Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8028 del 22/01/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 2 Num. 8028 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: IANNELLI ENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CREA DOMENICO N. IL 28/08/1951
ATTINA’ PAOLO N. IL 23/05/1960
FAMILIARI ANGELA N. IL 28/09/1959
CREA ANTONIO N. IL 11/10/1978
CREA ANNUNZIATA N. IL 11/03/1988
avverso la sentenza n. 1605/2011 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 15/12/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ENZO IANNELLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 22/01/2014

-1- Crea Domenico , Crea Antonio e Attinà Paolo ricorrono, tramite difensori,
avverso la sentenza della corte di appello di Reggio Calabria datata 15.12.2012/
13.6.2013, che, in riforma della sentenza di primo grado- Tribunale della stessa città
in data 22.10.2010- previa declaratoria di assoluzione e/o doversi procedere per
alcuni reati, rideterminava le pene del primo per i delitti in continuazione di concorso
esterno in associazione mafiosa, di falso ideologico, di abuso di ufficio e di truffa
aggravata ex artt. 81 cpv. 110-416 bis, 323,479, 640 bis c.p.- capi A,H,K e Q dell’
imputazione- in anni sette e mesi sei di reclusione, del secondo in anni sei ,mesi tre di
reclusione per i delitti in continuazione, di falso ideologico, e di truffa aggravata ex
art, 81 cpv, 323, 479, 640 bis c.p. — capi N), 0), P), Q), S) — determinava per il terzo,
Attinà Paolo, già assolto in primo grado, per il delitto di associazione a delinquere di
stampo mafioso ex artt. 416 bis c.p. — capo A) – la pena di anni sei di reclusione. Crea
Domenico Crea Antonio e,quali terze interessate, Familiari Angela e Crea
Annunziata ricorrono, ancora, contro la parte della sentenza che ha disposto la
confisca di beni – la srl RSA ( residenza sanitaria assistita) villa Anya- oggetto del
sequestro preventivo in fase di indagini preliminari.

-2- In breve i fatti come rappresentati dai giudici di appello
A) L’ associazione a delinquere ex art. 110 – 416 bis c.p. contestata a Crea
Domenico ed ex art. 416 bis c.p. contestata ad Attinà Paolo.
A seguito di una capillare, mirata analisi e valorizzazione, tra l’altro, di deposizioni
di ufficiali di P.G., quali Coppolino, Palmieri e Triolo, conversazioni intercettate,
anche in altri procedimenti contro uomini di `ndrangheta, tra Crea Domenico, Crea
Antonio, ed una numerosissima serie di personaggi, tra gli altri, per quel che in
questa sede rileva, Attinà Paolo, componente della cosca Zavettieri-PangalloMaesano sul territorio di Roghudi- Roccaforte, ed ancora altri componenti in tesi
intranei o in qualche modo contigui, collegati alle cosche Talia di Bova marina e
Cordì di Locri, quest’ ultima coinvolta in una faida sanguinosa con la contrapposta
cosca dei Cataldo, Errante Giuseppe, intraneo alla cosca Talia di Bova Marina, – la
caratura mafiosa di molti dei predetti personaggi sarebbe stata accertata con sentenze
anche passate in giudicato nei proc. cd. Armonia, Bellu lavoru”, Primavera, Nuovo
Potere -, i giudici di merito collocano il predetto Crea Domenico, già consigliere

Letti gli atti, la sentenza impugnata, i ricorsi;
Udita la relazione del cons. Enzo Jannelli;
Udite le conclusioni del S. Procuratore generale, Pietro Gaeta, che chiede per i capi
H e K l’annullamento senza rinvio perché i reati sono estinti per prescrizione, con
eliminazione della pena erogata, il rigetto nel resto per tutti gli altri capi;
Udite le conclusioni dei difensori delle parti civili e degli imputati, rispettivamente,
l’avv. Maria Elena Mancuso per la Regione Calabria, l’ avv. Domenico Doldo per l’
azienda ospedaliera, l’avv. Marino Punturieri per Paolo Attinà, l’avv. Antonio
Managò per Crea Domenico e Crea Antonio, come da verbale di udienza..

2

regionale da più legislature, in una posizione centrale, con un ruolo dinamicofunzionale, di coagulo dei vari interessi mafiosi, nel campo occupazionale, degli
appalti,degli interessi economici in genere delle `ndrine del basso versante ionico
della Calabria , per il potenziamento del prestigio e della influenza in occasione
delle varie tornate elettorali,a partire dal 1998 fino al 2008, in specie delle elezioni
regionali in Calabria del 2005. Un tipico patto elettorale politico — mafioso le
sentenze di merito configurano tra Crea Domenico e vari esponenti delle ‘ ndrine che
si impegnano a procurare voti al già consigliere regionale in cambio non già solo di
favori sul piano personale, ma per favorire gli interessi delle associazioni criminali
nel territorio calabrese, nel quadro di una logica clientelare-spartitoria, non
occasionale, ma radicata e stabile attraverso l’ acquisizione del controllo di attività
economiche, di appalti, servizi pubblici con particolare riferimento alla gestione del
settore della sanità pubblica della Regione Calabria, con la divisata collocazione dell’
imputato all’assessorato della sanità, l’assunzione di persone appartenenti o contigui
ai sodalizi criminali, la costituzione di progetti con finanziamenti pubblici da
assegnare ai vari accoliti delle cosche.
Non mancano,ancora, i giudici di appello di rilevare il più ampio spettro sul piano
della prova acquisito rispetto a quello evidenziato nel parallelo processo contro altri
coimputati, assolti con sentenza, in abbreviato, della stessa corte di appello, pur
condividendo il dato evidenziato nel parallelo giudizio abbreviato, contro i coimputati
del delitto ex art. 416 bis c.p., della insussistenza di un accordo federativo tra le
cosche Morabito – Zavattieri di Africo e Roghudi, Cordì di Locri e Talia di Bova
Marina. Ai fini della ritenuta colpevolezza del Crea Domenico, i giudici dell’appello
valorizzano i legami tra l’ imputato e le singole cosche, attraverso i rapporti con
persone ad esse collegate. Questa specifica rappresentazione e valutazione del
collegamento non colliderebbe, ma anzi sarebbe assorbita e contenuta nel tema di
indagine fissato dal capo di imputazione: il patto criminoso con le tre cosche
confederate,anche una volta escluso, lascerebbe pur sempre residuare il patto
politico-mafioso con le singole cosche. In proposito i giudici di merito valorizzano
conversazioni intercettate, anche tra terze persone,coinvolgenti Vadalà Antonino,
Altomonte Sebastiano e Pansera Giuseppe ma anche di altri, per i quali era
intervenuta sentenza di assoluzione nel parallelo processo con rito abbreviato, quale
Gangemi Leonardo, ovvero i fratelli Marcianò, assolti dal delitto dell’ on. Fortugno,
Giuseppe Errante e altri.
Particolare attenzione viene riservata dai giudici di appello alla posizione di Attinà
Paolo, anch’egli assolto in primo grado insieme a tutti gli altri coimputati del delitto
associativo. Le determinazioni giudiziali sono ribaltate nel grado successivo in forza
di elementi nuovi sopravvenuti. La posizione dell’ imputato era stata stralciata dal
giudizio ” Nuovo Potere”, era stata fatta confluire nel procedimento de quo per la
ritenuta compatibilità della contestazione nei due procedimenti. Dall ‘ esame delle
conversazioni intercettate i giudici di appello traggono dell’ Attinà il ruolo centrale e
referente nella cosca mafiosa Zavettieri- Pangallo-Maesano di Roghudi, con il grado
di ” basista”, in grado di influenzare e controllare l’ elettorato nell’ambito del
territorio di dominio della cosca di appartenenza.. I colloqui intercettati tra il predetto

