Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8072 del 26/10/2016

Penale Sent. Sez. 4 Num. 8072 Anno 2017
Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: D’ISA CLAUDIO

Data Udienza: 26/10/2016

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
U.S.L. ROMA E
nei confronti di:
P.P.
M.M.
inoltre:
P.P.
M.M.
avverso la sentenza n. 5426/2011 CORTE APPELLO di ROMA, del
01/02/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/10/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CLAUDIO D’ISA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.

RITENUTO IN FATTO
1. P.P., M.M.

l’AZIENDA U.S.L. Roma, in

persona del Direttore generale e legale rappresentante p.t., quale responsabile
civile, ricorrono per cassazione avverso la sentenza, indicata in epigrafe, con cui
la Corte d’Appello di Roma ha confermato quella di condanna emessa dal locale
Tribunale nei loro confronti, in data 24 settembre 2010, in ordine al delitto di
omicidio colposo in danno di G.G..
1.1 La G.G., in data 2 settembre 2005, verso le ore

Roma, per avere la stessa ingerito liquidi caustici (VIAKAL). Fu richiesta dal
medico responsabile del pronto soccorso un consulto psichiatrico che venne dato
dal dott. P.P., il quale dava atto, in cartella clinica, che la paziente accedeva
al colloquio con qualche difficoltà in seguito all’ingestione del liquido caustico, che
da anni soffriva di una grave patologia psichiatrica (depressione bipolare), che
era seguita da uno psichiatra privato ed era sottoposta a terapia medica per tale
patologia. Il P.P. dava atto che nonostante la paziente “al momento dice di
voler morire” appariva collaborativa ed accettava le cure prescritte. Il dott.
P.P. , quindi, ritenuto necessario che fossero apprestate primariamente le
cure del caso per la patologia gastrointestinale, rinviava all’esito un ulteriore
visita psichiatrica.
Dopo circa tre ore (17.30), il medico del reparto di gastroenterologia, ove
venne poi ricoverata la G.G., richiese altro consulto psichiatrico che venne
dato, questa volta, dal dott. M.M., medico di guardia del relativo
reparto. Costui, recatosi in tale reparto, visitava la paziente e, terminata la visita,
comunicava, nel mentre si trovava sulla soglia della stanza, al dott. Lucchetti medico di guardia del reparto di gastroenterologia – la necessità dì disporre il
piantonamento della G.G.. Di poi (tra le 18 e le 18.10), nel mentre il
Ponticelli formalizzava, in altro locale, per iscritto la diagnosi e la necessità di
disporre il piantonamento, la G.G., rimasta sola, si gettava nel vuoto dalla
finestra togliendosi la vita.
1.2 I profili di colpa individuati dal Tribunale e condivisi dalla Corte d’appello
a carico dei ricorrenti possono così sintetizzarsi.
L’addebito mosso al P.P. è individuato nell’aver commesso l’errore
inescusabile di rinviare la diagnosi ad un momento successivo di stabilizzazione
della paziente, invero, stante il quadro clinico di costei da lui stesso acquisito,
colposamente sottovalutò il rischio concreto di un nuovo tentativo di suicidio, Q
avrebbe dovuto, invece, indicare l’esigenza di un piantonamento già al momento
del trasferimento dal pronto soccorso. Nel caso in esame, ovvero in un soggetto

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14.30, veniva ricoverata al pronto soccorso dell’Ospedale S. Filippo Neri, in

affetto da una grave sindrome bipolare che aveva appena tentato il suicidio con
mezzo assolutamente insidioso e che aveva espresso la volontà di morire, il
rischio suicidiario non era affatto un evento totalmente imprevedibile.
Quanto al M.M. gli si addebita che, in assenza di specifiche regole di
comportamento, che la prassi medica ed ospedaliera gli imponeva, non allertò la
figlia della paziente, la tirocinante o il personale infermieristico (tutte persone
presenti all’atto della visita psichiatrica cui egli aveva sottoposto la G.G.) ma
contattò il medico di guardia e lo avvisò che la paziente andava piantonata. Il

disposto materialmente il piantonamento della paziente – ma di aver lasciato
priva di tutela in “quei fatali dieci minuti” (in cui si era trattenuto con il Lucchetti
per stabilire chi dovesse effettuare il piantonamento se il personale di psichiatria
o quello di gastroenterologia) la G.G. che, nel frangente si defenestrava.
2.

