Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8063 del 25/11/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 8063 Anno 2016
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: BASSI ALESSANDRA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RENDA GAETANO N. IL 03/09/1952 parte offesa nel procedimento
c/
TAMPONE GENNARO N. IL 10/08/1936
avverso l’ordinanza n. 594/2013 GIP TRIBUNALE di ENNA, del
09/06/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRA BASSI;
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le conclusioni del PG Dott.
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Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 25/11/2015

RITENUTO IN FATTO
1. A seguito della trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il
Tribunale da parte del Giudice di pace in un procedimento di diffamazione nel
quale l’organo dell’accusa aveva proceduto alla contestazione suppletiva del
reato di calunnia, con ordinanza del 9 giugno 2014, pronunciata a conclusione
dell’udienza ai sensi degli artt. 409 e 410 cod. proc. pen., il Giudice delle indagini
preliminari presso il Tribunale di Enna ha disposto l’archiviazione del
procedimento a carico di Gennaro Tampone, per i reati di diffamazione aggravata

A sostegno della decisione, il Giudice ha rilevato, quanto al reato di calunnia,
che non è sostenibile che l’indagato abbia agito con la consapevolezza
dell’innocenza dell’incolpato; quanto alla diffamazione, che dal tenore dello
scritto non emerge, in modo chiaro ed inequivoco, la riferibilità della frase
incriminata al Renda.
2. Avverso l’ordinanza hanno presentato ricorso la persona offesa Renda
Gaetano ed il suo difensore di fiducia Avv. Salvatore Timpanaro, munito di
procura speciale, e ne hanno chiesto l’annullamento per i seguenti motivi:
2.1.

abnormità del provvedimento di archiviazione per reato di

diffamazione, in quanto fondato su di una richiesta di archiviazione illegittima,
stante l’irretrattabilità dell’azione penale correttamente esercitata per detto
reato;
2.2. abnormità del provvedimento di archiviazione per il reato di calunnia, in
quanto già oggetto di formale contestazione da parte del pubblico ministero
innanzi al Giudice di pace.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza
delle doglianze poste a suo fondamento.
2. Ritiene invero il Collegio che, nel caso di specie, non vi sia materia per
l’eccepita abnormità del provvedimento con il quale il Giudice per le indagini
preliminari di Enna ha disposto la restituzione degli atti al pubblico ministero.
3. Con riferimento al reato di calunnia – oggetto di contestazione suppletiva
da parte del P.M. innanzi al Giudice di pace -, in linea generale, occorre
rammentare come, secondo il costante insegnamento di questa Corte
regolatrice, può ritenersi affetto da abnormità non solo il provvedimento che, per
la singolarità e stranezza del contenuto, risulti avulso dall’intero ordinamento
processuale, ma anche quello che, pur essendo in astratto manifestazione di
legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste:

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e calunnia, in concorso formale tra loro.

l’abnormità dell’atto può, quindi, riguardare tanto il profilo strutturale, allorché
l’atto medesimo, per la sua singolarità, si ponga al di fuori del sistema organico
della legge processuale, quanto il profilo funzionale, quando esso, pur non
estraneo al sistema normativo, determini la stasi del procedimento o
l’impossibilità di proseguirlo (Sez. Un. 10/12/1997 n. 17 Di Battista, Rv. 209603;
Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009 – dep. 22/06/2009, P.M. in proc. Toni e altro,
Rv. 243590).
3.1. Questa Corte regolatrice ha avuto modo di affermare come una

fatto è diverso da quello descritto nel decreto che dispone il giudizio e disponga
la restituzione degli atti al P.M. ai sensi dell’art. 521 cod. proc. pen., in quanto
detta norma consente espressamente la regressione del procedimento in tale
ipotesi (Sez. 6, del 4/4/1995, n. 3606, Gualtieri, Rv. 201105).
Mutuando tale principio, si deve pertanto ritenere che non ricorrano i
presupposti dell’atto abnorme nel caso in cui il giudice, rilevato che il reato
concorrente oggetto di contestazione suppletiva

ex art. 517 del codice di rito

appartiene alla competenza del Tribunale (anziché del Giudice di pace innanzi al
quale, appunto, penda la causa), disponga la trasmissione degli atti al pubblico
ministero in ossequio a quanto disposto dall’art. 521, comma 2, cod. proc. pen.
Una volta che gli atti siano stati – come si è detto, del tutto ritualmente restituiti al pubblico ministero, questi può legittimamente svolgere ulteriori
indagini o comunque, a prescindere da nuovi adempimenti istruttori, richiedere
l’archiviazione del procedimento. Ed invero, una volta che sia disposto il regresso
del procedimento alla fase delle indagini, non v’è alcuna preclusione a che il
pubblico ministero, avanzi la richiesta di archiviazione, non operando in detta
ipotesi – stante l’espressa previsione normativa degli artt. 521 e seguenti del
codice di rito – il principio di irretrattabilità dell’azione penale.
3.2. Va pertanto ribadito il principio già affermato da questa Suprema Corte
in un caso consimile, alla stregua del quale la restituzione degli atti al P.M. a
seguito della contestazione di un fatto diverso da quello descritto
nell’imputazione o, comunque – come nella specie – ulteriore, comporta la
regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari, sicché
legittimamente il Gip può disporre, nei presupposti di legge, l’archiviazione per
tale fatto (Sez. 3, n. 45708 del 26/10/2011 – dep. 07/12/2011, P.O. in proc. F.,
Rv. 251596).
4. Palesemente destituita di fondamento è anche la seconda censura, con la
quale il ricorrente deduce l’abnormità della richiesta e del conseguente
provvedimento di archiviazione in relazione al reato di diffamazione, rispetto al

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situazione siffatta non possa ravvisarsi nel caso in cui il giudice accerti che il

quale era già stata correttamente esercitata l’azione penale innanzi al Giudice di
pace.
4.1. Al riguardo, mette conto rilevare come, giusta il chiaro dettato
normativo dell’art. 551 cod. proc. pen., in caso di reati connessi, “se la citazione
diretta è ammessa solo per alcuni di essi”, deve essere disposto il rinvio a
giudizio per tutti. Ne discende che, acclarata la legittimità della regressione con
riguardo al reato di calunnia – in quanto di competenza del Tribunale -,
legittimamente disposta si appalesa la regressione anche per il connesso reato di

preliminare.
5. Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente, oltre che al pagamento
delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene
congruo determinare in 500,00 euro.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 500 in favore della cassa delle
ammende.

Così deciso in Roma il 25 novembre 2015

Il consigliere estensore

diffamazione, stante la vis actractiva esercitata dal procedimento con udienza

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