B) I delitti di falso , di abuso e di truffa — capi H), K) e Q) . contestati a Crea
Domenico e la truffa anche a Crea Antonio.
1) I reati di falso e di abuso contestati al capo H) dell ‘imputazione hanno
riferimento ad una serie di condotte poste in essere da funzionari dell’assessorato
ragionale della sanità calabrese e dell’ASL di Reggio Calabria, con il concorso
morale dell’ imputato Crea Domenico, funzionali alla storno illegittimo di
finanziamenti previsti in bilancio per la spesa farmaceutica in vantaggio della spesa
assistenziale e, in stretta connessione temporale, alla definizione della procedura
questa funzionale alle autorizzazioni necessarie all’ esercizio ed all’accreditamento
della clinica Villa Anya, gestita da Crea Domenico ed il figlio Antonio, quale
residenza sanitaria assistita, e centro di riabilitazione estensiva , nonché alla stipula
del contratto tra la struttura ASL n. 11 di Reggio Calabria e la predetta Villa Anya
avente ad oggetto, per l’appunto, le prestazioni in regime residenziale e/o
semiresidenziale di ricovero, cura ed assistenza retribuite anche con il contributo
della Regione Calabria. I giudici del! ‘appello, rilevata l’ implementazione del
compendio probatorio rispetto a quello confluito nel parallelo giudizio abbreviato nei
confronti dei computati pubblici funzionari, molti peraltro assolti, valorizzano le
testimonianze dell’assessore alla sanità Doris Lo Moro, del vice Prefetto
commissario straordinario dell’ Asl 11 di Reggio Calabria Giuseppe Priolo, nonché
del capitano CC Palmieri, e ravvisano la falsità ideologica, la violazione di legge e l’
ingiustizia del profitto nelle numerose irregolarità formali della procedura funzionale
allo storno della spesa prevista in bilancio per il settore farmaceutico e trasferito nel
settore assistenziale, nella sorprendente rapidità delle procedure finalizzate alla
stipula del contratto tra l’ ASL 11 di Reggio Calabria e Villa Anya, alle cui
prestazioni assistenziale era finalizzato lo storno deliberato della somma, euro
cinquecentomila, al settore della assistenza non ospedaliera, tale da configurare una
3

e Crea Antonio sarebbero, ad avviso dei giudici di appello, non equivoci nel senso
che la finalità dell’elezione del padre di quest’ ultimo, Domenico, al consiglio
regionale mirava ad un ” ritorno” sia in termini economico- finanziari sia di
accrescimento del potere sull’ elettorato di riferimento attraverso l’ acquisizione di
posti di lavoro, capaci di potenziare il “rispetto” della associazione di appartenenza.
In particolare in grado di appello, in seguito alla disposta rinnovazione istruttoria
dibattimentale, sono state acquisite le dichiarazioni del collaboratore di giustizia,
Mesiano Carlo, le trascrizioni delle conversazioni ambientali e telefoniche captate in
due procedimenti ” Nuovo Potere” e ” Bellu lavoru”, le dichiarazioni del
Maresciallo Triolo in merito al conflitto ed alla successiva composizione della faida
tra la cosca di Roccaforte del Greco, facente capo a Pangallo Francesco e la cosca
Zavattieri del paese di Roghudi.: ebbene da un tale,coacervo probatorio, in specie dal
contenuto delle numerose conversazioni intercettate, era emerso, opinano i giudici
di merito, il pieno coinvolgimento di Paolo Attinà, “u lepru”, intraneo alla cosca
Zavetteri, facente capo a Maesano Giovanni, con il grado di “basista”,nella attività di
raccolta dei voti, in stretto collegamento con il Crea Antonio, figlio di Domenico, in
favore di quest’ ultimo e nell’ interesse del gruppo associativo di appartenenza

C) I delitti di falso ideologico — capi N),0), P, ed S attribuiti, insieme al delitto di
truffa di cui al capo Q, a Crea Antonio
Crea Antonio, assolto dal delitto di associazione a delinquere di stampo mafioso già
in primo grado, è stato condannato con doppia conforme,e nella sua specifica qualità
4

vera e propria gestione privatistica della cosa pubblica, tra l’altro evidenziata dal
frenetico attivismo del Crea, a stretto contatto con i responsabili della procedura,
“latore personale di comunicazioni ed atti” di questa, talvolta immediatamente
recapitati personalmente ai pubblici ufficiali, in un contesto di rapporti personali e
incroci di reciproci interessi”.
2) Il reato di falsità ideologica di cui al capo K è attribuito al Crea quale
istigatore concorrente morale degli atti realizzati dai componenti della commissione
incaricata di accertare il possesso dei requisiti minimi generali e specifici della villa
Anya richiesti dal D.P.R. 14.1.1997 e dal DGR n. 133/1999 del’ Asl 11 di Reggio
Calabria per ottenere l’autorizzazione all’ esercizio ed il successivo accreditamento
quale RSA, RSA/M. – acronimi per resistenza sanitaria assistenziale/ medicalizzata e centro per la riabilitazione estensiva. Le attestazioni relative conseguivano ai
sopralluoghi dell’ 8.11.2004, dell’ 11.4.2005 e del 20.6.2005. Con riferimento alle
due prime attestazioni — costitutive anche delle imputazioni di cui ai capi D) e G)
sotto i diversi profili afferenti rispettivamente al rilascio del nulla – osta alla’apertura
dei Villa Anya ed al successivo accreditamento della struttura presso il servizio
sanitario pubblico- è stata dichiarata la prescrizione del reato ,non invece con
riferimento all’attestazione in seguito al sopralluogo del 20.6.2005. Il predetto
sopralluogo conseguiva ad un atto ispettivo dei NAS che, in seguito ad un loro
accesso in data 4.1.2006, avevano riscontrato la mancanza di due requisiti strutturali
— relativi alla camera ardente ed alla mancanza dei maniglioni di appoggio nei vari
servizi igienici – condizionando così l’ abbrivio di una procedura volta a far
intervenire gli organi ispettivi dell `As1 n. 11 di R.C., per l’appunto la commissione
per la verifica dei requisiti minimi di cui al D.P.R. 14.1.1997. La commissione con
nota 22.3.2006 comunicava al Direttore del dipartimento territoriale l’avvenuto
sopralluogo che però i giudici di merito ritenevano insussistente e per la mancanza
del verbale relativo e per il tenore delle conversazioni intercettate tra il Crea ed i
componenti della commissione che si dimostrano proni ai desiderata del!’ imputato
quanto a modalità e tempi della programmata visita ispettiva.
3) Crea Domenico e Crea Antonio, quali gestori di fatto l’ uno,di diritto l’altro,
della casa di cura villa Anya, sono stati ritenuti responsabili della truffa — capo Q – ai
danni della Regione consistita nel richiedere ed ottenere il rimborso della retta
giornaliera prevista per le prestazioni assistenziali a persone che invece nei giorni di
riferimento non ne avevano usufruito per non essere presenti nella struttura. La prova
sarebbe consistita da non equivoche conversazioni intercettate che deporrebbero per
l’assenza di Tavilla Giovanni, Scaramozzino Pasquale Paviglianiti Cosimo, tale
Aricò in giorni in cui il loro nome però era annotato agli elenchi delle presenze
allegati alla fatture emesse dalla RSA nei confronti della azienda ospedaliera