P.P. con un unico motivo denuncia violazione di legge e

vizio di motivazione in merito alla sussistenza della penale responsabilità per la
mancata applicazione della disposizione normativa di cui all’art. 3 comma 1 del
D.L. 158/2012 convertito in L. 189/2012 (c.d. Legge Balduzzi), che ha
espressamente introdotto una esclusione di responsabilità medica per “colpa
lieve”. Conferendo pieno riconoscimento alle linee guida quale strumento di
valutazione dell’elemento soggettivo della condotta del medico nel momento della
sua sussunzione nella fattispecie penale.
2.1 Il M.M. affida il ricorso a cinque motivi. Con il primo
denuncia violazione di legge ed in particolare dell’art. 6, comma 3, lett B) della
C.E.D.U. e degli artt. 161, comma 4 e 178 lett. c) cod. proc.pen. e vizio di
motivazione nella parte in cui è stata rigettata dal Tribunale l’eccezione di nullità
della notifica all’imputato del verbale di udienza del 27 aprile 2010.
2.1.1. Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 43, primo
comma, terza parte cod. pen., e vizio di motivazione con riguardo alla ritenuta
sussistenza ed alla violazione della regola cautelare di condotta da parte
dell’imputato. Preliminarmente si rileva un palese errore di diritto riguardante la
configurabilità della colpa ed un’evidente mancanza di motivazione sul punto. Le
conclusioni della Corte sono costruite su presunte “linee guida” che imponevano
al M.M. di non lasciare sola la paziente dopo aver terminato la propria
consulenza psichiatrica, aver avvisato immediatamente un medico di servizio
presso il reparto di gastroenterologia della necessità di piantonamento della
stessa ed essere stato invitato da tale medico a recarsi in altra stanza per
scrivere la cartella clinica. Ebbene, nella motivazione della sentenza non è
specificato il tipo, né il contenuto delle suddette linee guida.

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comportamento colposo che viene addebitato al ricorrente non è di non aver

2.1.2 Con il terzo motivo si denunciano violazione di legge nella specie
dell’art. 43,1° comma terza parte cod. pen., e vizio di motivazione in relazione
alla ritenuta prevedibilità dell’evento al momento della inosservanza della regola
cautelare. La Corte d’appello, adagiandosi su tale punto sulla motivazione della
sentenza di primo grado, ha ritenuto che la prevedibilità del suicidio della
paziente da parte del M.M., dopo la sua uscita dalla stanza ove la stessa
era degente, era concreta. Si evidenzia che il giudizio di prevedibilità dell’evento
segue alla totale ed acritica riproduzione da parte della Corte del merito delle

nonostante i motivi di gravame le avessero criticato riportando I valutazione, di
contrario avviso, dei consulenti della Difesa, venendo, in tal modo meno
all’obbligo di motivazione affermato, in relazione ad analoghe vicende dalla corte
di legittimità.
2.1.3. Oggetto del quarto motivo è la denunciata carenza di motivazione in
relazione al rigetto della richiesta con cui si era chiesta la riduzione della
provvisionale immediatamente esecutiva in favore della parte civile A.A.. La richiesta era stata avanzata sul dato documentale, acquisito al
processo, che il A.A. non aveva più legami coniugali con la defunta sin dal
1991 e non conviveva con la stessa. La Corte d’appello ha confermato l’entità
della provvisionale, disposta erroneamente dal Tribunale, sul falso presupposto
che al momento del decesso il A.A. e la G.G. fossero felicemente sposati
e conviventi.
2.1.4. Con il quinto motivo si censura l’ordinanza dibattimentale dell’8
maggio 2007 di rigetto, in primo grado, dell’eccezione di illegittimità
costituzionale dell’art. 11 cod. proc. pen. avanzata e specificamente impugnata
con l’ appello. L’eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 11 cod. proc. pen.
in riferimento agli artt. 3,2,10, 101 e 11 COST, nella parte in cui il predetto
articolo non prevede la competenza del giudice, ugualmente competente per
materia, che ha sede nel capoluogo del distretto di corte d’appello determinato
dalla legge per i procedimenti in cui un magistrato – che ha cessato le funzioni da
tempo ragionevolmente insufficiente per recidere ogni suo legame con gli uffici
giudiziari – assume la qualità di indagato o di persona offesa o danneggiato dal
reato o di parte civile. In particolare, A.A., marito della persona offesa,
aveva cessato da pochi mesi la funzione di presidente del Tribunale di
Civitavecchia, compreso nel distretto della Corte d’appello di Roma. La eccezione
in parola si ripropone in questa sede per la violazione del principio di imparzialità
-terzietà della giurisdizione che ha pieno valore costituzionale con riferimento a
qualunque tipo di processo, in relazione specifica al quale, peraltro, può e deve

