto, sino a quel momento non emerso, in suo danno, rispetto al furto
sofferto dal Mazze°, e quanto b) al tempo comunque trascorso tra l’aggressione
del 29/11/2011 e la successiva denuncia.
Proprio tale periodo spiega, nella valutazione del Tribunale, che anche sotto
questo profilo, non palesa alcuna manifesta illogicità, la regressione delle lesioni
sofferte.
Nella ricostruzione offerta dall’ordinanza impugnata, la condotta del Mazze°, del
Maio e degli altri sodali si caratterizza per provenire da soggetti gravitanti in
contesti di criminalità organizzata e utilizzando il metodo intimidatorio tipico
della stessa.
Tale motivazione è coerente con il capo di imputazione riportato nella premessa
dell’ordinanza che fa appunto riferimento all’uso di “minaccia, derivante dalla
forza intimidatrice dell’associazione mafiosa alla quale”, per quanto qui rileva,
“Maio” appartiene.
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raffronto con gli ulteriori elementi a disposizione.

Rinviando sui profili associativi e sul coinvolgimento del ricorrente a quanto si
dirà in fra, le superiori considerazioni sono sufficienti a giustificare, in questa fase
processuale, la conclusione del provvedimento impugnato, quanto alla
sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 7 di. n. 152 del 1991.
Sul piano giuridico, la tesi della riconducibilità del fatto all’esercizio arbitrario
delle proprie ragioni, contrasta, alla luce della ricostruzione fornita dal Tribunale
di Messina, con l’orientamento di questa Corte (v., ad es., Sez. 6, n. 41365 del
28/10/2010, Straface, Rv. 248736), secondo cui integra il delitto di estorsione, e

condotta minacciosa che si estrinsechi in forme di tale forza intimidatoria da
andare al di là di ogni ragionevole intento di far valere un preteso diritto, con la
conseguenza che la coartazione dell’altrui volontà assume

ex se i caratteri

dell’ingiustizia, trasformandosi in una condotta estorsiva.
3. Con riferimento al quarto motivo, concernente il capo b), la motivazione
dell’ordinanza impugnata valorizza non la mera presenza del Maio presso
l’esercizio Mojito’s, ma il fatto: a) che il primo, dopo l’attentato incendiario del
25/07/2011, spiegato da Salvatore Campisi ad uno dei titolari come un’iniziativa
degli “amici di Barcellona”, aveva iniziato a intrattenersi presso tale l’esercizio, in
compagnia proprio del Campisi e di Salvatore Fati; b) che il Maio, dopo l’episodio
della bottiglia, aveva iniziato a frequentare il bar con Salvatore Foti e con altre
persone, mentre prima non l’aveva mai frequentato; c) che uno dei titolari aveva
avuto modo di notare il Maio dinanzi al bar, impegnato in una rissa simulata nella
quale aveva riconosciuto anche tal Puliafito; d) che sempre il Maio aveva atteso
con il Campisi l’arrivo del titolare, il quale era poi stato bloccato dal secondo, che
l’aveva avvisato dell’accordo raggiunto con il gruppo barcellonese quanto alle
modalità di pagamento; e) che, nel corso di una conversazione intercettata tra il
Campisi e il Maio, il giorno primo della consegna del denaro al primo e del suo
arresto in flagranza, il Maio gli aveva chiesto se era necessario che lo
accompagnasse.
La valutazione complessiva di siffatti elementi da parte del Tribunale di Messina
non appare affetta da alcun vizio di manifesta illogicità, dal momento che i
giudici hanno correttamente operato un’analisi integrata delle risultanze
istruttorie, che non vanno atomisticamente sezionate, ma considerate nella loro
unitaria efficacia dimostrativa.
4.