D) Quale conseguenza obbligata della ritenuta responsabilità di Crea Domenico
per il delitto ex art. 416 bisc.p. i giudici di merito hanno disposto la confisca ex art.
12 sexies 1. n. 356/1992 della s.r.l. Villa Anya, ritenendo che, al di là della formale
intestazione delle quote sociali , a Crea Antonio, a Familiari Angela e Crea
Annunziata, l’effettivo proprietario e dominus della struttura fosse il Crea Domenico,
l’ unico soggetto che si era prodigato per la costituzione della società, effettivo
gestore della struttura sanitaria, unico interlocutore con i soggetti deputati al controllo
ed alla verifica dei requisiti necessari per la costituzione e la gestione della società. I
giudici di merito,di primo e secondo grado, poi procedono ad una accurata analisi in
merito alla provenienza del denaro necessario per la costituzione della società e per la
realizzazione della struttura, pervenendo alla convinzione della provenienza non
legittima, dalla data di costituzione della società – 20.12.2001- alla data di inizio delle
effettiva attività- 2005-, delle risorse economiche serventi la nascita e il
funzionamento della struttura.
-3- Le ragioni di doglianza della difesa con riferimento al delitto associativo
attribuito a Crea Domenico.
a) Il difensore, avv. Antonio Managò, denuncia violazione degli artt.
415 bis, 191 e 603 c.p.p. per avere la corte di appello fondato la sua decisione su una
congerie di atti ,nella disponibilità del P.M. alla data della chiusura delle indagini
preliminari il 23.10.2008, e pur non depositati malgrado l’ onere, facente capo all’
organo dell’accusa, di depositarli, invece, perché in suo possesso, pena la
compromissione del diritto di difesa, tra l’altro, ai fini di porla, la difesa, nella
possibilità di una compiuta valutazione ai fini della scelta di riti alternativi. La difesa
si impegna poi ad indicare partitamente gli atti investigativi non depositati: le
dichiarazioni del collaboratore Mesiano Carlo del 6.6.2007, le intercettazioni relative
ai procedimenti ” Bellu Lavuru, ” Nuovo Potere” ed “Armonia”, tra le quali si
indicano le conversazioni tra Proscenio Arnaldo e Pangallo Giovanni, quelle tra
5

di Direttore sanitario della RSA Villa Anya, per una serie di delitti di falso, in
particolare per avere istigato il componente della Unità di valutazione geriatrica
istituita dalla ASL n. 11 di R.C. , ad attestare falsamente di aver sottoposto a visita i
pazienti Magro Carmela, Crea Paola, Gullì Giovanna e Vadalà Antonia – capo N -,
per aver attestato falsamente nel diario clinico dell’ 11.2.2006 di aver trasferito una
paziente al pronto soccorso di Melito Porto Salvo, allorchè la predetta alle ore 18,45
era deceduta — capo O – , ancora per avere ancora attestato nel diario clinico del
18.6.2006 il trasferimento del degente Marrapodi Aurelia che al momento del
trasferimento era deceduta — capo P -, per avere infine attestato nel diario clinico
dell’ 8.6.2006 la propria presenza presso la struttura sanitaria Villa Anya al momento
dell’annotazione a sua firma del trasferimento della paziente Falcone Maria al pronto
soccorso di Melito Porto Salvo — capo S -. Le fonti di prova sono costituite da
conversazioni intercettate il cui contenuto era incompatibile con le circostanze
attestate negli atti richiamati

6

Mauro Mario Domenico e Nucera Giuseppe, quelle intercettate sull’utenza telefonica
di Attinà Paolo, ancora la conversazione tra Tana ed Idà Massimo, tra Domenico e
Paolo Attinà, l’ informativa del 27.8.2008 n. 58/08-118-2004 nel proc. “Nuovo
Potere”. Peraltro tale articolato compendio investigativo non avrebbe potuto essere
acquisito in dibattimento, con l’ ordinanza dibattimentale del 30.11.2012, ai sensi
dell’art. 603 codice di rito a pena, proprio per la preesistenza degli elementi di prova
all’atto della celebrazione della udienza preliminare, di privare di ogni contenuto ed
efficacia la disciplina in ordine alla inutilizzabilità degli atti.
b)Sotto altro contiguo profilo il secondo difensore, avv. Nico D’Ascola,
denuncia la violazione degli artt. 178 comma 1 lett. a), 180. 185 comma 1 e 3 codice
di rito, in quanto correlati agli artt. 3,24 e 111 cost. per l’ illegittimità del decreto del
rinvio a giudizio intervenuto all’ esito della udienza 27.1.2009, eccezione ribadita
dinanzi al giudice del dibattimento ed in sede di appello. Era accaduto che alla
udienza del gip del 15.1.2009, pur preannunciate in una udienza precedente, il P.M.
depositava le trascrizioni delle udienze di un procedimento penale, pendente davanti
alla corte di assise di Locri, relativo all’ omicidio di Francesco Fortugno. A fronte
della eccezione difensiva che rilevava l’ impossibilità di esaminare 8.886 pagine, tra
l’altro con 230 deposizioni testimoniali, il P.M. all’ udienza del 15 -1-2009 riduceva
gli atti ed il gip all’ udienza successiva del 19.1.2009 ammetteva la trascrizione di
sole sette deposizioni testimoniali. Ritiene il difensore che si sia contratto
indebitamente il diritto di difesa per essere stata ultimata, alla data — Ottobre 2008 della chiusura delle indagini preliminari del procedimento contro, tra gli altri, Crea
Domenico, la fase dibattimentale dedicata alla formazione della prova nel
procedimento ad oggetto l’ omicidio Fortugno, residuando solo la fase della
discussione dibattimentale. Gli atti avrebbero potuto e dovuto depositarsi
contestualmente alla notifica di cui all’art. 415 bis c.p.p., da un lato, e comunque
dall’altro,i1 termine concesso per l’esame dei nuovi atti per il più compiuto esercizio
del diritto di difesa- dal 15 al 19.1.2009- era del tutto insufficiente. Era pur vero che il
decreto che dispose il giudizio venne pronunciato alla udienza del 27.1.2009, ma il
rinvio a questa data era solo in funzione della obbligata attesa della pronuncia della
corte di appello su una istanza di ricusazione avanzata dalla difesa dell’ imputato.
c)violazione sempre degli artt. 178 comma 1 lett. a), 180,185 commi 1 e
3 codice di rito, per avere il giudice della udienza preliminare intimato alle parti all’
udienza del 19.1.2009 di formulare la scelta del rito per l’ udienza successiva, del
15.1.2009, ed invitato le parti a formulare le loro conclusioni alla udienza del 19
successivo , malgrado la pendenza di un procedimento incidentale innescato dalla
istanza di ricusazione del giudice e sulla quale la corte di appello avrebbe deciso solo
successivamente, il 22.1.2009.11 tutto, secondo la difesa, avrebbe, peraltro, impedito,
malgrado la celebrazione della intera udienza preliminare, di pronunciare una
sentenza di proscioglimento per l’ancora pendenza del procedimento incidentale sulla
ricusazione ex art. 37 comma 2 c.p.p.
d)violazione dell’art. 268 comma 7 c.p.p. che sancirebbe l’ inutilizzabilità
della deposizione testimoniale resa all’udienza dibattimentale del 7.10.2009, del
capitano Valerio Palmieri avente ad oggetto il contenuto di intercettazioni

