Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8049 del 05/02/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 8049 Anno 2014
Presidente: CASUCCI GIULIANO
Relatore: DAVIGO PIERCAMILLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Spadaro Tracuzzi Saverio, nato a Catanzaro il 20/06/1959;
avverso l’ordinanza del 10/10/2013 del Tribunale di Reggio Calabria;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Piercamillo Davigo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Maria
Giuseppina Fodaroni, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato e la
questione di legittimità costituzionale dichiarata manifestamente infondata.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 15.5.2013 il Tribunale di Reggio Calabria rigettò la
richiesta di revoca o sostituzione della custodia cautelare in carcere applicata a
Spadaro Tracuzzi Saverio.

2. L’imputato propose appello ma il Tribunale di Reggio Calabria, con
ordinanza del 10.10.2013 rigettò l’impugnazione.

Data Udienza: 05/02/2014

3. Ricorre per cassazione Sapadaro Tracuzzi Saverio, a mezzo del difensore,
deducendo:
1. vizio di motivazione in relazione alla ritenuta insussistenza di elementi tali
da far ritenere che l’imputato avesse reciso ogni legame con
l’organizzazione malavitosa di riferimento; l’affermazione sarebbe
apodittica e comunque in contrasto con l’orientamento giurisprudenziale
di legittimità prevalente, trattandosi di imputazione di concorso esterno
ed essendo i fatti risalenti al 2010; il pericolo di reiterazone non potrebbe
essere giustificato solo con il richiamo al baglio di conoscenze maturate

organizzata
2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta
sussistenza della presunzione di pericolosità di cui all’art. 275 cod. proc.
pen. che, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata non si
applicherebbe al concorrente esterno in associazione mafiosa; in via
subordinata si riformula la eccezione di legittimità costituzionale, già
proposta nei gradi di merito, dell’art. 275 cod. proc. pen. per violazione
degli artt. 3, 13 comma 1 e 27 comma 2 Cost.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Nel caso in esame il Tribunale ha rilevato che non sussistevano elementi da
cui desumere la dissociazione dell’imputato dai legami con appartenenti al
sodalizio.
In tale motivazione non si ravvisa alcuna manifesta illogicità che la renda
sindacabile in questa sede né vi è alcuna violazione di legge.
Il Tribunale ha ritenuto che il ricorrente fosse stato per un apprezzabile lasso
di tempo a disposizione dell’associazione mafiosa, con intensità di rapporti
imperniati alla logica del do ut des e che possa reiterare i comportamenti (p. 2
ordinanza impugnata).
Tale valutazione è conforme alla considerazione che le associazioni di tipo
mafioso per un verso presentano un elevato grado di stabilità e permanenza nel
tempo e per altro verso non sono circoli dei quali si possa cessare di far parte
semplicemente non rinnovando l’iscrizione o comunicando la disdetta, ma uscire
dai quali, il più delle volte comporta rappresaglie o gravi conseguenze per
l’interessato ed i suoi familiari.
Queste considerazioni talora possono valere anche per il concorrente esterno,
dal quale l’associazione ha ricevuto un apporto e sul quale, secondo le sue regole
e le prassi comportamentali, ritiene di poter continuare a contare in caso di

2

s.,

nello specifico settore delle investigazione in materia di criminalità

bisogno, specie se l’apporto è stato fornito per un notevole arco temporale,
dando origine a rapporti stabili.
Pertanto, ricorrendo siffatta ipotesi, in assenza di segnali di discontinuità nel
comportamento del proposto, non appare in violazione di legge ritenere
l’attualità della pericolosità dell’imputato. (V. Cass. Sez. 2 sent. n. 1023 del
16/12/2005 dep. 12/01/2006 Rv. 233169).
Tale motivazione è idonea anche in relazione alla adeguatezza della sola
custodia in carcere a soddisfare le esigenze cautelari ravvisate.

alla decisione impugnata
Essendo stata ritenuta in concreto il pericolo di reiterazione del reato e
l’adeguatezza della misura, non viene in concreto in rilievo, nell’economia del
provvedimento impugnato, la disposizione di cui all’art. 275 comma 3 cod. proc.
pen., sicché la relativa argomentazione si risolve in un obiter dictum.
Alla luce di tale considerazione è irrilevante la questione di legittimità
costituzionale prospettata.

3 II ricorso deve pertanto essere rigettato.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il
ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento
delle spese del procedimento.
Poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del
ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma 1 ter, delle
disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che copia della stessa
sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi
ristretto perché provveda a quanto stabilito dal comma 1 bis del citato articolo
94.
P.Q.M.

Dichiara non rilevante la questione di legittimità costituzionale dell’art. 275
comma 3 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 3, 13 e 27 Costituzione.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Si provveda ai sensi dell’art. 94 comma 1 ter disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 05/02/2014.

2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato e non correlato

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