Con riguardo al quinto e al sesto motivo, anch’essi esaminabili

congiuntamente e concernenti la fattispecie associativa, deve premettersi che, in
materia di intercettazioni telefoniche, la interpretazione del linguaggio e del
contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa alla
valutazione del giudice di merito, e si sottrae al sindacato di legittimità se tale
valutazione è motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di
esperienza (Sez. 6, n. 35680 de110/06/2005, Patti, Rv. 232576),
6

non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 393 cod. pen.), la

Ora, l’attenta valutazione del Tribunale di Messina supera le generiche doglianze
del ricorso, quanto alla correlazione tra l’associazione della quale si discute e il
clan dei barcellonesi, nel momento in cui evidenzia il problema, affrontato da
Salvatore Campisi con il fratello Vincenzo, di provvedere alla consegna della
quota spettante al gruppo operante a Barcellona (pag. 15 dell’ordinanza
impugnata). E ciò senza dire delle frasi adoperate da Salvatore Campisi per
giustificare la richiesta di denaro nell’estorsione di cui al capo b).
Ed è il caso di sottolineare che nelle conversazioni riportate a tal proposito si

Questo dato, unitamente al fatto che, nel discutere con il fratello Vincenzo,
Salvatore Campisi si rivolge al primo in modo cripitico e velatamente allusivo
(pag. 16 della motivazione), dimostra che il Tribunale ha puntualmente
esaminato la tesi difensiva secondo cui i due fratelli avrebbero discusso dei
crediti derivanti da una diversa, lecita attività imprenditoriale, per disattenderla.
Pertanto, non sussiste la carenza di motivazione lamentata nel quinto motivo, in
quanto il Tribunale non si limita a rinviare agli approfondimenti istruttori
finalizzati a verificare la compatibilità tra quanto sostenuto dalla difesa rispetto
alle reale proporzioni dell’attività, ma valorizza il tono usato dai fratelli nella loro
conversazione e la preoccupazione che il denaro riscosso venisse consegnato “a
Barcellona” (ancora pag. 16 della motivazione).
Ai fini che qui rilevano, non è decisivo verificare il percorso che conduce il
Tribunale a identificare nel “Salvatore” di cui si parla a pag. 17 del
provvedimento Salvatore Foti.
È invece essenziale soffermarsi sulla motivazione offerta per giustificare la
partecipazione del Maio.
E rispetto a questa esigenza le critiche del ricorso non appaiono meritevoli di
accoglimento, giacché dalle pagine 18 e 19 dell’ordinanza impugnata emerge
che il Maio è incaricato di una riscossione, anche a costo di ricorrere alle
“mascate” e di consegnare poi il denaro “a quello”. Ancora una volta, in una
valutazione non frazionata, ma globale, il Tribunale di Messina attribuisce rilievo
all’attentato programmato in danno del Maio, così come agli episodi sopra
esaminati in danno del De Natale e dei titolari del bar Mojito’s.
Siffatto impianto motivazionale non risulta dunque carente, contraddittorio o
manifestamente illogico.
Va aggiunto per completezza che solo una parziale lettura della conversazione
tra Salvatore Campisi e la zia, Rosaria Calabrò, può indurre a ritenere che
davvero il primo fosse convinto dell’estraneità delle persone di cui parlava (tra
cui anche il ricorso colloca il Maio: pag. 19) ai fatti riconducibili al Campisi: non
casualmente di fronte ai dubbi della zia, seconda la quale, se li avessero
arrestati, li avrebbero fatti parlare, il Campisi non dichiara che nulla avrebbero

7

parla di un debito del Campisi e non solo di crediti da riscuotere.

,

potuto ammettere, visto che non erano coinvolti in vicende delinquenziali, ma
sostiene “non cantano nemmeno se li ammazzi”.
5. Anche il settimo motivo è infondato, dal momento che il Tribunale di Messina,
a fronte del riconoscimento della sussistenza di elementi rivelatori della
partecipazione del Maio all’associazione della quale si tratta, riconducibile al
paradigma normativa di cui all’art. 416 bis, cod. proc. pen., ha motivatamente
argomentato in ordine alla sussistenza di esigenze cautelari, avendo riguardo alle
caratteristiche dell’associazione e alla multiforme attività delinquenziale cui il

valutativo, l’assenza di precedenti e la giovane età appaiono elementi
assolutamente recessivi.
6. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente, ex art. 616 cod. proc.
pen., al pagamento delle spese processuali.
P.Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 per, disp.
att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma il 30/11/2012

Il Consigliere estensore

Maio è apparso dedito con non comune determinazione. In tale articolato quadro

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