7

telefoniche ed ambientali non ancora trascritte, con la conseguente nullità della
sentenza anche se la motivazione della predetta non abbia fatto riferimento alla
deposizione per l’immancabile influenza psiocologica della predetta sull’ organo
giudicante.
e) violazione degli artt. 270,415 bis,430, e 507 c.p.p., correlati ai diritti di
difesa ex artt. 3, 24 e 111 cost. per essere stati acquisiti all’ udienza dibattimentale
del tribunale del 7.10.2009 atti di altri procedimenti penali, tra cui trascrizioni di
intercettazioni,- proc. cd.” Armonia” e ” Bellulavuru”-, che in quanto atti preesistenti
avrebbero potuto e dovuto essere depositati in seguito all’ avviso di conclusione delle
indagini preliminari. L’ omesso deposito avrebbe compresso i diritti della difesa in
termini di scelte sul rito, di redazione delle liste testimoniali
f) violazione dell’art. 192 c.p.p. in relazione agli artt. 110 e 416 bis c.p.motivo comune ai ricorsi dei due difensori di Crea Domenico- per avere
apoditticamente configurato il concorso esterno nell’associazione mafiosa svalutando
elementi decisivi distonici alla predetta configurazione, quali, in concreto:
1 f ) la sostanziale alterazione dell’ originario fatto
associativo contestato e giudicato in primo grado nel senso di un accordo federativo
fra le varie cosche “ndranghetiste stanziate nel basso versante jonico reggino,
funzionale ad un patto elettorale politico mafioso con Crea Domenico per le elezioni
regionali della Calabria, giusto il capo di imputazione come formulato, “sino al
Settembre 2007 e tutt’ora in corso”, fatto originariamente contestato ma sostituito,
per le assoluzioni – Corte di appello di Reggio Calabria datata 21.12.2011intervenute, in sede di giudizio abbreviato, nei confronti del ritenuti referenti e
garanti delle singole cosche – Morabito/ Zavattieri di Africo e Roghudi, Cordì di
Locri, Talia di Bova Marina- quali Gangemi Leonardo, Marcianò Alessandro,
Marcianò Giuseppe ed Errante Giuseppe, dal ritenuto collegamento con il solo
coimputato Attinà Paolo, quale esponente della cosca mafiosa Morabito-Zavattieri,
peraltro assolto nel primo grado del processo de quo. Sostiene la difesa del ricorrente
che l’associazione rispetto alla quale è stato costruito il concorso esterno del Crea nell
impostazione accusatoria costituirebbe una entità autonoma dalle cosche di
provenienza con il fine di far eleggere il Crea al Consiglio regionale in cambio della
promessa di favori per gli interessi delle famiglie. E rileva che l’assoluzione dei
referenti, in tesi, della associazioni di ndrangheta è stata giustificata dalla mancanza
di prova dei collegamenti organici con le predette associazioni.
2 f) Ed ancora, proprio per lo sfaldamento del cartello
mafioso in tesi costituito per la elezione del Crea, sarebbero venuti a mancare gli
elementi essenziali per la configurazione del concorso esterno: il rafforzamento e
consolidamento della associazione mafiosa in termini di concretezza, specificità e
rilevanza, accertamento questo da svolgere ex post per verificare l’effettiva esistenza
di elementi costitutivi che valgano a differenziare la fattispecie contestata da altre
ipotesi criminose, come quelle di cui all’art. 416 ter, 86 D.P.R.n. 570/1960, 115-416
bis c.p.. Mancherebbe, quindi, nel caso di specie la prova del rafforzamento della
cosca non potendo certo questo elemento essenziale identificarsi nei vantaggi
acquisiti in tesi da soggetti, quali Vadalà, Costarella e Guastella, non inseriti

8

organicamente in alcuna associazione criminale. Il difensore elenca e riporta pezzi
di tutta una serie di conversazioni tra soggetti – Tana Domenico/ Idà Massimo, Attinà
Paolo/Crea Antonio, Proscenio Antonio/Pangallo Giovanni, Altomonte Sebastiano/
soggetto rimasto sconosciuto, Pansera Giuseppe/ Zapia Leo, Candido Concetto/
Bruzzese Francesco, ricchiama ancora le conversazioni intercettate che vedono
protagonista Vadalà Antonino e che hanno riferimento alle elezioni comunali di
Bova Marina nel 2008, a riscontro, secondo le valutazione dei giudici di merito, delle
dichiarazioni del collaboratore di giustizia Mesiano Carlo. Generiche queste ultime,
inconcludenti e non specifiche le seconde, secondo la difesa! In conclusione
mancherebbe la prova di un accordo tra l’ imputato e la cosca di appartenenza per un
qualsiasi impegno volto a rafforzarla ,tanto meno dell’ esecuzione dell’ impegno. Né
potrebbe il rafforzamento, a pena di violare il principio di materialità in diritto
penale, identificarsi nel maggior potere conseguente, in difetto dell’ indicazione di
concreti elementi di fatto, all’avere la disponibilità di un referente politico all’ interno
del consiglio regionale e al conseguente maggior prestigio e credito acquisito, all’
esterno ed all’ interno, dalla associazione criminale.
30 Particolare attenzione la difesa del ricorrente dedica alla
posizione di Paolo Attinà, I ‘unico imputato condannato per associazione mafiosa,
quale intraneo alla cosca Morabito — Zavattieri, a fronte delle assoluzione, nel
parallelo giudizio abbreviato degli altri coimputati — Gangemi Leonardo, Marcianò
Alessandro, Marcianò Giuseppe, Errante Giuseppe – perché il fatto non sussiste. All’
assoluzione in primo grado di Paolo Attinà è succeduta una dichiarazione di
colpevolezza monca e insufficiente a dare ragione della diversa valutazione della
prova e delle scelte conseguentemente operate. Invero si sarebbero valorizzate le
dichiarazioni solo generiche del collaboratore di giustizia Mesiano Carlo, pur prive
di riscontro, si sarebbe operato il travisamento della conversazione tra Tana
Domenico e Idà Massimo nel cui contesto i due si riferiscono, ma solo in termini
dubitativi, alla possibile ma non certa promessa di lavoro da parte di Crea ad Attinà
Paolo e Pangallo Giovanni, come anche il travisamento delle conversazioni
intercettate tra sempre Attinà Paolo e Crea Antonio, figlio di Domenico e assolto
dall’ imputazione di concorrente esterno dell’associazione mafiosa, con l’attribuzione
a parole e frasi generiche, quali “..se è così ti nomino vice Papà..squadra” ,significati
equivoci in merito all’accordo con la associazione criminale e alla promessa dei
favori illeciti. I giudici dell’appello poi non avrebbero ragionevolmente spiegato
perché la promessa di voti da parte dell’ Attinà e di altri non potesse rinvenire la sua
causale in interessi strettamente individuali, familiari, clientelari. E, secondo la
difesa,vi è di più: dalla presunzione dell’Attinà come persona mafiosa si era tratta
l’ulteriore presunzione di un interesse alla campagna elettorale non suo proprio e
della sua vasta parentela ma della cosca. Argomento non ultimo speso dal ricorrente,
comunque pervasivo di ogni altro, è la mancanza di prova in merito a quale fosse
l’impegno concreto e certo assunto dall’ imputato idoneo a rafforzare le varie
organizzazioni criminali, ad incidere, con una verifica probatoria ex post,
efficacemente sulle capacità operative della consorteria.

