Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8064 del 12/02/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 8064 Anno 2014
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: DI MARZIO FABRIZIO

Data Udienza: 12/02/2014

SENTENZA
Sul ricorso proposto da Fuda Pasquale, nato iI23.2.1981, avverso la ordinanza
del Tribunale della libertà di Milano del 27.6.2013.Sentita la relazione della
causa fatta dal consigliere Fabrizio Di Marzio; udita la requisitoria del sostituto
procuratore generale Luigi Riello, il quale ha concluso chiedendo che il ricorso
sia rigettato.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe la sezione del riesame del Tribunale di Milano,
decidendo sull’appello proposto nell’interesse diFuda Pasquale avverso
l’ordinanza emessa dalla Corte di appello di Milano in data 24.5.2013 – che
aveva respinto l’istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare della
custodia in carcereapplicata al predetto in relazione al reato di cui all’art. 416
bis cod. pen. dal Gip del tribunale milanese in data 5.7.2010 -ha confermato
l’ordinanza impugnata.
Ricorre personalmente il Fuda – nel frattempo condannato sia in primo che in
secondo grado alla pena di anni 4 di reclusione – contestando l’osservanza

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dell’art. 275, commi 2 0 e 3 0 , 299, comma 2 0 cod. proc. pen. nonché vizio di
motivazione con riguardo all’adeguatezza e alla proporzionalità della misura
irrogata rispetto alla entità del fatto e della pena comminata in primo grado,
rimarcando come l’imputato abbia già scontato 3 anni di effettiva detenzione
a fronte di una condanna per anni 4.
Un ulteriore motivo è dedicato alla inosservanza dell’art. 274 cod. proc. pen.
oltre che al vizio di motivazione in ordine alla sussistenza delle esigenze

cautelari, con specifico riguardo al pericolo di reiterazione del reato ma
stigmatizzando più in generale la motivazione resa dal Tribunale,
denunciandola come astratta dalla fattispecie concreta posta all’attenzione dei
giudici.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
Il Tribunale – precisato come nell’appello l’istante si fosse limitato a riproporre
gli stessi argomenti già presentati alla corte di appello e oggi ribaditi davanti
questa Corte di legittimità – ha diffusamente argomentato sulla insussistenza
agli atti di qualsiasi elemento utile ad argomentare l’avvenuta rescissione del
pericoloso vincolo associativo riscontrato in capo al ricorrente, rammentando
come nelle impugnazioni ci si limiti a ribadire considerazioni a tal fine del tutto
irrilevanti: come il mero decorso del tempo in custodia detentiva, la mancanza
di contatti con appartenenti alla associazione mafiosa durante il periodo di
carcerazione, il corretto comportamento processuale.
Invece, ed in positivo, rimarca il tribunale come dalla lettura della sentenza di
condanna in primo grado (a cui doveva limitarsi l’esame, non essendo
all’epoca del provvedimento disponibile la motivazione della sentenza di
condanna in appello) emerga non soltanto la condotta partecipativa, ma
anche l’allarmante qualità della stessa. Insiste a tal riguardo il Tribunale a
sottolineare la saldezza dei rapporti tra l’odierno imputato e altri appartenenti
alla associazione, l’importanza del ruolo ricoperto dallo stesso in quella,
l’elevato grado di considerazione ed affidabilità riconosciuti in tale contesto
all’odierno ricorrente.
Tanto per concludere, linearmente, circa la sussistenza in concreto di un
evidente pericolo di recidiva, contenibile esclusivamente attraverso la
conferma della misura cautelare di massimo rigore.
Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della

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Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa
emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1000.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle
ammende. Si provveda a norma dell’art. 94, comma 1 ter disp. att. cod. proc.

Così deliberato il 12.2.2014

pen.

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