Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8033 del 15/11/2012


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 8033 Anno 2013
Presidente: GRASSI ALDO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Barbetta Stefano, nato a Bari il 26.12.1978, avverso l’ordinanza
pronunciata in data 29.3.2012 dal tribunale del riesame di Bari;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Carmine Stabile, che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso;
udito per il ricorrente l’avv. Italia Mendicini del Foro di Bari, che
ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 15/11/2012

Con ordinanza pronunciata il 29.3.2012 il tribunale del riesame di
Bari, adito ex alt. 310, c.p.p. dal pubblico ministero, in
accoglimento dell’appello proposto dal pubblico ministero presso il
indagini preliminari presso il medesimo tribunale aveva rigettato
la richiesta di applicazione della misura cautelare della custodia in
carcere nei confronti, tra gli altri, di Barbetta Stefano in relazione
ai reati di cui ai capi A); B); C); D), E) ed F) dell’imputazione
provvisoria, per carenza di gravi indizi di colpevolezza, disponeva
l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei
confronti del suddetto Barbetta per il solo reato di cui all’ art. 74,
d.p.r. 309/90 (capo A), rigettando l’appello in relazione ai reati
contestati nei rimanenti capi, relativi a singoli episodi di
detenzione e cessione di sostanze stupefacenti.
Avverso tale decisione, di cui chiede l’annullamento, ha proposto
ricorso personalmente l’indagato, articolando plurimi motivi di
impugnazione.
Il ricorrente lamenta, innanzitutto, il vizio di completa assenza
ovvero di contraddittorietà della motivazione in ordine alle
doglianze specificamente prospettate al tribunale del riesame dal
difensore in ordine alla inammissibilità dell’appello del pubblico
ministero, derivante dalla circostanza del carattere aspecifico
dell’appello medesimo, in quanto il pubblico ministero si è limitato
a riproporre al tribunale del riesame le stesse argomentazioni
contenute nella richiesta di misura cautelare rigettata dal giudice
per le indagini preliminari, senza procedere ad una puntuale
contestazione delle ragioni che avevano indotto quest’ultimo a
rigettare la richiesta cautelare.

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tribunale di Bari avverso l’ordinanza con cui il giudice per le

Il ricorrente eccepisce, inoltre, la contraddittorietà della
motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza sotto diversi profili.
Il tribunale del riesame, infatti, ha fondato la propria decisione
singole condotte di detenzione e cessione di sostanze stupefacenti
contestate nei capi B); C); D),

E)

ed F) dell’imputazione

provvisoria, che, tuttavia, non hanno formato oggetto di
delibazione, avendo lo stesso tribunale del riesame dichiarato
inammissibile sul punto l’appello del pubblico ministero; inoltre il
tribunale del riesame, pur riconoscendo la genericità del
contenuto delle menzionate intercettazioni telefoniche, la
giustifica incongruamente alla luce del valore allusivo delle
conversazioni, supponendo il timore degli interlocutori di essere
intercettati, senza indicare in modo convincente, peraltro, le
ragioni che consentono di affermare, nonostante la genericità dei
colloqui intercettati, la sussistenza di uno stabile rapporto
associativo tra i sodali, essendo incongruente, al riguardo, il
riferimento alla continuità ed alla assiduità degli episodi di vendita
della droga sui quali i giudici della cautela non si sono pronunciati,
avendo dichiarato, come già detto, l’inammissibilità, sul punto,
dell’appello del pubblico ministero.
Con il terzo motivo, infine, il ricorrente lamenta la mancanza di
motivazione in ordine alla questione prospettata dalla difesa circa
la inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche aventi ad oggetto
conversazioni tra l’indagato ed il suo difensore di fiducia, ai sensi
dell’art. 103, co. 5, c.p.p., il cui contenuto è stato, invece,
utilizzato dal tribunale del riesame per ritenere integrato il
requisito dei gravi indizi di colpevolezza.

