Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 806 del 13/09/2017


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 806 Anno 2018
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: RENOLDI CARLO

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Bello Francesco, nato a San Donaci in data 11/09/1959,
Pedali Marilena, nata a San Donaci il 4/01/1959;
avverso la sentenza in data 8/05/2015 della Corte d’appello di Lecce;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Carlo Renoldi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto Procuratore generale, dott.
Pasquale Fimiani, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità dei
ricorsi.

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 8/05/2015, la Corte d’appello di Lecce
confermò la sentenza del Tribunale di Lecce in data 10/10/2013 con la quale
Francesco Bello e Marilena Pedali erano stati condannati alla pena, sospesa
subordinatamente alla demolizione, di quattro mesi di arresto e di 33.000 euro di
ammenda in quanto riconosciuti colpevoli, previo riconoscimento delle attenuanti
generiche, dei reati di cui agli artt. 44, comma 1, lett. c) del d.p.r. n. 380 del
2001 e 181, comma 1 del d.lgs. n. 42 del 2004, per avere realizzato, in zona
tutelata dal punto di vista paesaggistico, in assenza di permesso di costruire e di
autorizzazione paesaggistica, un fabbricato destinato, al piano terra, ad un uso
residenziale, delle dimensioni di 180 metri cubi e un manufatto interrato in
calcestruzzo non ultimato; fatti accertati in San Donaci in data 8/02/2011.

Data Udienza: 13/09/2017

2. Avverso la sentenza d’appello hanno proposto ricorso gli stessi Bello e
Padali, a mezzo del difensore fiduciario, deducendo due distinti motivi, di seguito
enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp.
att. cod. proc. pen..
2.1. Con il primo motivo, i ricorrenti deducono, ai sensi dell’art. 606, comma
1, lett. B), C) ed E) cod. proc. pen., l’inosservanza o erronea applicazione della
legge penale nonché il vizio di motivazione in relazione alla configurabilità del
delitto di lottizzazione abusiva. Sotto altro profilo, dal momento che l’art. 44 del
d.P.R. n. 380 del 2001 prevede la rilevanza penale della condotta del solo

sarebbe stata erroneamente affermata, non essendovi alcuna prova del fatto che
essi avessero incaricato gli esecutori delle opere abusive. Inoltre, non essendo
gli stessi Bello e Pedali i proprietari del fondo interessato dal manufatto, costoro
non avrebbero avuto interesse a realizzare l’intervento, né, successivamente, ad
impedirne la demolizione; ciò che spiegherebbe la mancata opposizione alla
stessa da parte dei due coniugi.
2.2. Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 606,
comma 1, lett. b) cod. proc. pen., l’inosservanza o erronea applicazione dell’art.

62-bis cod. pen. in relazione al mancato riconoscimento delle attenuanti
generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso di Francesco Bello è inammissibile, mentre quello di Marilena
Pedali è parzialmente fondato.
2. Muovendo dall’analisi della posizione di Bello e, conseguentemente, dalla
disamina del suo primo motivo di impugnazione, giova preliminarmente
osservare che la sentenza impugnata ha già escluso la configurabilità, nel caso di
specie, della lottizzazione abusiva e che, dunque, le deduzioni difensive sul punto
sono chiaramente inconferenti.
Quanto alla doglianza principale, fondata sulla considerazione che i due
imputati non fossero proprietari del fondo, essendo essi venuti nella disponibilità

committente e non anche del proprietario, la responsabilità dei due imputati

del medesimo a seguito di un semplice preliminare di vendita e non avendo,
dunque, interesse all’intervento edilizio in base al principio di accessione, osserva
il Collegio che, come del resto rilevato in sede di ricorso introduttivo, ai fini della
configurabilità della contravvenzione di cui all’art. 44 del T.U.E. la responsabilità
penale delle opere abusive è posta a carico del committente e non del
proprietario in quanto tale. Pertanto, è unicamente a tale profilo che deve aversi
riguardo ai fini dell’affermazione della responsabilità degli imputati.
Sul punto, va posto in luce che in tema di violazioni edilizie costituenti reato,
il committente si identifica, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in
chiunque si adoperi, concretamente, nella realizzazione dell’opera abusiva,
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indipendentemente dall’assunzione di vincoli formali consacrati in stipulazioni
contrattuali e dall’essere proprietario del suolo e, quindi, legittimato a chiedere il
titolo abilitativo (Sez. 3, n. 21975 del 17/03/2016, Taddei, Rv. 267107; Sez. 3,
n. 43608 del 15/09/2015, Rosati, Rv. 265159). Ne consegue che, lungo questa
direttrice ermeneutica, la responsabilità del committente deve essere affermata
sulla base di indizi ulteriori rispetto all’interesse insito nel diritto di proprietà o
nella disponibilità giuridica dell’immobile; indizi sulla base dei quali sostenere la
compartecipazione, anche morale, del soggetto alla realizzazione del manufatto e
desumibili, esemplificativamente, tra l’altro, dalla piena disponibilità, oltre che

