Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8058 del 05/02/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 8058 Anno 2014
Presidente: CASUCCI GIULIANO
Relatore: DI MARZIO FABRIZIO

Data Udienza: 05/02/2014

SENTENZA
Sul ricorso proposto da Gaietti Matteo, nato il 22.10.1969, avverso la
ordinanza del GIP del Tribunale di Reggio Calabria del 25.7.2013. Sentita la
relazione della causa fatta dal consigliere Fabrizio Di Marzio; udita la
requisitoria del sostituto procuratore generale Maria Giuseppina Fodaroni,k
quale ha concluso chiedendo che Orovvedimento sia annullato limitatamente
al riconoscimento della sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso; uditi i
difensori dell’imputato, avv.Pasquale Foti e Luigi MariaBellantoni, i quali
chiedono accogliersi il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe la sezione del riesame del Tribunale di Reggio
Calabria, decidendo sull’istanza di riesame proposta nell’interesse diGaietti
Matteoavverso l’ordinanza emessa dal Gip presso quel tribunale in data
24.6.2013 – che aveva applicato al predetto la misura cautelare della custodia
in carcere- ha confermato l’ordinanza impugnata.
L’applicazione della misura è stata motivata con riguardo alla sussistenza di
un quadro di gravità indiziaria per il delitto di cui agli art. 12 quinquies,

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comma 1, I. n. 356 del 1992; art. 7 I. n. 203 del 1991, avendo l’indagato con
più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso e al fine di eludere le
disposizioni in materia di misure di prevenzione patrimoniale:
attribuito fittiziamente a Gaietti Rocco la proprietà del 50% di un bene
immobile e del fabbricato di nuova costruzione eretto sullo stesso
(capo D);
provveduto alla fittizia intestazione aGaietti Rocco della titolarità di un

rapporto di conto corrente bancario relativo alla gestione di un bar
tabaccheria (capo E);
intestato fittiziamente sempre a Gaietti Rocco, e successivamente a
Delorenzo Rocco, il citato esercizio commerciale (capo F);
provveduto alla fittizia intestazione aDlorenzo Roccodella titolarità di
un rapporto di conto corrente bancario relativo alla gestione
dell’esercizio commerciale in parola (capo G).
Nel ricorso presentato si contesta violazione di legge e vizio di motivazione
laddove il tribunale del riesame non avrebbe preso in considerazione le
articolate deduzioni difensive contenute in una corposa memoria, a cui erano
allegate numerose evidenze documentali.
Circa la sussistenza del grave quadro indiziario sulla intestazione fittizia dei
beni si critica, quanto alla imputazione sub D), che il tribunale abbia
valorizzato senza sottoporre ad un sufficiente vaglio critico le dichiarazioni di
Gaietti Rocco, fratello dell’indagato, il quale dichiarò (per poi ritrattare) che
ogni potere dispositivo era rimesso al proprio fratello, svolgendo invece egli
funzione di mero dipendente (nel ricorso si critica da pagina 10 a pagina 12 il
contenuto delle dichiarazioni sottolineandone l’inattendibilità).
Una ulteriore critica concerne l’attribuzione fittizia in comproprietà del
fabbricato di nuova costruzione: rilevandosi come l’effetto giuridico sia stato
determinato dalle regole della accessione e non a titolo derivativo, non
rinvenendosi nessun negozio giuridico di attribuzione del diritto dominicale.
Cosicché verrebbe a tal riguardo meno la condotta delittuosa contestata.
Si contesta inoltre che i giudici del merito abbiano fondato il loro
provvedimento su una mera ipotesi, ossia che l’atto attributivo fosse
finalizzato alla elusione delle disposizioni in materia di prevenzione
patrimoniale; ma non hanno corroborato tale ipotesi con sufficienti evidenze
indiziarie, né hanno replicato alla decisiva argomentazione difensiva per cui,
se tale fosse stata la finalità, non si spiegherebbe come mai la attribuzione in
proprietà si sia limitata al 50% del bene e non all’interezza dello stesso;