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proprio sul contenuto delle conversazioni intercettate relative alle

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto nell’interesse di Barbetta Stefano appare

Iniziando ad esaminare il primo motivo di ricorso, non può che
evidenziarsene l’inammissibilità per manifesta infondatezza dello
stesso.
Incongruente, infatti, appare il richiamo effettuato dal ricorrente
al vizio del difetto di specificità che, come affermato in diverse
occasioni dalla Corte di Cassazione, rende inammissibile per
genericità dei motivi l’appello proposto dal pubblico ministero se
manca ogni indicazione della correlazione tra le ragioni
argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a
fondamento dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le
affermazioni del provvedimento censurato, come nel caso in cui il
pubblico ministero, per l’illustrazione delle censure, si limiti a
richiamare la richiesta rigettata ovvero il contenuto del proprio
precedente provvedimento di fermo o una memoria prodotta nel
giudizio di primo grado, senza indicare i punti di fatto e le
questioni di diritto rimesse alla cognizione del giudice
dell’impugnazione (cfr. Cass., sez. VI, 16/10/2008, n. 39926, A.,
rv 242248; Cass., sez. IV, 03/07/2007, n. 34270, S., rv 236945;
Cass., sez. III, 05/05/2010, n. 29612, rv 247741).
Ed invero nel caso in esame, tale vizio, come evidenziato dal
tribunale del riesame, inficia soltanto l’appello cautelare del
pubblico ministero nella parte riguardante le ipotesi di reato di cui
ai capi B); C); D), E) ed F) dell’imputazione provvisoria, in
relazione alle quali l’organo della pubblica accusa si è limitato ad

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infondato e, pertanto, va rigettato.

effettuare un mero rinvio al contenuto della originaria richiesta di
applicazione della misura cautelare della custodia in carcere
formulata il 26.11.2010 e rigettata dal giudice per le indagini
preliminari presso il tribunale di Bari (cfr. p. 4 dell’impugnata

Con riferimento invece all’ipotesi associativa di cui al capo A) della
contestazione provvisoria, come si evince dal testo dell’impugnata
ordinanza, nell’atto di appello il pubblico ministero, lungi dal
limitarsi a richiamare la propria precedente richiesta cautelare, ha
operato una puntuale ed analitica esposizione degli elementi di
fatto e di diritto che, secondo la sua prospettiva condivisa dal
tribunale del riesame, consentono di ritenere dimostrata, ai fini
della integrazione del requisito dei gravi indizi di colpevolezza
richiesto dall’art. 273, c.p.p., l’esistenza di una “stretta e stabile
collaborazione” tra gli indagati Barbetta Stefano, Huqi Shaban e
Santoro Sante, qualificabile in termini di vincolo associativo ex art.
74, d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, consistenti, sinteticamente, nei
“contatti stabili e quotidiani tra le stesse persone”; nella
“riconosciuta autorità del Barbetta sugli altri due”; in un “ordine
quasi gerarchico esistente nel pur piccolo gruppo di sodali”,
contestando, nel contempo, l’omessa valutazione da parte del
giudice per le indagini preliminari del contenuto di molteplici
conversazioni oggetto di captazione, che “a dispetto della
genericità dei dialoghi miranti essenzialmente ad una attività di
coordinamento tra gli odierni indagati sul dove e quando
incontrarsi”, fanno emergere “un previo accordo criminoso tra gli
stessi mirante alla realizzazione delle operazioni di spaccio
quotidiane di droga sul territorio” (cfr. pp. 2 e 3 dell’ordinanza
impugnata).

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ordinanza).

Ne può tacersi che, come si ricava sempre dal testo
dell’impugnata ordinanza (p. 3), in sede di procedimento
cautelare la difesa chiedeva il rigetto dell’appello del pubblico
ministero, eccependone la aspecificità, solo in relazione ai capi B);
relazione al capo A), per cui tale questione di diritto, ai sensi
dell’art. 606, co. 3, c.p.p., non può essere sollevata per la prima
volta con il ricorso per Cassazione.
Quanto al secondo motivo di ricorso, va osservato che dalla
pronuncia sulla inammissibilità dell’appello del pubblico ministero
per genericità dei motivi adottata dal tribunale del riesame in
ordine ai singoli episodi di detenzione e cessione di sostanze
stupefacenti contestati al Barbetta non può farsi discendere, come
preteso dal ricorrente, l’impossibilità di prendere in considerazione
il contenuto delle conversazioni oggetto di captazione ad essi
relative e di fondare su tale contenuto la decisione sull’appello del
pubblico ministero riguardante il reato associativo di cui al capo
A), trattandosi di una pronuncia meramente processuale che non
si traduce in una censura di inutilizzabilità del materiale raccolto
nel corso dell’attività di indagine, che resta pienamente utilizzabile
nei limiti in cui il gravame del pubblico ministero è stato ritenuto
ammissibile.
Infondata appare anche la doglianza sulla inadeguatezza della
motivazione a proposito della ritenuta sussistenza del vincolo
associativo tra il Barbetta e gli altri sodali in precedenza indicati,
che, a ben vedere, sembra collocarsi ai confini dell’inammissibilità.
Come è noto, infatti, in tema di impugnazione dei provvedimenti
in materia di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione è
ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme

