Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8065 del 25/11/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 8065 Anno 2016
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: BASSI ALESSANDRA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
D’AGOSTINO PASQUALE N. IL 01/02/1950
avverso il decreto n. 52/2014 CORTE APPELLO di TORINO, del
09/01/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRA BASSI;
letteyatite le conclusioni del PG Dott.

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Uditi difensor Avv

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Data Udienza: 25/11/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Con provvedimento del 9 gennaio 2015, la Corte d’appello di Torino ha
confermato il decreto dell’8 ottobre 2014, con il quale il Tribunale del capoluogo
piemontese ha applicato nei confronti di Pasquale D’Agostino la misura della
sorveglianza speciale per anni tre con obbligo di dimora nel comune di residenza,
con le prescrizioni meglio precisate nel decreto.
2. Avverso il decreto ha presentato ricorso l’Avv. Flavia Pivano, difensore di
fiducia di Pasquale D’Agostino, e ne ha chiesto l’annullamento per violazione di

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza
delle doglianze proposte.
2. Il ricorrente muove un unico motivo di censura, col quale si duole della
ritenuta attualità della pericolosità sociale del D’Agostino.
3.

Mette conto porre in evidenza come, secondo la consolidata

giurisprudenza di questa Corte regolatrice, ai fini dell’applicazione di misure di
prevenzione nei confronti di appartenenti ad associazioni di tipo mafioso, non è
necessaria alcuna particolare motivazione in punto di attuale pericolosità, una
volta che l’appartenenza risulti adeguatamente dimostrata e non sussistano
elementi dai quali ragionevolmente desumere che essa sia venuta meno per
effetto del recesso personale, non essendo dirimente a tal fine il mero decorso
del tempo dall’adesione al gruppo o dalla concreta partecipazione alle attività
associative (Sez. 2, n. 3809 del 15/01/2013 – dep. 24/01/2013, Castello e altri,
Rv. 254512; Sez. 6, n. 41977 del 01/10/2014 – dep. 08/10/2014 Cennamo, Rv.
260437).
4. A tali principi si è perfettamente attenuta la Corte territoriale, là dove ha
argomentato la sussistenza del presupposto della pericolosità sociale del
proposto con considerazioni puntuali, aderenti alle risultanze degli atti e conformi
a logica e diritto, evidenziando in particolare: a) che D’Agostino è stato
condannato in primo ed in secondo grado per partecipazione ad associazione di
stampo mafioso denominata ‘ndrangheta, nel procedimento cd. Minotauro
(condanna divenuta, medio tempore, irrevocabile, a seguito del rigetto del
ricorso proposto innanzi a questa Corte); b) che, come emerge dalle risultanze
probatorie in atti ed, in particolar modo, dalle conversazioni intercettate, il
proposto ricopre un ruolo attivo nel sodalizio criminale, nel locale di Natile di
Careri a Torino; c) che, in considerazione della posizione di rilievo assunta
all’interno della consorteria, non può ritenersi che il vincolo associativo si sia
sciolto per il mero decorso del tempo in custodia cautelare, là dove fa difetto una
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legge penale in relazione al giudizio di pericolosità sociale.

inequivoca e manifesta presa di distanza dall’associazione, nè rileva il fatto che,
prima dell’applicazione della misura cautelare, D’Agostino svolgesse un’attività
lavorativa; d) che l’attualità della pericolosità sociale è stata ribadita dalla stessa
Corte d’appello di Torino che, nella sentenza del 5 dicembre 2013, ha confermato
la condanna del D’Agostino per il reato associativo e gli ha applicato la misura di
sicurezza della libertà vigilata per il periodo minimo di anni due, evidenziando
l’assenza di concreti elementi indicativi di una dissociazione dall’associazione
mafiosa.

e giuridicamente corretto apparato argomentativo, si appalesa pertanto scevro
da vizi censurabili nella sede di legittimità.
5. Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente, oltre che al pagamento
delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene
congruo determinare in 1.000,00 euro.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1000 in favore della Cassa delle
Ammende.

Così deciso in Roma il 25 novembre 2015

Il consigliere estensore

Il provvedimento in verifica, in quanto fondato su di un accurato, coerente

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