specifico ad edificare la nuova costruzione (tra le altre Sez. 3, n. 52040 del
11/11/2014, Langella e altro, Rv. 261522; Sez. 3, n. 44202 del 10/10/2013,
Menditto, Rv. 257625; Sez. 3, n. 25669 del 30/05/2012, Zeno e altro, Rv.
253065; Sez. 3, n. 35631 del 11/07/2007, Leone e altri, Rv. 237391).
2.1. Orbene, nel caso di specie, i giudici di merito hanno correttamente
esplicitato, alla stregua della cornice di principio più sopra richiamata, il
complesso degli elementi di fatto idonei a comprovare il ruolo di committente di
Francesco Bello.
In primo luogo, le sentenze hanno evidenziato come a seguito della stipula
del contratto preliminare di vendita egli avesse acquisito la disponibilità giuridica
dell’area (definita, nella sentenza di appello, come “possesso”) e che avendo
sottoscritto il verbale di sequestro egli fosse presente, in loco, al momento del
sopralluogo, a dimostrazione di una disponibilità anche di fatto dell’area. Inoltre,
i giudici di merito hanno ricordato che Bello aveva, in precedenza, inoltrato
domanda di condono per l’edificio in adiacenza del quale erano state realizzate le
opere abusive. In breve, le sentenze di merito hanno compiutamente dato conto
del percorso giustificativo che ha consentito di riferire l’intervento edilizio relativo
al manufatto in contestazione, lungo la cornice di principio prima illustrata e
tenuto conto dell’univoco significato di una pluralità di rilevanti elementi indiziari,
all’odierno imputato.
3. Diverso è, invece, il discorso relativo alla posizione processuale di Marilena
Pedali, la cui responsabilità è stata affermata unicamente sulla base del fatto che
l’imputata, in ragione della disponibilità giuridica dell’area, “non poteva essere
all’oscuro di quanto stesse accadeva sul suo terreno” (pag. 2 della sentenza di
appello). Una prospettiva ricostruttiva che, per le ragioni già enunciate, si pone
in insuperabile contrasto con i principi dettati in materia di accertamento della
responsabilità del committente di un’opera eseguita in assenza dei prescritti titoli
abilitativi. Tale circostanza renderebbe, dunque, necessario procedere, nei suoi
confronti, ad un annullamento con rinvio onde consentire al giudice di merito di
approntare una nuova motivazione sul punto. Nondimeno, dal momento che,

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giuridica, di fatto del suolo interessato dall’intervento o comunque dall’interesse

nelle more, il reato contestato si è prescritto in data 10/05/2016, la sentenza
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deve essere
senza rinvio.
4. Quanto, infine, al secondo motivo di doglianza, qui in rilievo unicamente
per i profili che attengono alla posizione di Francesco Bello, osserva il Collegio
che la valutazione circa la concessione o il diniego delle circostanze di cui all’art.
62-bis cod. pen. si configura come un giudizio di fatto lasciato alla discrezionalità
del giudice, che deve motivare nei soli limiti atti a far emergere in misura
sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena concreta alla
gravità effettiva del reato e alla personalità del reo (v. tra le tante Sez. 6, n.

46954 del 4/11/2004, dep. 2/12/2004, P.G. in proc. Palmisani e altro, Rv.
230591).
In questa prospettiva, il giudicante, se si determina per il diniego, non è
tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato,
essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere discrezionale
conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla concessione e
delle circostanze ritenute di preponderante rilievo, avuto riguardo ai parametri di
cui all’art. 133 cod. pen., senza che, peraltro, sia necessario che il giudice li
esamini tutti, essendo in realtà sufficiente che egli specifichi a quali, tra essi, egli
abbia inteso fare riferimento, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale
valutazione (v., ex plurimis, Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, dep. 3/07/2014,
Lule, Rv. 259899).
Orbene, nel caso di Francesco Bello, i giudici di merito hanno posto in luce,
da un lato, la gravità del fatto, ovvero la realizzazione di un manufatto di
rilevanti dimensioni e, dall’altro lato, l’assenza di un comportamento
adeguatamente collaborativo, considerata la mancata esecuzione dell’ordine
amministrativo di demolizione del manufatto, giustificata callidamente con
l’assenza un titolo giuridico sull’area e, quindi, sull’immobile. In questo modo,
attraverso il riferimento alla gravità del fatto e alla negativa condotta
conseguente al reato, i giudici di merito hanno adeguatamente motivato la
decisione assunta, conformandosi alla già richiamata cornice di principio.
5. Sulla base delle considerazioni che precedono, il ricorso proposto da
Francesco Bello deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla luce della
sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché
quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende,
equitativamente fissata in 2.000,00 euro.
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41365 del 28/10/2010, dep. 23/11/2010, Straface, Rv. 248737; Sez. 1, n.

Viceversa, quanto al ricorso proposto da Marilena Pedali, la sentenza
impugnata deve essere annullata, senza rinvio, nei suoi confronti, per essersi i
reati estinti per prescrizione.

PER QUESTI MOTIVI
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato ascritto
alla Pedali perché estinto per prescrizione. Dichiara inammissibile il ricorso
proposto da Bello Francesco e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
del procedimento e della somma di euro 2.000,00 (duemila) in favore della

Così deciso in Roma, il 13/09/2017

Il Consigli re estensore

Cassa delle Ammende.

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