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C); D), E) ed F) dell’imputazione provvisoria, ma non anche in

di legge ovvero la manifesta illogicità della motivazione del
provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto,
ma non anche quando propone censure che riguardino la
ricostruzione dei fatti ovvero che si risolvano in una diversa

Cass., sez. V, 8.10.2008, n. 46124, rv. 241997).
In materia di provvedimenti de libertate,

infatti, la Corte di

Cassazione non ha alcun potere di revisione degli elementi
materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo
spessore degli indizi, né di rivalutazione delle condizioni
soggettive dell’indagato, in relazione alle esigenze cautelari e
all’adeguatezza delle misure, trattandosi di apprezzamenti di
merito rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice
che ha applicato la misura e del tribunale del riesame. Il controllo
di legittimità è quindi circoscritto all’esame del contenuto dell’atto
impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo
hanno determinato e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti,
ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine
giustificativo del provvedimento (cfr. Cass., sez. IV, 3.2.2011, n.
14726, D.R.), essendo sufficiente ai fini cautelari un giudizio di
qualificata probabilità in ordine alla responsabilità dell’imputato”
(cfr. Cass., sez. II, 10.1.2003, n. 18103, rv. 224395; Cass., sez.
III, 23.2.1998, n. 742).
Orbene il tribunale del riesame di Bari ha senza dubbio operato
un’autonoma valutazione sulla sussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza e delle esigenze cautelari, in relazione alla posizione
del Barbetta, dando vita ad un’ordinanza dal contenuto esaustivo
e logicamente coerente.

7

,4

valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (cfr.

Analizzando i risultati delle numerose conversazioni intercettate,
infatti, il tribunale del riesame ha evidenziato l’esistenza di
frequenti e costanti contatti telefonici tra gli indagati ed, in
particolare, tra il Barbetta ed il Santoro, al quale il primo

della droga, che il sodale comunicava quasi immediatamente allo
Huqi, incaricato della fase esecutiva, nel corso dei quali essi
utilizzavano un linguaggio volutamente allusivo per premunirsi
contro il rischio di eventuali intercettazioni da parte delle forze
dell’ordine, modalità espressiva che, per altro verso, stante la
piena comprensione, da parte degli interlocutori, del significato
delle espressioni da essi utilizzate nelle conversazioni in
questione, dimostra la piena consapevolezza di questi ultimi
dell’oggetto (illecito) dei loro discorsi e l’abitualità dei loro rapporti
(cfr. pp. 4-7 dell’impugnata ordinanza).
A conferma dell’ipotesi accusatoria il tribunale del riesame si
sofferma su circostanze ulteriori che oggettivamente
contribuiscono a rafforzare la valutazione compiuta sul contenuto
delle conversazioni intercettate, sottolineando, in particolare,
l’importanza dei sequestri effettuati dalla polizia giudiziaria nei
confronti dei clienti che venivano riforniti quotidianamente dagli
indagati e l’avvenuto arresto del Santoro e dell’Huqi mentre, in
data 26.3.2010, viaggiavano a bordo di un’autovettura tipo
“Smart”, tg. CE 904 DA, nella quale trasportavano centoventisette
involucri contenenti 48,3 grammi di cocaina e settantuno involucri
contenenti 24,5 grammi di eroina, autovettura in uso anche al
Barbetta, che a bordo di essa venne arrestato in flagranza in data
30.4.2009 per violazione alla sorveglianza speciale della pubblica

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impartiva le necessarie direttive in ordine all’attività di vendita

sicurezza e trovato in possesso di due telefoni cellulari e di una
pistola.
Sempre a bordo della medesima autovettura, inoltre, viaggiavano
l’Huqi, quando, in data 17.12.2009, venne sottoposto a fermo