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nemmeno si spiegherebbe l’interessamento e l’esposizione in prima persona
dell’odierno ricorrente per le pratiche bancarie e amministrative necessarie
alla nuova edificazione, la cui documentazione reca anche la firma dell’odierno
ricorrente.
Circa la provenienza delle somme per l’acquisto, si segnala come le stesse
siano state oggetto di mutuo bancario: dunque, la provenienza del denaro
sarebbe evidentemente lecita.

di tempo proceduto ad un acquisto immobiliare presso il fratello: il che si
porrebbe in evidente contraddizione con la condotta oggi contestata qualora
alla stessa volesse attribuirsi l’ipotizzata finalità delittuosa.
Con un ulteriore motivo si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione
circa una ulteriore contestazione relativa alla fittizia intestazione sempre a
Gaietti Roccodella titolarità di un rapporto di conto corrente bancario per la
gestione dell’esercizio commerciale ricordato (capo E), lamentando come il
tribunale si limiti a presumere il fatto dell’intestazione fittizia nonché la
provenienza illecita delle somme versate nel suddetto conto corrente,
valorizzando il dato di per sé equivoco dei redditi dichiarati dal Gaietti Rocco,
insufficienti rispetto a tali movimentazioni (tutto infatti sarebbe agevolmente
spiegabile alla luce di condotte di evasione fiscale).
Critiche similari sono rivolte con riguardo alle contestazioni di cui ai capi F e G
della rubrica relative alle false intestazioni del citato esercizio commerciale e
di un conto corrente a Delorenzo Rocco, nipote dell’odierno ricorrente. Si
precisa in particolare che la delega ad operare su detto conto fu rilasciata a
quest’ultimo in ragione della giovane età del nipote, all’epoca appena
diciannovenne, ed è stata in seguito mantenuta giacché in favore non soltanto
del ricorrente ma anche di Gaietti Maria Antonia, madre di Delorenzo Rocco.
Quanto infine al valore indiziario delle conversazioni captate tra il ricorrente e
Sidari Giuseppe, si contesta che il tribunale ne abbia travisato il significato,
svolgendo alternativa ricostruzione del fatto.
Si svolgono a sostegno ulteriori argomentazioni relative a successive vicende
circolatorie del bene immobile, e ciò al fine di dimostrare la criticabilità della
ricostruzione del tribunale circa la sussistenza della gravità indiziaria con
riguardo ai fatti di intestazione fittizia contestati all’odierno ricorrente.
Con il successivo motivo si contesta omessa motivazione circa l’integrazione
dell’aggravante di aver commesso il fatto al fine di agevolare l’attività
dell’associazione mafiosa denominata `ndrangheta, e nello specifico della

Ulteriormente si evidenzia come il ricorrente abbia per altro nello stesso arco

cosca Nasone-Gaietti.
L’ultima doglianza argomenta violazione di legge per omessa motivazione in
ordine alla sussistenza dei presupposti applicativi del divieto di contestazione
a catena affermando la sussistenza di un nesso di connessione qualificata tra i
fatti oggetto del presente procedimento con altro e diverso procedimento (c.d.
Alba di Scilla) da cui è scaturita una prima ordinanza di custodiale, e ciò al
fine della applicazione del principio della retrodatazione della misura cautelare

scarcerazione dell’indagato per il decorso del termine massimo di custodia.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide,
l’ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione
degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo
spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche
soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze
cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti
rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta
l’applicazione della misura cautelare, nonché del tribunale del riesame. Il
controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto all’esclusivo
esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia
rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui
presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) – l’esposizione
delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto
al fine giustificativo del provvedimento. (cfr. Cass. Sez. 6^ sent. n. 2146 del
25.05.1995 dep. 16.06.1995 rv 201840 e, tra le più recenti, Cass. Sez. III,
28.2.2012, n. 12763).
Inoltre il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame
dei provvedimenti restrittivi della libertà personale è diretto a verificare, da un
lato, la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo che
collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza
dell’indagato e, dall’altro, la valenza sintomatica degli indizi. Tale controllo,
stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio ricostruttivo del
fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e
la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la
motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici. In
particolare, il vizio di mancanza della motivazione dell’ordinanza del riesame

