Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8053 del 09/02/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 8053 Anno 2016
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: CORBO ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
BHUIYAN Abdul Kader, nato in Bangladesh il 04/06/1985

avverso la sentenza del 06/10/2015 della Corte di appello di Ancona

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Antonio Corbo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Maria
Francesca Loy, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa il 6 ottobre 2015, la Corte di appello di Ancona,
confermando integralmente la decisione di primo grado, pronunciata all’esito di
giudizio abbreviato, ha condannato alla pena ritenuta di giustizia BHUIYAN Abdul
Kader per più reati di evasione, unificati tra loro dal vincolo della continuazione,
commessi nelle date del 16, e 17 agosto 2008 e 2 settembre 2008.

Data Udienza: 09/02/2016

2. Ha presentato ricorso per cassazione, l’avv. Maurizio Miranda, difensore di
fiducia dell’imputato, formulando un unico motivo.
Con lo stesso, l’impugnante lamenta, a norma dell’art. 606, comma 1, lett.
b) e c), cod. proc. pen., inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 143 cod.
proc. pen. e della direttiva UE 2010/64/UE del Parlamento europeo e del
Consiglio del 20 ottobre 2010.
La censura deduce che all’imputato non è stato concesso il diritto di farsi
assistere da un interprete, se non nella fase delle indagini preliminari, che

che neppure nel corso dell’istruttoria dibattimentale il giudice ha compiuto una
valutazione delle difficoltà linguistiche del KADER, nonostante questi si fosse
sottoposto ad esame dibattimentale. Si specifica che il ricorrente «parla la lingua
italiana in modo assolutamente elementare, tale da far ritenere che non abbia
pienamente compreso gran parte di quanto gli è stato contestato», e che anzi ciò
induce ad «esprime[re] un evidente dubbio con riguardo alla sua comprensione
della ordinanza di custodia cautelare cui fu sottoposto, e la cui violazione ha
comportato l’imputazione contestatagli».

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. La doglianza proposta non solo attiene in parte a violazioni di legge non
dedotte con i motivi di appello

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comunque sanate, ma, in linea

generale, è priva della specificità richiesta dall’art. 581, comma 1, lett. c), cod.
proc. pen.
Sicuramente le questioni di nullità per omessa traduzione degli atti fino al
deposito o alla notifica della sentenza di primo grado, così come quelle relative
alla omessa assistenza dell’interprete nel corso del giudizio di primo grado,
potevano e dovevano essere dedotte con l’atto di appello, come, invece, non è
avvenuto.
In ogni caso, le doglianze, anche se riferite alla sentenza di appello, e,
quindi, come tali, proponibili mediante ricorso per cassazione, non contengono
gli elementi necessari che consentono di esaminarne la fondatezza.
E’ infatti principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, e che il
collegio condivide, quello secondo cui, in tema di diritto alla traduzione degli atti,
anche dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 4 marzo 2014, n. 32, l’accertamento
relativo alla conoscenza da parte dell’imputato della lingua italiana costituiscevalutazione di merito non censurabile in sede di legittimità, se motivata in
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nessuno degli atti è stato tradotto in una lingua comprensibile al medesimo, e

termini corretti ed esaustivi (cfr., tra le altre, Sez. 2, n. 46139 del 28/10/2015,
Reznikov, Rv. 265213, nonché Sez. F, n. 44016 del 04/09/2014, Vjerdha, Rv.
260997). Significativamente, inoltre, in applicazione del principio indicato, è
risultata immune da vizi una decisione di merito la quale aveva dedotto la
conoscenza della lingua italiana da parte di cittadino straniero sulla base della
confessione da questi resa nel corso del procedimento, e dalla sua permanenza
in Italia da circa due anni (così specificamente, Sez 2, n. 46139 del 2015, cit.).
Nella presente vicenda processuale il giudice di primo grado, prima di

italiana, senza rilevare la necessità di nominare un interprete, e senza che fosse
proposta alcuna richiesta in tal senso dall’imputato o dal suo difensore; né la
questione della necessità di traduzione degli atti è stata sollevata nell’atto di
appello o formalizzata espressamente nel giudizio di appello dal difensore di
fiducia dell’imputato. Vi è da aggiungere che, alla luce delle risultanze in atti, il
BHUIYAN, al momento dell’esame reso davanti al Tribunale, era in Italia già da
non meno di quattro anni.
A fronte di tali circostanze, il ricorrente avrebbe dovuto dedurre specifici
elementi dai quali fosse possibile inferire che la valutazione del giudice di merito
fosse affetta da vizio di motivazione.

5. Alla violazione dell’art. 581 cod. proc. pen., segue, per effetto di quanto
disposto dall’art. 591 cod. proc. pen., l’inammissibilità dell’impugnazione.
Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile
il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento
delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della
Cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in
ragione dei motivi dedotti. Invero, la causa di inammissibilità rilevata non
preclude la condanna del ricorrente al pagamento, oltre che delle spese
processuali, anche di una somma in favore della cassa delle ammende: come
osserva la ormai ampiamente consolidata giurisprudenza di legittimità, l’art. 616
cod. proc. pen. non distingue tra le varie cause di inammissibilità, con la
conseguenza che la condanna al pagamento della sanzione pecuniaria in esso
prevista deve essere inflitta non solo nel caso di inammissibilità dichiarata ex art.
606, comma 3, cod. proc. pen., ma anche nelle ipotesi di inammissibilità
pronunciata ex art. 591 cod. proc. pen. (cfr., in questo senso, cfr., tra le
tantissime, Sez. 6, n. 26255 del 17/06/2015, Degennaro, Rv. 263921, nonché
Sez. 7, n. 27573 del 08/04/2013, Appierto, Rv. 255496; per la soluzione

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emettere sentenza, ha proceduto all’esame dell’odierno ricorrente in lingua

contraria, la più recente pronuncia massimata risulta essere Sez. 6, n. 31435 del
24/04/2012, Ighune, Rv. 253229).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende.

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Così deciso il 9 febbraio 2016

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