Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8073 del 04/02/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 8073 Anno 2016
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: CALVANESE ERSILIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Verardi Francesco Giuliano, nato a Dolceacqua il 9/01/1944

avverso la ordinanza del 25/11/2015 del Tribunale di Napoli

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Ersilia Calvanese;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Delia Cardia, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore, avv. Giuseppe Fusco, che ha concluso chiedendo
l’annullamento del provvedimento impugnato.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 25 novembre 2015, il Tribunale di Napoli, adito ai sensi
dell’art. 309 cod. pen. quale giudice del riesame, confermava il provvedimento
del 30 ottobre 2015 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli
che aveva applicato a Francesco Giuliano Verardi la misura cautelare dell’obbligo
di presentazione alla polizia giudiziaria.

Data Udienza: 04/02/2016

Il Verardi era stato sottoposto alla predetta misura in relazione ai reati di cui
agli artt. 81, primo comma, 319, 321 e 326 cod. pen., perché gravemente
indiziato di aver commesso una condotta corruttiva continuata in concorso con il
comandante della stazione dei carabinieri di Capri, Michele Sansonne.
Il Sansonne, secondo l’ipotesi accusatoria, avrebbe fornito nel corso del
2014 al Verardi, imprenditore e socio della «Capri Cruise», notizie riservate
relative ad indagini avviate dai Carabinieri della locale stazione a seguito di una
denuncia presentata dalla suddetta società, e avrebbe orientato le indagini in

lavorativa della figlia.
Secondo il Tribunale del riesame, i gravi indizi di colpevolezza dei suddetti
reati emergevano chiaramente dalle intercettazioni ambientali, con le quali in
particolare erano stati svelati il patto corruttivo e la controprestazione dovuta dal
Verardi al Sansonne per ottenere i favori illeciti da parte di quest’ultimo.
Il Tribunale confermava la valutazione operata dal primo giudice in ordine
alle esigenze cautelari. Riteneva in particolare che il pericolo di cui all’art. 274,
comma 1, lett. c), cod. proc. pen., ravvisato in considerazione della gravità della
condotta, della sua reiterazione nel tempo, delle conseguenze prodotte al
compimento di indagini di polizia giudiziaria, non risultasse escluso dalla
incensuratezza e dall’età avanzata dell’indagato, circostanze queste prese in
considerazione nella scelta della misura cautelare, né dal trasferimento e dalla
sospensione dal servizio del Sansonne, che non elidevano i rapporti tra i due
indagati e la possibilità del Verardi di utilizzare la fitta rete di rapporti e
collegamenti creata negli anni con altri appartenenti delle forze dell’ordine
presenti a Capri, emersi dalle intercettazioni.
Il Tribunale del riesame rinviava alla motivazione del provvedimento
genetico in ordine al pericolo di inquinamento probatorio (e segnatamente al
tentativo di depistaggio orchestrato dall’indagato, una volta avvisato
dell’incombente perquisizione domiciliare), evidenziando altresì come gli indagati

favore della stessa, in cambio dell’interessamento del Verai -di per l’attività

avessero tentato di mascherare la fuoriuscita dei documenti illecitamente
consegnati dal Sansonne.
Quanto alla scelta della misura cautelare, il Tribunale riteneva che l’obbligo
di presentazione alla locale polizia giudiziaria fosse idoneo a consentire un
costante controllo dell’indagato.

2. Avverso la suddetta ordinanza ricorrono per cassazione i difensori di
Verardi, denunciando la violazione degli artt. 274, 275 e 282 cod. proc. pen. e la
illogicità e contraddittorietà della motivazione.

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L’ordinanza impugnata, in ordine al pericolo di inquinamento probatorio, non
avrebbe evidenziato alcun elemento concreto ed attendibile per supportarne la
sussistenza, limitandosi a far propria la motivazione sul punto dell’ordinanza
genetica. Quest’ultima aveva ravvisato il pericolo suddetto nel rinvenimento
nell’abitazione del Velardi eseguita il 21 gennaio 2015 di alcuni fogli manoscritti
esposti in bella mostra nei quali veniva preannunciata la perquisizione al suo
domicilio e altre circostanze riguardanti la sistemazione della figlia del Sansonne
e di coloro che erano stati sistemati all’estero dal Verardi. Ad avviso del

esercizio del diritto di difesa dell’indagato (tendevano a dimostrare che Verardi
era abitualmente interessato a sistemare giovani locali) e non un tentativo di
inquinamento delle prove. Né le circostanze addotte dal Tribunale del riesame
risulterebbero dimostrative del pericolo in esame.
Il ricorrente deduce inoltre l’inidoneità degli elementi dimostrativi della
attualità e sussistenza del pericolo di reiterazione del reato. La gravità dei fatti,
da sola non sufficiente, risulterebbe smentita dalla reale consistenza e lesività
dei fatti (i documenti forniti erano disponibili presso il Comune di Capri e il
controllo imminente era un controllo identico ad altro già eseguito; la attività
illecita del Sansonne era stata eseguita a favore della parte lesa del reato
oggetto delle indagini). Le circostanze addotte in ordine all’attualità del pericolo
risulterebbero generiche ed apodittiche e comunque risalenti nel tempo.
Il ricorrente denuncia infine la motivazione in ordine alla scelta della misura,
che lungi da incidere minimamente sulle esigenze di prevenzione criminale,
risulterebbe soltanto rappresentare una penalità accessoria in danno
dell’indagato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito illustrate.