ai sensi dell’art. 297 cod. proc. pen., onde determinare l’immediata

in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può essere
sindacato dalla Corte di legittimità, quando non risulti “prima facie” dal testo
del provvedimento impugnato, restando ad essa estranea la verifica della
sufficienza e della razionalità della motivazione sulle questioni di fatto. (Cass.
Sez. 1″ sent. n. 1700 del 20.03.1998 dep. 04.05.1998 rv 210566).
Non possono essere dedotte come motivo di ricorso per cassazione avverso
provvedimento adottato dal tribunale del riesame pretese manchevolezze o

argomentazioni difensive in fatto di cui non risulti in alcun modo dimostrata
l’avvenuta rappresentazione al suddetto tribunale, come si verifica quando
essa non sia deducibile dal testo dell’impugnata ordinanza e non ve ne sia
neppure alcuna traccia documentale quale, ad esempio, quella costituita da
eventuali motivi scritti a sostegno della richiesta di riesame, ovvero da
memorie scritte, ovvero ancora dalla verbalizzazione, quanto meno
nell’essenziale, delle ragioni addotte a sostegno delle conclusioni formulate
nell’udienza tenutasi a norma dell’art. 309, comma ottavo, cod. proc. pen. (v.
Cass. Sez. 1 sent. n. 1786 del 5.12.2003 dep. 21.1.2004 rv 227110).
Tanto precisato, sul caso di specie in ordine ai reati contestati deve rilevarsi
chel ricorso si sollecita una revisione degli elementi materiali e fattuali delle
vicende indagate, compreso lo spessore degli indizi: la qualcosa esula dai
poteri del giudice di legittimità.Invece, in nessun modo si evidenziano
violazione di legge né tantomeno vizi di motivazione.
Del resto, il tribunale espone una motivazione del tutto lineare quando
osserva come, sulla scorta delle iniziali dichiarazioni di Gaietti Rocco,
assolutamente esplicite e chiare nell’affermare la fittizietà delle intestazioni a
suo vantaggio di proprietà immobiliari ed esercizi commerciali invece
riconducibili all’odierno ricorrente (dichiarazioni riscontrate da ulteriori
emersioni istruttorie, comprese le conversazioni intercettate e l’attivismo
dell’odierno ricorrente nell’intrattenere rapporti bancari per la concessione di
mutui con riguardo alle proprietà immobiliari in oggetto), sia agevolmente
desumibile la realtà delle intestazioni fittizie prima al fratello del ricorrente e
poi al nipote di beni, attività commerciali e conti correnti bancari.
Le argomentazioni svolte dalla difesa si limitano a prospettare alternative, ma
nemmeno plausibili, ricostruzioni del fatto, oppure tendono a rendere diverse
interpretazioni del materiale probatorio acquisito agli atti, senza mai
dimostrare l’esistenza di evidenti illogicità nel percorso motivazionale seguito
dal tribunale sempre con attento e coerente richiamo delle emersioni

illogicità motivazionali di detto provvedimento, rispetto a elementi o

istruttorie.
Del tutto irrilevante, evidentemente, è l’osservazione circa l’acquisto da parte
di Gaietti Rocco non a titolo derivativo ma a titolo originario della
sopraelevazione sul bene fittiziamente intestato, essendo tale effetto
apparente reso possibile esclusivamente dall’iniziale atto di intestazione. Di
nessun pregio, inoltre, le ulteriori osservazioni circa l’intestazione pro quota
dei beni e l’attivismo del ricorrente nell’ottenere mutui, o circa il modesto

