Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8073 del 12/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 8073 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: ESPOSITO LUCIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GRASSO ORAZIA N. IL 06/10/1946
SCIACCA PATRIZIA N. IL 15/04/1981
SCIACCA SALVATORE N. IL 17/05/1976
nei confronti di:
TRINGALE ROSARIO N. IL 01/10/1965
avverso la sentenza n. 2782/2009 CORTE APPELLO di CATANIA, del
10/06/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.4
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che ha concluso per Q ‘ aux, jip_42,02,ta
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 12/11/2013

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Ritenuto in fatto

1.Battaglia Giuseppe e Tringale Rosario, quali medici in servizio presso l’Unità Operativa
di Chirurgia vascolare dell’Ospedale Ferrarotto, erano tratti a giudizio dinanzi al
Tribunale di Catania per rispondere del reato di omicidio colposo. Ai predetti era mosso
l’addebito di avere, con condotte colpose indipendenti, cagionato la morte di Sciacca
Alfio, ricoverato presso la struttura per essere sottoposto in data 16/3/2004 a
intervento di by pass femoro popliteo destro con apposizione di protesi vascolare. Si

dopo l’insorgenza di sepsi post operatoria dell’arto, a intervento chirurgico di escissione
totale della protesi e di essersi limitati a prescrivere terapie antibiotiche inadeguate.
2.All’esito del giudizio il Tribunale affermava la responsabilità del Tringale,
condannandolo, altresì, al risarcimento dei danni in favore dei parenti della vittima,
costituitisi parti civili. Battaglia veniva assolto dalla imputazione ascrittagli perché il
fatto non sussiste.
3.Con sentenza del 10/6/2011 la Corte d’Appello di Catania assolveva anche il Tringale
dal reato ascrittogli perché il fatto non sussiste.
Rilevava la Corte che gli elementi di prova emersi non consentivano di ritenere
indiscutibilmente dimostrata la sussistenza del nesso di causalità tra la condotta
dell’imputato e l’evento letale. Osservava che, riscontrata la positività dell’emocultura
per Pseudomonas Aeruginosa, la situazione clinica del paziente aveva assunto
connotazioni di particolare gravità, in presenza di un germe aggressivo e difficilmente
debellabile; che in una situazione siffatta era stata sconsiderata la scelta, non riferibile
all’imputato, di trasferire il paziente presso il reparto di angiologia, scelta che aveva
inciso negativamente sulla necessità di continua vigilanza al fine di garantire ulteriori
controlli necessari e che era stata, altresì, irragionevole la sostituzione durante detto
ricovero della terapia farmacologica originariamente praticata, della quale era stata
verificata la positività sul germe, con abbassamento dei valori dell’infezione.
Osservava la Corte che la terapia attendista era stata giudicata dai periti non
censurabile e che la malattia si era manifestata in tutta la sua aggressività nel periodo
successivo al trasferimento e al cambio di terapia, questi ultimi non imputabili al
medico; che – ancorché fosse stato ritenuto censurabile l’operato dell’imputato in
occasione della consulenza richiesta il 31/7/2004, per non aver disposto più
approfondite indagini sulla natura dell’infezione e sulla situazione in sede di impianto
protesico – era da ritenere, in ogni caso, che anche il trattamento corretto della
complicanza infettiva non avrebbe potuto garantire in maniera certa e assoluta la
sopravvivenza, avendo il perito rilevato che, in ragione della comparsa di infezione da
Pseudomonas e tenuto conto delle condizioni generali del soggetto, le possibilità di
sopravvivenza del paziente non erano comunque superiori al 35-40% anche in ipotesi di
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addebitava agli imputati di aver omesso di sottoporre tempestivamente il paziente,

trattamento adeguato; che, pertanto, tenuto conto dei coefficienti medio bassi di
probabilità, anche sostituendo all’omissione il comportamento alternativo corretto,
l’evento lesivo non si sarebbe realizzato con alto grado di credibilità razionale.
Concludeva, pertanto, che l’imputato doveva essere assolto con la formula
dell’insussistenza del fatto.
4.Avverso la sentenza proponevano ricorso per cassazione le parti civili.
Deducevano con unico, articolato motivo erronea applicazione della legge penale e vizio
di motivazione. Sottolineavano la superficialità e l’imperizia del medico, atta a