2. Non possono essere accolte le doglianze relative alla ritenuta sussistenza
delle esigenze cautelari.
Il ricorso propone invero una rilettura degli elementi fattuali non consentita in
questa sede.
Sono infatti precluse alla Corte di legittimità sia la rilettura degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione impugnata che l’autonoma adozione di
nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, ritenuti
maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa, dovendosi
essa limitare al controllo se la motivazione dei giudici del merito sia

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ricorrente, tali elementi – fatti rinvenire dall’indagato – sarebbero null’altro che

intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l’iter logico
seguito (tra le tante, in tema di manifesta illogicità, Sez. U, n. 12 del
31/05/2000, Jakani, Rv. 216260).
Nel caso in esame non si rinvengono manifeste illogicità nel ragionamento
esposto sul punto dai Giudici del riesame, in quanto esso risponde ai parametri
sopraindicati e risulta pertanto tale da sottrarsi al sindacato di questa Corte.
L’apparato giustificativo appare sul punto altresì esente da vizi giuridici, in
relazione ai requisiti che, secondo l’art. 274 cod. proc. pen., devono

L’ordinanza impugnata ancora invero la attualità e la concretezza dei pericoli
di inquinamento probatorio e di recidiva a specifiche circostanze di fatto (in
premessa richiamate), con esclusione di ogni congettura.

2. Deve invece essere accolto il motivo riguardante la adeguatezza della
misura applicata.
L’art. 275 cod. proc. pen. impone al giudice, nella scelta delle misure cautelari
da applicare all’indagato, di tener conto della «specifica idoneità» di ciascuna di
esse in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel
caso concreto.
Il principio di adeguatezza, al pari di quello della proporzionalità, opera
infatti come parametro di commisurazione delle misure cautelari alle specifiche
esigenze ravvisabili nel caso concreto, tanto al momento della scelta e della
adozione del provvedimento coercitivo, che per tutta la durata del processo,
imponendo una costante verifica della idoneità della misura applicata a
fronteggiare le esigenze di cui all’art. 274 cod. proc. pen., secondo il principio
della minor compressione possibile della libertà personale (Sez. U, n. 16085 del
31/03/2011, Khalil, Rv. 249324).
Tratto saliente complessivo del regime cautelare apprestato dal codice di rito
– in conformità al quadro costituzionale di riferimento – è infatti quello di non
prevedere automatismi né presunzioni: alla stregua dei ricordati principi di
adeguatezza, proporzionalità e minor sacrificio deve essere realizzata una piena
«individualizzazione» della coercizione cautelare (Corte cost. n. 265 del 2010).
Pertanto, la valutazione della proporzionalità di una determinata misura
cautelare non può automaticamente comportare che la stessa sia effettivamente
idonea a fronteggiare le specifiche esigenze cautelari ravvisabili nel caso
concreto.
Il legislatore ha infatti apprestato un ventaglio di presidi cautelari, dal più
grave della custodia carceraria a quelli meno afflittivi, destinati ad incidere in
forma progressivamente più acuta sulle libertà dell’indagato: entro la gamma

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necessariamente connotare i pericoli da fronteggiare con la cautela personale.

delle alternative prefigurate dalla legge, il giudice deve prescegliere la misura
meno afflittiva, in modo da ridurre al minimo indispensabile la lesività
determinata dalla coercizione endoprocedimentale, ma che in ogni caso deve
presentarsi idonea a tutelare le esigenze cautelari nel caso concreto.
Orbene, nel caso in esame, la scelta della misura cautelare applicata al
ricorrente appare rivelare una insanabile contraddizione.
Anche a voler tacere della idoneità dell’obbligo di presentazione alla p.g. a
prevenire il pericolo di inquinamento probatorio, il ragionamento dei Giudici della

Verardi di mantenere con le forze dell’ordine locali una fitta rete di contatti,
destinata a spiegarsi negativamente sui beni tutelati dall’art. 274, corna 1, lett.
c) cod. proc. pen., e dall’altro ritiene adeguata la misura dell’obbligo di
presentazione alla locale polizia giudiziaria per «controllare» costantemente
l’indagato.
La misura scelta risulta pertanto non solo non svolgere alcuna funzione di
prevenzione, ma addirittura «incoraggiare» quei contatti con le forze dell’ordine
locali, ritenuti dalla ordinanza impugnata fonte di pericolose ricadute sulla tutela
della collettività.
Si impone pertanto l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata e
di quella genetica, poiché un eventuale giudizio di rinvio non potrebbe in alcun
modo portare ad una diversa valutazione (Sez. 4, n. 46976 del 22/09/2011,
Mane, Rv. 251430).

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata, nonché l’ordinanza in data 30
ottobre 2015 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli.
Così deciso il 04/02/2016

cautela risulta gravemente viziato là dove prefigura da un lato la capacità del

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