Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8076 del 21/11/2012


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 8076 Anno 2013
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: DIOTALLEVI GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
– Consolo Salvatore nato il 16 novembre 1977
avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino in data 18 gennaio 2012;
Sentita la relazione svolta in pubblica udienza dal consigliere dott.
Giovanni Diotallevi;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Oscar
Cedrangolo, che ha concluso per la declaratoria d’inammissibilità del ricorso;
udito l’avv.to Oliviero De Carolis in sostituzione dell’avv.to Giovannandrea
Anfora per la parte civile Bolle Luigi che si associa alle richieste del PG;
udito l’avv.to Scagliola Marco di fiducia per il ricorrente che insiste per
l’accoglimento del ricorso

RITENUTO IN FATTO
Consolo Salvatore ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della
Corte d’appello di Torino in data 18 gennaio 2012, con la quale, in relazione alla
sentenza emessa dal Gup presso il Tribunale di Asti in data 13 aprile 2011, è
stata confermata la condanna, previa rideterminazione della pena, a quattro anni
cinque mesi e giorni dieci di reclusione ed euro 2600,00 di multa in relazione ai
reati di cui agli artt. 628, c. 1 e 3, n. 1 , 61 n.4 e 5 cod. pen e 582,583, c. 1, n.
1 cod. pen.

Data Udienza: 21/11/2012

A sostegno dell’impugnazione il Consolo Salvatore ha proposto i seguenti motivi:
a) Violazione dell’art. 606 lett. c) ed e) per inosservanza di norme processuali a
pena di nullità e manifesta illogicità della motivazione.
Il ricorrente lamenta che l’aggravante della recidiva sia stata ritenuta
sussistente per tutti i reati mentre in realtà rispetto all’imputazione del reato di
rapina non risultava contestata. Erroneamente secondo il ricorrente il giudice
d’appello ha ritenuto doveva ritenersi sufficiente la contestazione in calce

reati sopradescritti.

b) Violazione dell’art. 606 lett. c) ed e) per inosservanza di norme processuali a
pena di nullità e mancanza della motivazione.
Secondo il ricorrente , in ogni caso , la contestazione in relazione al capo
a) avrebbe dovuto riguardare la recidiva di cui all’art. 99, comma 4 cod. pen. e
non quella di cui al comma 5 dell’art. 99 cod. pen. Il riferimento al fatto che il
reato di riferimento sia compreso tra quelli di cui all’art. 407, comma 2 lett. a)
cod. proc. pen. non sarebbe sufficiente a rendere chiara e precisa la
contestazione; peraltro non sussisterebbe la condizione secondo cui anche il
reato in base al quale è già stata ritenuta la recidiva dovrebbe appartenere alla
medesima categoria di quello cui l’aggravante si applica.

c) Illegittimità costituzionale degli artt. 99, comma 5 e 69 comma 4 c.p.p.
Il ricorrente solleva la questione di legittimità costituzionale dell’art. 99,
comma 5 cod. pen. e l’irrazionalità del meccanismo sanzionatorio introdotto, in
relazione all’art. 3 Cost. e con l’art. 25, coma 2, Cost., formalizzando una sorta
di diritto penale d’autore, che sgancerebbe la responsabilità penale ed il
trattamento sanzionatorio ad un fatto preciso., nonché con l’art. 27, comma 3
Cost., in quanto la norma imporrebbe trattamenti sanzionatori assolutamente
sproporzionati. Tali conclusioni comporterebbero l’incostituzionalità della
previsione contenuta nell’art. 69, comma 4 c.p. che vieta il giudizio di prevalenza
delle attenuanti sulla recidiva di cui all’art. 99, comma 5 c.p.

d) manifesta illogicità della motivazione. Violazione dell’art. 606 lett. e) c.p.p.
Il ricorrente lamenta che l’esclusione delle circostanze attenuanti
generiche sia stata motivata facendo riferimento ai soli elementi negativi, senza
prendere in esame gli elementi positivi, quale ad esempio la situazione familiare,
sociale e personale.