h) carenza di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio anche con
riferimento al diniego delle attenuanti generiche per l’ omessa specificazione delle
ragioni poste a supporto delle determinazioni in merito alla quantificazione della pena
del reato- base e degli aumenti per la continuazione.
imputazione
– 4- I motivi del ricorso contro la condanna per i delitto associativo di Paolo Attinà
Quattro le ragioni di doglianza, le seguenti:
a) violazione del principio della necessaria correlazione tra
l’imputazione contestata e quella costitutiva del fatto per il quale l’ imputato ha
riportato condanna. L’ imputato, la cui posizione venne stralciata dal procedimento
cd. “Nuovo Potere” e tratta nel procedimento de quo, per il suo coinvolgimento per
l’appunto nella indagine cd. “Onorata Sanità”, viene condannato per una attività di
procacciamento di voti a Domenico Crea nell’ interesse della cosca Morabito Zavetteri nel Comune di Roccaforte del Greco,e non invece, giusta l’ imputazione
originaria, per aver promosso ed organizzato, nell’ interesse della divisata
confederazione di’ndrine, il sistema di controllo e di gestione degli appalti, con
particolare riferimento al settore della sanità pubblica, mediante 1 ‘inserimento in
ambito politico- amministrativo di soggetti ritenuti di fiducia del!’ organizzazione.
La verità sarebbe che il giudizio su Attinà sarebbe stato fatto trasmigrare da quello
originario per puntellare e sostenere l’accusa nei confronti di Crea Domenico, si
sarebbe quindi ancora modificata l’ originaria imputazione della condotta di
procacciamento di voti nell’ interesse della confederazione di cosche e ,
contraddittoriamente, si sarebbe pervenuto ad una dichiarazione di colpevolezza a
fronte di una serie di assoluzioni dei coimputati sia nel procedimento de quo sia nel
procedimento originario, “Nuovo Potere” , dopo il deposito della motivazione della
sentenza de qua, per di più ritenendo degni di fede dichiarazioni di testi valorizzate da
altri giudici in sentenza non definitive e non invece valutandole autonomamente.
b) si contesta quindi la attendibilità nonché la rilevanza delle
deposizioni, rese in grado di appello, del collaboratore di giustizia Carlo Mesiano e l’
assunzione della sua deposizione in violazione delle modalità prescritte dall’art. 210
9

g) Escluso il cartello confederativo , mancherebbe la prova, sul versante
soggettivo del dolo del concorrente esterno, del legame organico delle persone in
contatto con il Crea per la raccolta di voti con le organizzazioni criminali.
Mancherebbe ancora la prova, al di là della mera disponibilità e vicinanza delle
predette persone, della rappresentazione della efficienza causale della condotta del
Crea in relazione all’evento costituito dall’ immediato ed effettivo potenziamento
dell’efficienza operativa della associazione mafiosa con riguardo alla specifico
settore di influenza. L’ aiuto logicamente deve essere prestato all’ intera
organizzazione e non deve essere confuso, né sul piano del disvalore né sul piano del
fatto, con quello dato ai singoli associati

-5- I motivi di ricorso avverso le condanne riportate da Crea Domenico per i delitti di
abuso di ufficio e truffa aggravata — capi H, K e Q
5a) Si denuncia, con riferimento all’abuso ed al falso di cui al capo
H), la violazione degli artt. 323 e 479 c.p. per l’ insussistenza del falso ,da un lato,
della violazione di legge ed ingiustizia del vantaggio dall’altro,ed ancora l’
assorbimento dell’ abuso nel delitto di falso che risulterebbe di conseguenza
aggravato dall’art. 61 n. 9,in subordine si eccepisce la prescrizione del reati nelle
more del deposito della sentenza di appello. Il delitto di falso ideologico non
sussisterebbe, secondo la difesa, perché non sarebbe stata dimostrata la falsità dei
fatti attestati dal relativo atto destinato a provarne la verità, atto costituito da una
missiva a firma del dottor Biamonte, Direttore generale vicario dell’ assessorato alla
sanità della regione Calabria, peraltro assolto, nel parallelo giudizio abbreviato,
dall’addebito con sentenza passata in giudicato: lo squilibrio tra la spesa per le
prestazioni farmaceutiche e la spesa relativa alle prestazioni riabilitative. Quanto all’
abuso ufficio, a parte la sua dipendenza concettuale dal pregiudiziale delitto di falso,
esso non potrebbe configurarsi in base ad un duplice ordine di rilievi: l’elemento
normativo costitutivo della violazione di legge richiede che questa sia di natura non
penale,da un lato, richiede ancora la fattispecie normativa, strutturata con la
configurazione di una doppia ingiustizia, che il vantaggio conseguito collida, a parte
il disvalore giuridico della condotta, con altra e diversa norma di legge, dall’altro. Il
vizio di motivazione, poi, si estenderebbe anche sul versante dell’elemento
soggettivo: invero se la manovra di storno incriminata era posta in essere in funzione
di un sostanziale riequilibrio dei livelli di spesa, è carente la motivazione in ordine
alla intenzionalità del vantaggio patrimoniale conseguito dall’ imputato, potendo un
tale vantaggio configurarsi come conseguenza accessoria di una condotta
teologicamente orientata ad altri fini. La difesa poi segnala che nelle more del
deposito della sentenza sarebbe maturato il termine di prescrizione dei reati.
5b) Con riferimento al delitto di falso —capo K – correlato alla visita
ispettiva deputata a verificare i requisiti richiesti per la regolare attività della
RSA/RSAM, la difesa, oltre a rilevare che i materiali redattori dell’atto sono stati
assolti nel parallelo processo abbreviato, denuncia la insussistenza del presupposto
normativo del delitto contestato per il fatto che nessuna disposizione normativa
richiede la compilazione di appositi verbali da parte della Commissione. La quale
10

c.p.p. per l’esame di persona imputata in un procedimento connesso, si rileva che nel
procedimento ” Nuovo Potere” il coimputato, Attinà Domenico, chiamato in causa
da Mesiano Carlo, era stato in grado di appello assolto, si accenna infine alla
conversazione intercettata tra tale Pangallo Giuseppe e tale Rocco, come da tale
Pangallo Giovanni e Proscenio Arnaldo, dalle quali tutt’ al più emergerebbe l’
interesse solo personale dell’ appoggio dell’ Attinà al Crea Domenico, si qualificano
non significative le conversazioni intercettate tra l’ imputato e Crea Antonio.
c) il terzo ed il quarto motivo di ricorso si limitano,l’ uno, a rilevare
la genericità della motivazione in punto di pena, l’altro a chiedere la revoca delle
statuizioni civili.

-6- I motivi del ricorso proposto da Crea Antonio per i reati di falso di cui ai capi
N,O,P,S, e di truffa di cui al capo Q.
I primi quattro motivi di ricorso, in rito,i ripetono pedissequamente le ragioni di
doglianza svolte per la difesa di Crea Domenico sub lett. b),c), d) ed e) : vizi
afferenti al decreto di rinvio a giudizio, per violazione del diritto di difesa causa i
tempi ristretti per esaminare atti procedimentali provenienti ab externo, per la in tesi
illegittima intimazione alle parti di formulare la scelta del rito malgrado fosse
pendente una istanza di ricusazione del giudice, per 1 `inutilizzabilità della
deposizione testimoniale resa dal capitano Valerio Palmieri, per l’ illegittima, infine,
produzione di atti da parte del P.M. nel corso della udienza del 7.10.2009.
Nella prospettiva dei singoli delitti, la difesa denuncia,con riferimento al capo N), la
labilità dell’ indizio rappresentato dalle conversazioni intercettate, la inconsistenza
poi dei rapporti di cointeressenza dell’ imputato ed il dottor Asaro, redattore
materiale dei certificati e responsabile dell’ Unità di valutazione geriatrica istituita
dall’ASL 11 di Reggio Calabria, la possibilità, non esclusa dal compendio
probatorio, che le visite siano state fatte in date e luoghi diversi da quelli certificati,
ma pur sempre fatte. Da ultimo si prospetta la sussistenza di un falso innocuo
irrilevante alla stregua dell’art. 481 c.p., la cui funzione documentale è l’ attestazione
fedele dello stato di salute del paziente ,a prescindere dalla divergenze in ordine ai
tempi ed ai luoghi della effettuazione della visita. E richiamando il falso innocuo, la
difesa replica alle argomentazioni giudiziali in merito ai reati di cui ai capo O) e P),
contestando il significato tratto dal giudice dalle conversazioni telefoniche, l’
omessa escussione di testimoni, nonché l’ assenza di qualsiasi vantaggio o
pregiudizio derivante dalla certificazione del decesso in luogo diverso da Villa Anya.
Con riferimento infine al falso di cui al capo S) si ribadisce ancora una volta l’
innocuità del divisato falso, per essere il diario clinico deputato ad attestare la verità
di fatti che riguardano la salute dell’ paziente, non certo la presenza o meno del
medico che redige la cartella nella struttura sanitaria.
-7- Le ragioni comuni dei ricorsi proposti nell’ interesse di Crea Domenico, Crea
Antonio, nonché delle terze interessate Angela Familiari e Crea Annunziata con
11