del tipo cocaina ed eroina, ed il Santoro, allorché, unitamente a
tale Hitachi, venne tratto in arresto in flagranza per spaccio di
droga, il che avvalora la tesi sostenuta dal tribunale del riesame
sulla stabile destinazione dell’autoveicolo alle finalità illecite del
sodalizio, in quanto di esso si servivano i consociati per i loro
spostamenti e per il trasporto delle sostanze stupefacenti di cui
facevano illecito commercio (cfr. pp. 7-8 dell’impugnata
ordinanza).
Infine, ancora una volta con motivazione approfondita ed immune
da vizi, il tribunale del riesame rileva come le conversazioni
intercettate facciano emergere il ruolo preminente svolto dal
Barbetta all’interno del sodalizio, occupandosi personalmente il
ricorrente di attivare l’avvocato che provvedesse alla necessaria
assistenza legale del Santoro e dell’Huqi nelle diverse occasioni in
cui questi ultimi vennero fermati (il 6.3.2010) e poi arrestati (il
26.3.2010) dalle forze dell’ordine; di procurare loro gli indumenti
di prima necessità in carcere; di fornire alla fidanzata dell’Huqi il
necessario ausilio per consentirle di accedere ai colloqui in carcere
con quest’ultimo (cfr. pp. 9-10 dell’impugnata ordinanza).
A fronte di tale consistente quadro dì gravità indiziaria delineato
nei confronti del ricorrente, l’impossibilità di utilizzare a suo
carico, per violazione dell’art. 103, co. 5, c.p.p., l’intercettazione
telefonica n. 309 del 17.2.2010, ore 19.13.56, l’unica avente ad
oggetto una conversazione tra il Barbetta ed un suo difensore

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perché trovato in possesso di nove dosi di sostanze stupefacenti

attinente all’assistenza legale fornita al Barbetta stesso, in cui i
due uomini discutono della condotta tenuta dall’indagato in
occasione dell’arresto cui venne sottoposto il 30.4.2009, appare
assolutamente irrilevante in quanto, alla luce dei principi elaborati

resistenza”, pur escludendo dal compendio indiziario tale
intercettazione, l’ulteriore materiale indiziario raccolto contro il
Barbetta appare assolutamente idoneo a rappresentare i gravi
indizi di colpevolezza richiesti dall’art. 273, c.p.p. (cfr. Cass., sez.
VI, 10/10/2011, n. 45880, C., rv 251182).
La decisione del tribunale del riesame, infine, appare
assolutamente conforme, quanto all’esistenza del reato
associativo, ai principi da tempo affermati in subiecta materia
dalla Corte di Cassazione.
Ed invero, come è noto, in tema di delitto associativo ex art. 74,
d.p.r. 9.10.1990, n. 309, la prova del vincolo permanente tra i
consociati, nascente dall’accordo associativo, può anche essere
data per mezzo dell’accertamento di “facta concludentia”, quali,
come nel caso di specie, i contatti continui tra gli spacciatori, i
beni necessari per le operazioni delittuose (l’autovettura
“Smart”); le forme organizzative utilizzate, sia di tipo gerarchico
che mediante divisione dei compiti tra gli associati; la
commissione di reati rientranti nel programma criminoso e le loro
specifiche modalità esecutive (cfr. Cass., sez. IV, 7.2.2007, n.
25471; Cass., sez. IV, 21.4.2006, n. 22824).
Il vincolo associativo, naturalmente, può unire tutti coloro che, a

vari livelli e con modalità diverse, contribuiscono alla realizzazione
del programma criminoso, che, in ultima analisi, si riduce alla
realizzazione, da parte di tre o più persone, in forma organizzata,

Io

dalla giurisprudenza di legittimità in tema di cd. “prova di

di una delle condotte criminose previste dall’art. 73, d.p.r.
9.10.1990, n. 309.
Ne consegue che l’associazione in parola è configurabile sia nel
caso di unione parallela di più persone accomunate, come il
profitto societario tramite il commercio della droga, sia nell’ipotesi
del vincolo che accomuna, in maniera durevole, il fornitore di
droga alla rete di acquirenti che, in via continuativa, la ricevono
per immetterla sul mercato, anche se a tal fine non si può
comunque prescindere dal provare l’effettivo contributo offerto
dal singolo alla realizzazione degli scopi propri dell’associazione
(cfr. Cass., sez. VI, 31.10.2007, n. 10790).
Orbene, proprio in applicazione di tali principi, frutto della
costante elaborazione della giurisprudenza di legittimità, il
tribunale del riesame, come si è detto, ha ritenuto sussistente
l’organizzazione a delinquere stabilmente finalizzata al traffico di
rilevanti quantitativi di sostanza stupefacente del tipo cocaina ed
eroina, destinati alla vendita in territorio pugliese, di cui al capo
A), dotata di mezzi, anche economici, per l’acquisto ed il trasporto
della droga ed organizzata secondo una precisa ripartizione di
ruoli tra gli associati, in cui il Barbetta ha assunto un ruolo apicale
per il raggiungimento della comune finalità illecita, consistente
nella esecuzione del pactum sceleris.
Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso proposto
nell’interesse di Barbetta Stefano va, dunque, rigettato, con
conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese
del procedimento.
P.Q.M .

11

Barbetta ed i suoi sodali, dall’identico interesse di realizzazione del

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso in Roma il 15.11.2012

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