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all’ultimo reato, affinchè possa ritenersi possibile estendere i suoi effetti a tutti i

e) mancanza della motivazione. Violazione dell’art. 606 lett. e) c.p.p.
Il ricorrente lamenta l’eccessività della pena al momento della
determinazione della pena base.

f) manifesta illogicità della motivazione. Violazione dell’art. 606 lett. e) c.p.p.
Il ricorrente lamenta la mancata esclusione dell’aggravante dell’uso delle

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Osserva la Corte che il ricorso è infondato.
2. Per una chiarezza espositiva i motivi saranno affrontati, di regola,
nell’ordine con cui sono stati esposti nel “considerando” in fatto.
Con riferimento al primo motivo di ricorso la Corte condivide l’assunto del giudice
d’appello secondo il quale appare sufficiente contestare la recidiva in calce
all’ultima imputazione, non essendoci, tra l’altro alcuna ragione idonea ad
escludere la sua configurabilità anche in ordine al primo capo d’imputazione.
Con riferimento al secondo motivo , concernente la tipologia della recidiva
contestata la Corte ritiene corretta la scelta normativa adottata, essendo pacifico,
ormai, anche in base ai principi affermati dalle sezioni unite e dalla stessa Corte
costituzionale, nella sentenza citata anche dai giudici d’appello, a cui di seguito
verrà fatto riferimento, che la fattispecie di cui al comma 5dell’art. 99 c.p., è
applicabile nei confronti del soggetto, già recidivo per un qualunque reato, che
commetta un delitto riconducibile al catalogo di cui all’art. 407, comma 2 lett. a)
cod. proc. pen., a nulla rilevando che vi rientri anche il delitto per cui vi è stata
precedente condanna (SS.UU., 24 febbraio 2011, PG/Indelicato, n. 20798/2011).
Ciò premesso, con riferimento al terzo motivo, deve ritenersi
manifestamente infondata la dedotta questione di legittimità costituzionale della
norma in esame, proprio in base alle affermazioni riportate nella sentenza delle
Sezioni Unite soprarichiamate, che hanno escluso qualsiasi aspetto di
irragionevolezza della norma, conforme ai parametri costituzional4′ sotto tutti i
profili evocati, e che esclude dunque la possibilità di configurare uno statuto
speciale del quinto comma all’interno dell’art. 99, come prefigurato dal ricorrente;
tale interpretazione non trova adeguati riscontri nell’interpretazione logico
sistematica e letterale della norma, esasperandone la funzione e la portata
applicativa, in aperto contrasto con il canone di interpretazione conforme alla
Costituzione, imposto innanzitutto dal principio di offensività (v. tra le altre Corte
cost. , n. 296 del 1996), oltre che dal principio di proporzionalità coniugato con

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armi, non essendo certo che la rapina venne eseguito con l’uso di un bastone

quello della ragionevolezza della pena e della sua funzione rieducativa (si veda la
già richiamata sentenza delle Sezioni Unite n. 20798/2011).
Con il quarto, quinto e sesto motivo sostanzialmente vengono riproposte
le censure già sollevate in appello, che, nel merito prospettano elementi in fatto,
che trovano adeguata smentita nella motivazione dei giudici primo e secondo
grado, previa specifico esame degli argomenti difensivi attualmente riproposti, a
cominciare dalla gravità del fatto, dalla genericità delle contestazioni e dalle
stesse dichiarazioni della persona offesa oltre che dalla gravità delle lesioni

Le circostanze che sano state evidenziate fanno ritenere corretta la
valutazione operata dai giudici di merito in ordine all’insussistenza delle censure
dedotte. Si tratta di censure che, investendo direttamente la motivazione della
sentenza impugnata, si risolvono tutte nella dedotta violazione dell’art. 606,
lettera e), c.p.p., denunciandosi errori di apprezzamento in ordine alle risultanze
processuali e contraddizioni nell’iter argomentativo seguito dalla Corte di merito
nella ricostruzione della vicenda processuale.
In tema di controllo sulla motivazione, alla Corte di Cassazione è
normativamente preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria
valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi,
ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione
mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali
altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno; ed invero, avendo il legislatore
attribuito rilievo esclusivamente al testo del provvedimento impugnato, che si
presenta quale elaborato dell’intelletto costituente un sistema logico in sé
compiuto ed autonomo, il sindacato di legittimità è limitato alla verifica della
coerenza strutturale della sentenza in sé e per sé considerata, necessariamente
condotta alla stregua degli stessi parametri valutativi da cui essa è
geneticamente informata, ancorché questi siano ipoteticamente sostituibili da
altri (Cass., S.U., 31 maggio 2001, Jakani). L’indagine sul discorso giustificativo
della decisione impugnata ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato
demandato alla Corte di Cassazione essere limitato – per espressa volontà del
legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari
punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle
argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo
convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. L’illogicità della
motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale
da risaltare ictu acuii, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere
limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime

riportate.

incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non
espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione
adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del
convincimento (Cass., S.U., 24 novembre 1999, Spina). “Esula, infatti, dai poteri
della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al
giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera
prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle

