Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8043 del 05/02/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 8043 Anno 2014
Presidente: CASUCCI GIULIANO
Relatore: DAVIGO PIERCAMILLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Cosoleto Francesco, nato a Gioia Tauro il 22/02/1978,
avverso l’ordinanza del 23/05/2013 del Tribunale di Reggio Calabria;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Piercamillo Davigo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Maria
Giuseppina Fodaroni, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato
inammissibile.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 6.5.2013 il G.I.P. del Tribunale di Palmi dispose la
misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di Cosoleto Francesco per
associazione per delinquere.

2. L’imputato propose istanza di riesame ma il Tribunale di Reggio Calabria,
con ordinanza del 23.5.2013 rigettò l’impugnazione.

3. Ricorre per cassazione Cosoleto Francesco, a mezzo del difensore,
deducendo:
1. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta
sussistenza di gravi indizi del reato di associazione per delinquere

Data Udienza: 05/02/2014

finalizzata alla perpetrazione di truffe, desunti solo dalla partecipazione ad
una serie di reati fine commessi con l’uso di documenti falsi attestanti
fideiussioni bancarie riprodotti in serie; l’autore delle contraffazioni, sulla
base delle imputazioni provvisorie elevate, sarebbe estraneo al sodalizio;
è possibile che gli autori delle singole truffe si siano rivolti
autonomamente a tale falsificatore e ciò escluderebbe l’esistenza di gravi
indizi di colpevolezza per il reato associativo; mentre al sodalizio
sarebbero riferibili 12 truffe consumate o tentate, a Cosoleto ne è
attribuita una sola, con il relativo falso, ai danni della Veneta Marmi (capi

21.9.2012 al 7.10.2012, a fronte di un’attività dell’associazione iniziata
nel gennaio 2012; gli indizi a carico del ricorrente sarebbero stati tratti da
intercettazioni relative ai reati in danno della Veneta Marmi ed ai rapporti
con Russo Antonio; quanto a tale aspetto l’interpretazione si fonda
sull’assunto che le attività di Russo sarebbero tutte illecite e relative al
sodalizio; le mere frequentazioni non sarebbero indizio di partecipazione
all’associazione; Cosoleto, tramite la moglie svolgeva lecita attività di
rivendita di autovetture; sarebbe errata l’interpretazione dell’uso del
conto corrente intestato a Priolo Giuseppe;la partecipazione ad un’unica
truffa non costituirebbe grave indizio di partecipazione all’associazione;
sarebbe errata l’interpretazione della conversazione fra il ricorrete e Priolo
da cui è stata desunta la qualità di capo di Cosoleto, posto che non viene
valutata la reazione del presunto sottoposto Priolo, il quale chiarisce che
“Ciccio” (in cui è stato individuato il ricorrente) non avrebbe titolo per
parlare in quel modo e per dare ordini;
2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta
esistenza di esigenze cautelari indicate in modo generico; mancherebbe
ogni valutazione in punto di adeguatezza di misure meno afflittive a
fronteggiare le esigenze cautelari ipotizzate.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Entrambi i motivi di ricorso svolgono censure di merito e sono
manifestamente infondati.
È anzitutto necessario chiarire i limiti di sindacabilità da parte di questa
Corte dei provvedimenti adottati dal giudice del riesame dei provvedimenti sulla
libertà personale, che valgono anche nelle ipotesi in cui oggetto di ricorso siano
provvedimenti adottati in sede di appello ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen.
Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide,
l’ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione

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\

E ed F); i rapporti tra il ricorrente e Russo Antonio si sono svolti solo dal

degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo
spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche
soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e
delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel
compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione
della misura cautelare, nonché del tribunale del riesame.
Il controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto all’esclusivo
esame dell’atto impugnato (salva l’estensione ad altri atti specificamente
indicati) al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti,

incensurabile in sede di legittimità: 1) – l’esposizione delle ragioni giuridicamente
significative che lo hanno determinato; 2) – l’assenza di illogicità evidenti, ossia
la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del
provvedimento. (Cass. Sez. 6^ sent. n. 2146 del 25.05.1995 dep. 16.06.1995 rv
201840).
Inoltre il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame
dei provvedimenti restrittivi della libertà personale è diretto a verificare, da un
lato, la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo che
collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell’indagato
e, dall’altro, la valenza sintomatica degli indizi. Tale controllo, stabilito a garanzia
del provvedimento, non involge il giudizio ricostruttivo del fatto e gli
apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e
la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione sia
adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici. In particolare, il vizio di
mancanza della motivazione dell’ordinanza del riesame in ordine alla sussistenza
dei gravi indizi di colpevolezza non può essere sindacato dalla Corte di
legittimità, quando non risulti

“prima facie”

dal testo del provvedimento

impugnato, restando ad essa estranea la verifica della sufficienza e della
razionalità della motivazione sulle questioni di fatto. (Cass. Sez. 1^ sent. n.
1700 del 20.03.1998 dep. 04.05.1998 rv 210566).
Nel caso in esame il Tribunale ha rilevato che l’esistenza del sodalizio era
desumibile dalla perpetrazione di un rilevante numero di truffe attraverso un
vorticoso giro di affari con sottrazione a varie imprese di merce per 950.000,00
euro. Ha affermato che Russo, Cosoleto e Torre Andrea sovraintendevano alla
commissione dei singoli reati e ritenuto la sussistenza dell’affectio societatis. Ha
poi riportato le intercettazioni sulla scorta delle quali ha ritenuto sia la
partecipazione di Cosoleto al sodalizio che la sua qualità di capo.
In proposito va ricordato che è possibile prospettare in sede di legittimità
una interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella
proposta dal giudice di merito soltanto in presenza del travisamento della prova,

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uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto

ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo
difforme da quello reale, e la difformità risulti decisiva ed incontestabile. (Cass.
Sez. 2^ sent. n. 38915 del 17.10.2007 dep. 19.10.2007 rv 237994).
Le esigenze cautelari (ritenute fronteggiabili solo con la custodia in carcere)
sono state desunte dai precedenti penali e di polizia del ricorrente, oltre che
nell’attività delinquenziale dei sodali, sia sotto il profilo del pericolo di
reiterazione di reati della stessa specie, che di intimidazione di testimoni o
distruzione di documentazione.
In tale motivazione non si ravvisa alcuna manifesta illogicità che la renda

svolte propongono una lettura alternativa delle risultanze non consentita in sede
di legittimità.

2. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara
inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al
pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della
Cassa delle ammende della somma di mille euro, così equitativamente fissata in
ragione dei motivi dedotti.
Poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del
ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma 1 ter, delle
disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che copia della stessa
sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi
ristretto perché provveda a quanto stabilito dal comma 1 bis del citato articolo
94.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
Si provveda a noma dell’art. 94 comma 1 ter disp. att. cod. proc. pen.

Così deciso il 05/02/2014.

sindacabile in questa sede né vi è alcuna violazione di legge, mentre le censure

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