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valutazioni espresse dal consulente tecnico di parte civile, prof. Scapicchio,

trovare attuazione. Inoltre, tale principio trova riscontro ed è affermato anche
dalla C.E.D.U. secondo cui “Ogni persona ha diritto che la sua causa sia
esaminata imparzialmente, pubblicamente e in tempo ragionevole da parte di un
Tribunale indipendente ed imparziale”. Per il ricorrente l’omessa considerazione
dei rapporti e dei vincoli di conoscenza che necessariamente legano un
magistrato appena cessato dalle proprie funzioni ai colleghi in carica nel
medesimo distretto di Corte d’appello, dunque, alla luce della stessa ratio posta a
base dell’art. 11 c.p.p. si pone in palese contrasto con i principi costituzionali su

costituzionale n. 3/2001 che ha disciplinato la potestà legislativa concorrente
dello Stato e delle regioni nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali, si pone in rilievo che alla luce dei
principi affermati dalla Corte Costituzionale con le sentenze nn. 348 e 349/2002,
appare più che manifesta la fondatezza della eccezione di illegittimità
costituzionale sollevata in primo grado e reiterata in appello al contenuto dell’art.
6 della C.E.D.U..

2.2. Il responsabile civile propone due motivi di ricorso.
Con il primo diversamente e diffusamente articolato denuncia violazione di
legge nella specie degli artt. 40, 41 cpv. cod. pen. 43 e 589 cod. pen. art. 27
Cost. della L. 180/78 e della L. 833/78 nonché vizio di motivazione nella parte in
cui individua i presupposti per affermare la penale responsabilità degli imputati.
Quanto alla sussistenza del nesso causale, all’apprezzamento della colpa e della
prevedibilità del rischio suicidio, sostanzialmente il motivo ripercorre le
argomentazioni svolte dal ricorrente M.M. con il secondo e terzo motivo del
suo ricorso, rimarcandosi la non con divisibilità delle conclusioni cui è pervenuto il
consulente di parte civile.
Con il secondo motivo si svolgono le stesse censure oggetto del quarto
motivo del ricorso del M.M..

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. La sentenza impugnata va annullata senza rinvio per essere il reato
estinto per prescrizione.
Quanto ai motivi posti a base del ricorso dell’imputato, da ritenersi non
manifestamente infondati, si evidenzia che in presenza di una declaratoria di
improcedibiltà per intervenuta prescrizione del reato è precluso alla Corte di
Cassazione un riesame dei fatti finalizzato ad un eventuale annullamento della
decisione per vizi attinenti alla sua motivazione. Il sindacato di legittimità circa la
mancata applicazione del secondo comma dell’art. 129 c.p.p. deve essere

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richiamati. Con riferimento al novellato art. 117 COST. ad opera della legge

circoscritto all’accertamento della ricorrenza delle condizioni per addivenire ad
una sua pronuncia di proscioglimento nel merito con una delle formule prescritte:
la conclusione può essere favorevole al giudicabile solo se la prova
dell’insussistenza del fatto o dell’estraneità ad esso dell’imputato risulti evidente
sulla base degli stessi elementi e delle medesime valutazioni posti a fondamento
della sentenza impugnata, senza possibilità di nuove indagini ed ulteriori
accertamenti che sarebbero incompatibili con il principio secondo cui l’operatività
estintiva, determinando il congelamento della situazione processuale esistente

contenuto complessivo della sentenza non prospetti, nei limiti e con i caratteri
richiesti dall’art. 129 c.p.p., l’esistenza di una causa di non punibilità più
favorevole all’imputato, deve prevalere l’esigenza della definizione immediata del
processo.
Esclusa per il caso sottoposto all’esame della Corte l’applicazione della
norma ora richiamata, non evidenziandosi ictu ocull la prova di innocenza degli
imputati, l’esame dei ricorsi non può neanche essere condotto ai fini della
conferma delle statuizioni civili della sentenza, stante la rinunzia implicita
all’azione civile nel processo penale delle parti civili, costituite nei precedenti
gradi di giudizio, come evincesi dalle quietanze di pagamento relative al
risarcimento dei danni, esibite dall’avv. Vincenzo Tirendi, sottoscritte dalle
medesime parti civili e dalla mancata loro costituzione in questo giudizio di
cassazione.
Di conseguenza vanno revocate le statuizioni civili.
Rimane assorbita la proposta questione di illegittimità costituzionale per la
sua irrilevanza nel caso di specie.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per
prescrizione.
Revoca le statuizioni civili.
Così deciso in Roma il 26 ottobre 2016.
Il Consigliere estensore

Il Presidente

nel momento in cui è intervenuta, non può essere ritardata: qualora, dunque, il

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