osservazioni sufficienti ad intaccare la coerenza del quadro indiziario, nel
quale le condotte di fittizia intestazione trovano amplissimo risconto, per
come dettagliatamente ricostruito nel provvedimento impugnato, non solo nei
contraddittori comportamenti tenuti da altri protagonisti della vicenda (come
la donazione da parte di Gaietti Rocco, in difficili condizioni economiche,
dell’esercizio commerciale al nipote) ma soprattutto nelle condotte
economiche tenute dall’odierno ricorrente, il quale operava materialmente sui
conti correnti intestati ai propri familiari, gestiva effettivamente l’esercizio
commerciale intestato prima al di lui fratello e successivamente al proprio
nipote (essendo riconosciuto anche da soggetti terzi come l’effettivo
responsabile dell’attività economica); si relazionava con le banche finanziatrici
per tutto quanto riguardava la proprietà immobiliare formalmente cointestata
anche al fratello Rocco.
Né si mostra fondato il rilievo sulla provenienza illecita dei denari utilizzati:
motivando chiaramente il tribunale circa le movimentazioni rilevate sul conto
corrente intestato ai familiari, del tutto incompatibili con le finanze dei formali
intestatari del rapporto bancario, movimentazioni invece chiaramente riferibili
all’odierno ricorrente il quale risulta inserito in un ambiente familiare e con
frequentazioni personali fortemente caratterizzate da connotati di mafiosità e
dunque altamente significative sul piano indiziario per ritenere che le sostanze
in oggetto siano frutto delle attività criminali della associazione di stampo
mafioso in cui il ricorrente si trova ad operare.
Fondato è invece il motivo sulla mancata motivazione in ordine alla
sussistenza della circostanza aggravante di aver agito con metodo mafioso o
al fine di agevolare l’associazione di stampo mafioso, non riscontrandosi
motivazione sul punto, essendosi limitato il tribunale a ricostruire la realtà
della consorteria mafiosa e poi ad affermare apoditticamente che nel caso di
specie sussisterebbe l’aggravante in parola (v. p. 35 dell’ordinanza
impugnata), senza tuttavia argomentare circa la connessione tra le attività

acquisto immobiliare nei confronti del fratello Rocco, non essendo tali

svolte dall’indagato e l’acclarata associazione di stampo mafioso.
Allo stesso modo, è fondato il motivo sollevato sulle contestazioni a catena.
Benché in sede di conclusioni davanti al tribunale del riesame la doglianza
fosse stata chiaramente formulata, nulla è osservato nella ordinanza
impugnata.Spetterà dunque al tribunale di verificare la fondatezza del motivo,
alla luce della giurisprudenza di questa corte per cui la questione relativa alla
retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare può essere

le seguenti condizioni: a) termine interamente scaduto, per effetto della
retrodatazione, al momento del secondo provvedimento cautelare; b)
desumibilità dall’ordinanza applicativa della misura coercitiva di tutti gli
elementi idonei a giustificare l’ordinanza successiva (Cass. sez. un.
19.7.2012, n. 45246).
Ne discende l’annullamento dell’ordinanza impugnata limitatamente
all’aggravante di cui all’art. 7 d.l. n. 152 del 1991 e alla retrodatazione a
norma dell’art. 297 cod. proc. pen., con rinvio al Tribunale di Reggio Calabria
per nuovo esame sui detti punti.
PQM
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente all’aggravante di cui all’art. 7 d.l.
n. 152 del 1991 e alla retrodatazione a norma dell’art. 297 cod. proc. pen.,
con rinvio al Tribunale di Reggio Calabria per nuovo esame sui detti punti.
Rigetta nel resto il ricorso. Si provveda a norma dell’art. 94, comma 1 ter
disp. att. cod. proc. pen.

Così deliberato il 5.2.2014

dedotta anche nel procedimento di riesame quando ricorrono congiuntamente

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