formalmente è stata istituita, proprio in seguito alle vicende del procedimento de quo,
con legge regionale n. 28 del 18.7.2008 e le cui modalità operative avrebbero dovuto
essere disciplinate da un regolamento ancora non emesso dalla giunta regionale della
Calabria. In subordine si denuncia la prescrizione del reato nelle more del deposito
della motivazione della sentenza.
5c) Con riferimento al delitto di truffa aggravata- capo Q — per il quale
hanno riportato condanna i due imputati Crea, la difesa di entrambi i ricorrenti
denuncia la carenza assoluta di motivazione in ordine alla condotta concorsuale
posta in essere dagli imputati e che sarebbero stati ritenuti colpevoli solo in base al
criterio di ragione sintetizzato nel broccardo latino” cui prodest”.

Si denuncia violazione del!’ art. 12 sexies 1. n. 356/1992 e carenza di motivazione in
ordine alla effettiva disponibilità del!’ imputato di Villa Anja desunta e solo dalla
circostanza che Crea Domenico si era adoperato nella fase relativa alla costituzione
della RSA, pur nella mancanza di elementi concreti, precisi, concordi e gravi
deponenti per una condotta dell’ imputato consistente in disposizioni in ordine alla
gestione ed alla attività della RSA.
Il ricorso poi redatto per tutti i ricorrenti dall’avv. Managò si impegna a sostenere
che il gruppo familiare costituito dai quattro ricorrenti per l’ appunto avesse la
legittima disponibilità di risorse economiche utilizzate per l’acquisto dei beni
sequestrati, risorse che derivavano da prestiti, da donazioni dei genitori del Crea
Domenico, dalla attività professionale di quest’ ultimo, dai redditi derivanti dalla
coltivazione a bergamotto del padre di Crea Domenico,quale gestore, di circa 20
ettari di terreni di proprietà altrui. Richiama in proposito la difesa una consulenza
tecnica di parte redatta dal dottor agronomo Domenico Ielo ,di conferma dell’alta
redditività della coltivazione del bergamotto, concentrata per l’appunto e solo nella
zona ionica del reggino.
– 8- Motivi della decisione. Risposta alle eccezioni in rito dei ricorrenti Crea
Domenico e Crea Antonio.
Nessuna delle eccezioni in rito è fondata. Invero, nella misura in cui le ragioni di
doglianza richiamano l’ art. 415 bis c.p.p., denunciandone la violazione per il
ritardato deposito all’ udienza preliminare o nella fase dibattimentale di atti,
deposizioni testimoniali o registrazioni, acquisite da procedimenti diversi da quello
de quo rivelano un equivoco di fondo in merito alla interpretazione della norma
processuale richiamata. La quale ha riferimento e solo, prescrivendone il deposito
all’ esito delle indagini preliminari, agli atti ed in genere agli esiti probatori acquisiti
nel corso del procedimento conclusosi per l’appunto con la chiusura delle
investigazioni preliminari, fermo restando che l’ onere del p.m. di deposito ai sensi
dell’art. 415 cit. non si estende ad atti provenienti da altri procedimenti.(v., per tutte,
Sez. 6, 16.5/16.9.2002, Benedetti e a., Rv. 222574) Invero l’acquisizione di prove
documentali da parte del giudice, e all’ udienza preliminare ed al dibattimento, di
primo o di secondo grado, deve ritenersi rituale, senza necessità al limite, in
dibattimento, di una previa ordinanza che disponga la rinnovazione parziale del
dibattimento. L’ unica condizione imposta dal diritto di difesa, come peraltro sancito
dall’art. 111 cost., è che sia assicurato il contraddittorio tra le patti come impone, per
la legittima acquisizione e per il corretto utilizzo ai fini della decisione, l’art. 526
comma 1 c.p.p. (in tal senso, v., per tutte, Sez. 6,6.6/26.9.2012, Rotolo,Rv. 253466).
Del resto le nuove acquisizioni- sentenze anche non passate in giudicato,
intercettazioni telefoniche, — costituiscono fonti di prova nuove, perché diverse e dal
contenuto innovativo, sotto il profilo valutativo, rispetto a quelle esistente agli atti
del processo nel cui ambito il giudice esercita il proprio potere integrativo, d’ufficio o
12

riferimento alla parte della sentenza che ha disposto la confisca dei beni sequestrati
riconducibili alla struttura sanitaria Villa Anya.

13

su precisa sollecitazione delle parti (cfr. Sez. I, 14 ottobre 2010, dep. 9 dicembre
2010, n. 43473). Ne consegue che l’ eccezione volta a denunciare l’ illegittimità
della veicolazione in dibattimento dei risultati di intercettazioni telefoniche espletate
in diversi procedimenti, qualora di essi il pubblico ministero procedente fosse già a
conoscenza nel momento della richiesta di rinvio a giudizio e ciononostante ne abbia
omesso il deposito, è infondata: anche a tacere del fatto che, quale che sia stata la
data di conoscenza del P.M. delle nuove acquisizioni, essa non rileva per doversi
ritenere consentita l’acquisizione, ex art. 507 cod. proc. pen., non solo delle sentenza
conclusive di altri procedimenti, ma insieme delle intercettazioni autorizzate ed
eseguite in procedimenti diversi e fatte oggetto di trascrizione peritale
nel procedimento di importazione, ancorchè non depositate e trasmesse, a norma
degli artt. 415, comma secondo, e 416, comma secondo, cod. proc. pen.( in termini,
per tutte, Sez. 1, 27.2/23.5. 2013, De Rosa e a., Rv 256077)
Non coglie nel segno nemmeno la censura che denuncia la stringente — di dieci
giorni – riduzione dei tempi necessari per lo studio della documentazione probatoria,
proveniente da un diverso procedimento — avente ad oggetto l’ omicidio dell’ on.
Fortugno-, veicolato in sede di udienza preliminare dal P.M. procedente. Invero il
richiamo agli artt. 24 e 111 cost., a sostegno dell’asserita violazione del diritto di
difesa, non è vincente a fronte di un termine non determinato dal codice e affidato al
prudente apprezzamento del giudice. Ed, a fronte di una determinazione giudiziale
che, su ammissione dello stesso ricorrente, riduceva a sette il numero delle
trascrizioni di testimonianze,a fronte ancora del fatto che gli atti erano stati in gran
numero trasfusi nelle ordinanze cautelari a conoscenza quindi e degli imputati e dei
loro difensori , 1 ‘avere limitato la possibilità della visione del novum nello spazio di
tempo intercorrente tra l’ udienza del 15.1.2009 e l’ udienza del 27.1.2009, che ha
registrato l’emissione del decreto di rinvio a giudizio non pare essersi tradotta in una
menomazione concreta ed effettiva dei diritti di difesa. Peraltro l’ eccezione sotto
altro aspetto non è condivisibile, perché generica nella misura in cui non indica l’
effettiva rilevanza probatoria della documentazione ai fini non solo del rinvio a
giudizio, ma ai fini del condizionamento sulle valutazioni e decisioni di
responsabilità degli imputati.
Del tutto infondata è ancora la eccezione che denuncia la prosecuzione dello
svolgimento delle udienze preliminari nonostante la pendenza di un procedimento
incidentale innescato da una istanza di ricusazione. Nessun pregiudizio concreto
hanno potuto subire i ricorrenti,malgrado l’invito del giudice a formulare le loro
conclusioni per l’ udienza del 19.1 2009 per il fatto che la riconsiderazione della
scelta del rito avrebbe potuto essere manifestata fino alla udienza del 27.1.2009 che
chiudeva la fase del giudizio davanti al gup. Né la pendenza del procedimento
incidentale in ordine alla ricusazione- peraltro rigettata- era in grado di infirmare
l’attività processuale, la quale correttamente è proseguita per concludersi dopo la
decisione del rinvio a giudizio. In proposito giova richiamare l’autorevole approdo
giurisprudenziale alla cui stregua il divieto, per il giudice ricusato, di
pronunciare sentenza, e solo sentenza , ex art. 37 comma secondo, cod. proc. pen.,
opera sino alla pronuncia di inammissibilità o di rigetto, anche non definitiva,