processuale più rilevante, ribadito dal perito del PM e dal Collegio medico nominato in
sede dibattimentale, era che la corretta rimozione della protesi, quantomeno alla data
del 31/7/2004 (e non al momento della rottura dell’anastomosi) avrebbe impedito la
morte del paziente. Rilevavano che era omesso un rigoroso percorso argomentativo che
potesse far ritenere coerente la scelta dei giudici di secondo grado, a fronte delle
ragioni giuridiche che avevano delineato le motivazioni della sentenza del primo giudice.
Deducevano, sotto altro profilo, che le cause sopravvenute, indicate come ipotetici
fattori causali alternativi intervenuti sul nesso di causalità, non erano tali da escluderlo,
difettando dei caratteri di idoneità e sufficienza a determinare l’evento, ex art. 41 c.p.
Censuravano, inoltre, il ragionamento della Corte incentrato sulla mera probabilità
statistica, evidenziando che ciò che rileva è la probabilità logica, dovendosi considerare
se, ove si fosse tenuta l’azione doverosa omessa, l’evento lesivo non si sarebbe
verificato o si sarebbe verificato in epoca significativamente posteriore o con minore
intensità lesiva.

Considerato in diritto

5.11 ricorso è fondato con riferimento al dedotto vizio di motivazione. La sentenza
assolutoria, infatti, perviene alla negazione del nesso di causalità valorizzando in modo
superficiale le conclusioni peritali riguardo alla limitata incidenza salvifica del
trattamento alternativo d’elezione, senza affrontare con adeguato approfondimento la
successione dei tempi del decorso della malattia e delle modalità dell’operato dei
sanitari.
Eppure la sentenza di primo grado aveva correttamente sottoposto a seria critica il
rilievo formulato dai periti in ordine all’incidenza statistica, in termini di percentuali di
sopravvivenza, del trattamento corretto. Aveva evidenziato che il giudizio controfattuale
andava effettuato sulla base dell’evento lesivo come verificatosi hic e nunc, e che era
necessario verificare in concreto, in relazione alle complicanze effettivamente
ipotizzabili, se, ove in luogo dell’omissione fosse stato posto in essere un
comportamento alternativo corretto, l’evento lesivo si sarebbe ugualmente realizzato
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determinare un gravissimo errore diagnostico ed esecutivo. Osservavano che il dato

con alto grado di credibilità razionale. Era giunta, quindi, ad affermare che “la certezza
processuale può derivare anche in caso di coefficienti medio-bassi di probabilità c.d.
frequentistica, laddove si acquisisca positivamente la prova della non incidenza di rischi
ipotizzati in via meramente congetturale o astratta”, nel contempo avvertendo che la
superficiale applicazione del criterio della percentuale di sopravvivenza avrebbe finito
col legittimare qualunque colpevole inerzia o omissione.
Dal raffronto tra la sentenza impugnata e quella di primo grado emerge, pertanto, il
mancato esame da parte del giudice d’appello di aspetti delle questioni poste dal

primo grado e che sono stati del tutto trascurati in seconda istanza. Ciò determina
lacune atte a incidere nel giudizio sull’adeguatezza della motivazione.
5.2. E’ da considerare, poi, che, avuto riguardo al succedersi degli eventi, i fattori
causali alternativi ai quali è dato risalto nella motivazione della sentenza d’appello non
appaiono risolutivi, ove si consideri la loro anteriorità alla condotta tenuta dal medico in
occasione della consulenza vascolare richiesta il 31/7/2004, momento rispetto al quale
andava effettuata la valutazione della concatenazione causale, con specifico riferimento
alla consequenzialità del decesso alla mancata escissione della protesi.
E’ rispetto alla data dell’ultima attività compiuta dal medico, infatti – essendo stato
motivatamente escluso (pg. 37 della sentenza di primo grado), con argomentazione non
contestata, che fosse ravvisabile un comportamento censurabile nella condotta
attendista complessivamente tenuta dai sanitari fino all’intervento del giugno – che
occorreva verificare la decisività e adeguatezza dell’operato del medesimo, mediante
giudizio controfattuale che tenesse conto dei tempi e della concreta evoluzione della
malattia. Di conseguenza il ragionamento seguito dalla Corte d’Appello non può essere
ritenuto esente da profili di manifesta illogicità.
Alla luce delle svolte argomentazioni s’impone, pertanto, l’annullamento della sentenza
impugnata per vizio motivazionale, con rinvio al giudice civile competente in grado
d’appello, il quale procederà a nuovo esame della questione.
P. Q. M.
La Corte annulla l’impugnata sentenza, ai soli fini civili, e rinvia al giudice civile
competente per valore in grado d’appello.
Così deciso in Roma il 12/11/2013
Il Con igliere relatore

Il Presidente

processo che avevano costituito oggetto di riflessione accurata da parte del giudice di

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