Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8064 del 25/11/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 8064 Anno 2016
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: BASSI ALESSANDRA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TRIPODO CARMELO GIOVANNI N. IL 09/12/1958
avverso l’ordinanza n. 59/2007 GIP TRIBUNALE di ROMA, del
24/11/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRA BASSI;
lette~ le conclusioni del PG Dott.
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Uditi difensor

Data Udienza: 25/11/2015

RITENUTO IN FATTO
1.

Con ordinanza del 24 novembre 2014, pronunciandosi a seguito di

sentenza di annullamento con rinvio di questa Suprema Corte del 4 luglio 2014,
il Giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Roma ha rigettato
l’istanza avanzata dalla difesa di Carmelo Tripodo tesa ad essere reintegrato nel
posto di lavoro. A sostegno del decisum, il Giudice capitolino ha rilevato che,
come già posto in luce dal Giudice di Latina, le società Lazio Neti Service Soc.
Coop. e Tripos Multiservizi S.r.l. risultano direttamente riconducibili all’istante,

cod. pen.,

12-quinquies D.L. n. 306/1992, 323 cod. pen. ed altri reati,

nell’ambito del procedimento n. 1667/2005; che dette società sono state
utilizzate per la commissione di plurimi azioni delittuose; che, pertanto,
l’imputato non può essere reintegrato in un’attività lavorativa formalmente
svolta nell’ambito di tali società.
2. Nel ricorso presentato nell’interesse di Carmelo Tripodo, i difensori di
fiducia Avv.ti Angelo Palmieri e Domenico Oropallo hanno chiesto che il
provvedimento sia cassato per abnormità, là dove il Giudice di Roma ha rigettato
la richiesta di reintegro sebbene non esista un’istanza della difesa in tale senso,
dal momento che l’intervento del giudice era stato sollecitato dal custode
giudiziario al solo fine di validare, con tale improprio strumento, una sua
precedente determinazione avente ad oggetto la sospensione dal servizio
dell’assistito presso le società. Sotto diverso profilo, il ricorrente ha posto in luce
come gli atti concernenti i rapporti di lavoro subordinato nell’ambito della
gestione di un’azienda sequestrata affidata all’amministratore giudiziario,
rientrino nell’ambito dell’attività di ordinaria amministrazione, che non richiede
l’intervento del giudice.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorrente si duole del fatto che il Giudice delle indagini preliminari
presso il Tribunale di Roma, anziché validare il provvedimento del custode di
sospensione del rapporto di lavoro di Tripodo con le due società sottoposte a
sequestro, abbia rigettato la richiesta di reintegro del medesimo nella compagine
delle predette società.
2. Il ricorso è inammissibile per un duplice ordine di ragioni.
3. Sotto un primo profilo, il ricorso si appalesa inammissibile per carenza
d’interesse.

condannato in primo ed in secondo grado per i reati di cui agli artt. 416, 416-bis

Secondo i principi generali in tema di impugnazioni ed, in particolare,
secondo il disposto dell’art. 591 cod. proc. pen., per proporre impugnazione è
necessario avervi interesse, che deve essere concreto – dovendo cioè mirare a
rimuovere l’effettivo pregiudizio che la parte asserisce di aver subito con il
provvedimento impugnato – e persistere sino al momento della decisione (Cass.
Sez. 1, n. 1695 del 19/03/1998, Papajani Rv. 210562).
Interesse a rimuovere il provvedimento impugnato che, nella specie, non
può stimarsi sussistente, atteso che, dall’ipotetico accoglimento del ricorso (nel

amministratore giudiziario), non potrebbe mai discendere nessun vantaggio
concreto per il ricorrente, in termini di reintegro nell’organigramma delle due
società sottoposte ad ablazione. Come si è già rilevato, il ricorso tende, nella
sostanza, a sostituire il dispositivo del provvedimento assunto dal Giudice per le
indagini preliminari – di rigetto del reintegro di Tripodo nel posto di lavoro – con
quello – appunto preteso dal ricorrente – di conferma del provvedimento di
mancato reintegro nel posto di lavoro assunto da parte dell’amministratore: ne
consegue che, dall’accoglimento del ricorso da parte di questa Corte, non
potrebbe discendere nessuna conseguenza favorevole per il ricorrente, quale
effetto diretto e concreto della decisione, non potendo da questa derivare la
riassunzione dell’impiego lavorativo.
4. Il ricorso è, comunque, inammissibile per manifesta infondatezza.

Non è revocabile in dubbio che, in caso di sequestro d’azienda con nomina di
un amministratore giudiziario, il giudice che ha disposto il provvedimento
continui a sovraintendere all’amministrazione della res sottoposta ad ablazione e
sia competente ad emettere i provvedimenti di autorizzazione al compimento di
atti giuridici di natura privatistica concernenti le vicende e la gestione ordinaria
dei beni sequestrati sottoposti ad amministrazione. E’ pertanto giuridicamente
fisiologico che l’ausiliario del giudice si rivolga a quest’ultimo, invocandone un
provvedimento ad hoc, in tutti i casi in cui si tratti di assumere decisioni che – a
prescindere dal fatto che possano essere ricondotte nell’alveo dell’ordinaria
amministrazione anziché della straordinaria amministrazione – involgano
questioni complesse o profili delicati, come appunto quello concernente il
reintegro dell’imputato in società strumentali alla commissione dei reati al
medesimo ascritti.
E ciò a tacer del fatto che l’adozione del provvedimento in punto di reintegro
(o, meglio, di mancato reintegro) nel posto di lavoro da parte dell’organo
giurisdizionale è valso a riconoscere in capo alla difesa maggiori garanzie rispetto
alla decisione del solo amministratore, in quanto suscettibile di consentire –

3

senso del riconoscimento della competenza a decidere sul punto in capo al solo

come appunto è avvenuto nella specie – l’attivazione dei mezzi d’impugnazione
previsti dall’ordinamento.
5. Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma
dell’art. 616 cod, proc. pen., la condanna del ricorrente, oltre che al pagamento
delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene
congruo determinare in 300,00 euro.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 300 in favore della cassa delle
ammende.

Così deciso in Roma il 25 novembre 2015

Il consigliere estensore

resid

P.Q.M.

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