-9- Esaurito l’ esame dei primi cinque motivi di ricorso — da lett. a) ad e) — del
ricorrente Crea Domenico, per quattro quinti comuni al coimputato Crea Antonio,
occorre affrontare il principale motivo di gravame del ricorso come ampiamente e
diffusamente trattato dai suoi due difensori e centrato sulla denuncia della violazione
delle regole di valutazione della prova e della manifesta illogicità della motivazione
dell’impugnata sentenza, per via del denunciato mutamento dell’ oggetto della prova,
scolpito nel capo di imputazione nell’aiuto elettorale dato all’ imputato da una ben
individuata apposita confederazione di `ndrine del basso versante jonico reggino- le
cosche Morabito/Zavattieri di Africo e Roghudi, Cordì di Locri, Talia di Bova
Marina- e diluitasi, poi, la confederazione, in sede di appello, una volta che alcuni
coimputati- Stilo Antonio e Autelitano Giuseppe- erano stati prosciolti in sede di
udienza preliminare, altri — Pansera Giuseppe, Galgemi Leonardo, Errante Giuseppe,
Marcianò Alessandro e Marcianò Giuseppe – assolti nel richiesto giudizio abbreviato,
nelle singole unità costitutive dalle varie cosche non più considerate confederate a
formare una entità autonoma.
La ragione di doglianza non è fondata e, pertanto, va disattesa.
Devesi premettere che, in conseguenza della autonomia dei procedimenti, il giudizio
di colpevolezza dei due coimputati, Crea Domenico ed Attinà Paolo che hanno
optato per il giudizio ordinario, al limite avrebbe potuto prescindere, previa congrua
motivazione, dagli esiti del distinto procedimento,in abbreviato, contro gli altri
14

dell’organo competente a decidere sulla ricusazione, essendo, tuttavia, la successiva
decisione del giudice ricusato, affetta da nullità qualora la pronuncia di
inammissibilità o di rigetto sia annullata dalla Corte di cassazione e il difetto di
imparzialità accertato dalla stessa Corte o nell’eventuale giudizio di rinvio ( Sez.Un.
27.1/9.6.2011, Tanzi, Rv. 249735). Dal che consegue che è del tutto legittima la
prosecuzione dell’attività giurisdizionale , pur sottoposta alla condizione risolutiva,ai
sensi dell’art. 42 comma 2 codice di rito, dell’accoglimento della istanza di
ricusazione insieme all’eventuale deliberazione in ordine alla conservazione di
efficacia degli atti compiuti in precedenza dal giudice ricusato.
E’ ancora infondata deve ritenersi l’eccezione in merito alla inutilizzabilità delle
dichiarazione rese in dibattimento del teste capitano Palmieri in tesi rese sul
contenuto delle intercettazioni di conversazioni non ancora ad opera del perito
trascritte. Corretto il principio di diritto invocato, inappropriato invece il suo richiamo
con riferimento alla fattispecie concreta nella misura in cui la testimonianza ha avuto
ad oggetto non già il contenuto delle conversazioni intercettate, in tal caso risultando
inficiato il procedimento logico della decisione, che trascurerebbe il contenuto della
fonte di prova fondamentale, quanto il contesto, la cornice in cui le predette
conversazioni si collocavano, al limite con l’ indicazione, pur possibile, delle voci
riconosciute dei dialoganti, imputati o meno che fossero. Da qui il rilievo giudiziale,
per nulla contestato dalle difese, del riferimento, ai fini della motivazione della
decisione, solo e soltanto alle trascrizioni delle conversazioni, con l’ espulsione di
qualsiasi riferimento al loro contenuto eventualmente operato dal teste.

15

coimputati, anche solo in base alla diversa valutazione dei medesimi fatti. Nel caso di
specie,comunque, la corte di appello ha ritenuto di condividere, nel suo autonomo e
libero giudizio, l’ esito del giudizio abbreviato nella parte in cui il fatto oggetto dell’
imputazione era stato specificato in un patto politico-mafioso elettorale intercorso tra
il politico ,concorrente esterno e non tra una unica unità costituita dalle cosche
confederatesi per la comune raccolta di voti a vantaggio del politico colluso, ma,
invece, tra un patto del politico con le singole “ndrine” non collegatesi tra loro.
Alcuna mutazione del fatto, ed è la stessa difesa che non la prospetta sotto il profilo
della violazione dell’art. 521 codice di rito, si è verificata tale da configurare una
discrasia tra fatto contestato e fatto ritenuto, per potersi ritenere la prima fattispecie
compiutamente compresa nella seconda, con la conseguente salvaguardia del diritto
di difesa che dalla mutazione di un aspetto accidentale del fatto non ha subito certo
alcun pregiudizio.
Né d’altra parte può aver costituito un vulnus alla decisione l’assoluzione degli
associati, ad eccezione dell’ Attinà Paolo, come indicati nel capo di imputazione, una
volta che i giudici di appello, implementando corposamente il compendio probatorio
con l’ acquisizione di nuovi elementi probatori, costituiti dalla testimonianza di
ufficiali di p.g. e del collaboratore di giustizia Carlo Mesiano, nonché da sentenze
anche passate ingiudicato, da intercettazioni operate in altri procedimenti e di cui è
stata disposta con perizia la trascrizione, hanno ritenuto , con argomentazione
congrua ed esente da vizi di illogicità manifesta, il perdurante collegamento, ai fini di
un appoggio elettorale, del Crea a personaggi di chiara caratura mafiosa.
La difesa dell’ imputato, invero, si impegna ad analizzare singole conversazioni
intercettate, quali quelle già indicate nella parte espositiva, per darne una
interpretazione nel senso al massimo di una verificata contiguità con persone vicine
alle cosche di “ndrangheta, che avrebbero agito per interessi personali, circoscritti al
massimo nell’ambito familiare di ciascuno, senza le cointeressenze e senza la
previsione dei vantaggi derivanti al gruppo di appartenenza. Tema, chiaramente
affrontato dai giudici di merito e risolto in senso contrario alle difese, perchè
collocato in un contesto panoramico più ampio ed in una prospettiva diacronica che
comprende un ampio arco temporale, di oltre dieci anni, che vede l’ imputato in
ricerca frenetica di appoggi elettorali provenienti dai gruppi mafiosi evidenziati
proprio dalla caratura criminale dei personaggi contattati.
Così sono contestati dalla difesa, come insignificanti, i rapporti intrattenuti dal Crea
con due personaggi di spicco di “ndranghera, quali Vadalà Antonino e Altomonte
Sebastiano, uomini di spicco delle cosche Talia e Vadalà di Bova, condannati
entrambi, nel procedimento cd. “Bellu Lavoru”, con sentenza definitiva datata
22.12.2012 per ” aver fatto parte della “ndrangheta e delle sue articolazioni
territoriali, denominate” cosca Morabito-Bruzzaniti- Palamara” , cosca Vadalà, cosca
Talia finalizzate tra l’altro ” ad impedire ed ostacolare il libero esercizio del voto o
procurare voti agli associati, ai concorrenti esterni, in occasione di consultazioni
elettorali”. Le frequentazioni dei due con il Crea Domenico sono state
opportunamente segnalate dai giudici dell’appello attraverso il richiamo di
conversazioni intercettate che risalgono sì all’anno 2007 ma che trattano di argomenti