1999, Jovino). In sostanza, “in tema di vizi della motivazione, il controllo di
legittimità operato dalla Corte di Cassazione non deve stabilire se la decisione di
merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, ma
deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso
comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento” (Cass., 30
novembre 1999, Moro). In coerenza con queste decisioni, le Sezioni Unite hanno,
infine, chiarito che l’illogicità della motivazione, censurabile ex art.606, lettera e),
c.p.p., è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu acuii,
in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un
orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione
limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico
apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della
motivazione alle acquisizioni processuali (S. U. 24-9-2003, Petrella, rv.226074).
Questo quadro non è sostanzialmente mutato neppure in virtù delle recenti
modifiche alla lettera e) dell’art. 606 c.p.p., apportate dalla Legge n. 46 del 2006.
Infatti neanche la possibilità di desumere la mancanza, contraddittorietà o
manifesta illogicità della motivazione, oltre che dal testo del provvedimento
impugnato anche “da altri atti del processo”, può nel caso di specie “salvare” le
censure proposte dal ricorrente. Il sindacato di questa Corte resta pur sempre di
legittimità, con la conseguenza che non può esserle demandato un riesame critico
delle risultanze istruttorie. Il riferimento agli altri atti del processo può essere
utilizzato unicamente per contestare la correttezza dell’iter logico-argomentativo
utilizzato dal giudice di merito, non già per confutare in punto di fatto la
valutazione dal medesimo offerta del materiale istruttorio allegato a fondamento
della ipotesi accusatoria. Vale a dire che la omessa motivazione può essere
dedotta là dove il giudice di merito abbia ingiustificatamente negato l’ingresso
nella giustificazione della sua decisione ad un elemento di prova di segno
contrario pacificamente risultante dagli atti processuali e dotato di efficacia
“scardinante” dell’impianto motivazionale, non già quando ne abbia dato,

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risultanze processuali” (Cass., S.U., 30 aprile 1997, Dessimone; Cass. 21 aprile

coerentemente ed esaustivamente, una valutazione difforme rispetto alla
prospettazione del ricorrente. Allo stesso modo la illogicità manifesta e la
contraddittorietà sussistono quando “gli altri atti del processo”, specificamente
indicati nel gravame, inficino in modo radicale dal punto di vista logico l’intero
apparato motivazionale, e non quando siano stati coerentemente ed
adeguatamente valutati nel provvedimento di merito in modo diverso rispetto alla
tesi propugnata in ricorso.
Nel caso di specie, la adeguatezza, nel senso sopra specificato, della

ricorrente, che si é, invece, limitato esclusivamente ad apportare le sue critiche
sulla valutazione data dal Giudice di merito al materiale probatorio sottoposto al
suo esame, proponendone una diversa lettura.
In particolare, i Giudici di merito nelle due sentenze, facendo corretta
applicazione dei parametri di cui all’art. 192 c. p. p., hanno analiticamente preso
in esame tutte le risultanze processuali e hanno vagliato con rigore le
dichiarazioni di testi, coimputati e collaboranti, fornendo una diffusa ed
esauriente motivazione in ordine alla attendibilità e veridicità delle medesime e
dando conto di tutte le osservazioni formulate sul punto dalla difesa.
Il tessuto motivazionale della sentenza censurata non presenta affatto
quella carenza, contraddittorietà o macroscopica illogicità del ragionamento del
giudice di merito che, alla stregua dei principi affermati da questa Corte, può
indurre a ritenere sussistente il vizio di cui alla lettera e) dell’art. 606 c.p.p.
(anche nella sua nuova formulazione), nel quale sostanzialmente si risolvono
queste censure. Come si è visto, gli elementi addotti dal ricorrente sono già stati
tutti valutati correttamente dai giudici di merito. Le argomentazioni della Corte di
Appello di Palermo sono logiche ed adeguate e, a fronte di esse, il ricorrente si é
limitato sostanzialmente a dedurre tesi di segno contrario e ad insistere in
ricostruzioni alternative dei fatti. Ma non può costituire vizio deducibile in sede di
legittimità la mera prospettazione di una diversa (e, per il ricorrente, più
adeguata) valutazione delle risultanze processuali. Non rientra, infatti, nei poteri
di questa Corte quello di compiere una “rilettura” degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione, essendo il sindacato in questa sede circoscritto alla
verifica dell’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della
decisione.

Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso deve essere rigettato e il
ricorrente devono essere condannato al pagamento delle spese processuali,

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motivazione della sentenza impugnata non è stata minimamente intaccata dal

nonché alla refusione delle spese del grado in favore della parte civile Bolle Luigi,
liquidate le stesse complessivamente in euro 2.300,00, oltre I.V.A. e CPA.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché alla refusione in favore della p.c. Bolle Luigi delle spese del
presente grado di giudizio, che liquida in euro 2.300,00, oltre I.V.A. e CPA.

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Il Presidente
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Roma, li 21 novembre 2012

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