sono i rapporti tra questi e Vadalà Antonino, appartenente ad un storico “casato di
`ndrangheta”, reggente della omonima cosca di Bova Marina durante la detenzione
del fratello Domenico, ristretto in carcere per la condanna di associazione a
delinquere ex art. 416 bis e di duplice omicidio. Emblematica l’ affermazione di un
imprenditore della zona, tale Gaetano Polselli, che riferendosi al peso elettorale del
personaggio, si esprime con la frase ” logicamente con Nino Vadalà dietro, non arriva
secondo”. Ora i giudici di merito richiamano l’ incontro avvenuto il 26.6.2006 all’
interno della direzione sanitaria della clinica Villa Anya tra l’ imputato, il Vadalà ed
il Polselli, dai cui dialoghi si trae —rilevano i giudici di merito- l’ interessamento dei
tre per le elezioni del Sindaco di Bova, con l’ impegno del Crea di appoggiare la
candidatura proposta dal Vadalà in cambio dell’ impegno di quest’ ultimo a favore
del primo per le future elezioni. In questo stesso contesto il Vadala ringrazia il Crea
per l’assunzione della figlia presso la sua struttura sanitaria che, a prescindere dalla
sistemazione lavorativa della ragazza, significa la manifestazione di un “senso di
16

che hanno riferimento alle elezioni del 2005, in occasione delle quali l’ Altomonte
riferisce di aver appoggiato con duemila voti la candidatura dell’ imputato che in
cambio gli prometteva di “mandare a chi volevo in segreteria…,”. E l’appoggio di un
tale importante personaggio mafioso alla candidatura del Crea è confermato dalla
articolata deposizione del teste Palmieri, capitano dei Carabinieri, i che lo definisce
suo fidato collaboratore, come del resto evidenziato dalla altra conversazione
intercettata il 12.1.2008 nel cui contesto i due, con altri, parlano dell’ imminente
stanziamento di fondi straordinari per le aree depresse della Calabria, con la
previsione di seimila posti di lavoro e della necessità di “….entrare in questi canali
che sono importanti…..”. A fronte di un tale significativo contesto probatorio, la
difesa si limita a banalizzare tali significative circostanze sottolineando che le
conversazioni risalgono ad un tempo che non è proprio quello proprio dei fatti di cui
all’ imputazione, citando solo stralci delle conversazioni, ritenute poco significative
sì, ma perchè disancorate dal contesto complessivo.
Ed altro riscontro, del tutto sottovalutato dalla difesa dell’ imputato Crea Domenico,

rispetto” reciproco tra il capo-mafia e l’ imputato. I giudici di merito valorizzano la
circostanza capace , in chiave retrospettiva, di dare un significato ai contatti del Crea
con altri personaggi mafiosi, circostanza eppure solo banalizzata dalla difesa del
Crea che ne sottolinea la modalità cronologica successiva alle elezioni regionali del

dimensione cronologica unitaria e panoramica, il dato costituito dalla contestazione
che ha riferimento ai condizionamenti delle elezioni per un periodo che viene fissato
in imputazione “..sino al Settembre 2007 e tutt’ora in corso.

-9- Vi è anche da sottolineare che il rilievo difensivo secondo cui l’ assoluzione di
tutti gli intranei, nel parallelo giudizio abbreviato, alle n’drine indicate nel capo di
imputazione si riverberebbe negativamente sulla possibile configurazione di un
concorso esterno alle cosche cela un errore di diritto costituito dalla negazione della
invece ben possibile rivalutazione diversa di dati significativi nel processo de quo,
autonomo da quello abbreviato, anche perché i giudici dell’appello hanno potuto.
come già rilevato, tra 1 ‘ altro avvalersi di supporti probatori diversi perché nuovi.
Così, mentre i giudici dell’abbreviato assolvono Pansera Giuseppe nonostante la sua
condanna definitiva per associazione a delinquere nel processo Armonia associazione a delinquere peraltro finalizzata a favorire la confluenza di pacchetti di
preferenze elettorali a favore di referenti in collegi elettorali corrispondenti alle zone
di influenza dell’ organizzazione criminale -, e lo assolvono perché, nonostante che
fossero emersi in quel processo i suo contatti con Crea e il suo appoggio nelle
elezioni del 2000, sottolineano il dato temporale, come fissato dall’ imputazione, di
chiusura della condotta associativa ed il fatto che il predetto si era dato alla latitanza
dal 2000 al 2004 , la sentenza impugnata valorizza proprio, per la configurazione del
concorso esterno, i contatti avuti dall’ imputato con il Pansera, richiamando una
conversazione intercettata del Luglio del 1998 tra il predetto e tale Gangemi
Leonardo, nel corso della quale il primo riferisce di essersi incontrato con l’
imputato, di avergli offerto il suo appoggio per le elezioni per” avere nella Regione
uno che ci può garantire qualcosa, nella peggiore delle ipotesi qualche lavoro…”.
Nella stessa data viene richiamata altra conversazione nella quale il Pansera
sottolinea la necessità di impegnarsi per raccogliere voti nella zona sotto il controllo
della cosca” Morabito” a cui appartiene. Il tutto viene saldato con il contenuto di una
conversazione intercettata tra tali Foti Antonio Saverio, autista del politico, e
Francesco Familiari in data 29.8.2006, nel corso della quale il primo riferisce
dell’appoggio elettorale del Pansera “..quindici – venti giorni prima che il Pansera
17

2005, obliterando così, oltre il disvalore una volta collocato l’episodio in una

-10 — Parimenti il discorso giustificativo dei collegamenti di Attinà Paolo con Crea
Domenico, attraverso contatti continui con il figlio Domenico nel corso della
campagna elettorale del 2005, è documentato dalle numerose conversazioni
intercettate – del 3.4.2005, 23.3.2005, del 7.4.2005, quella tra lana Domenico e Idà
Massimo del 5.3.2005, ed altre ancora — che per la verità, alcune già riscontrate dai
giudici di primo grado, non sono certo contestati dalla difesa di Crea Domenico. Le
critiche defensionali si rivolgono su altro versante del discorso giustificativo
giudiziale, quello in merito all’appartenenza dell’ Attinà all’associazione di
`ndrangheta Zavattiera-Pangallo Maesano, dominante nei Comuni di Roghudi e di
Roccaforte del Greco.
Ora sul punto le ragioni di doglianza dell’ imputato si rivelano insufficienti nella
misura cui non affrontano l’ampio spettro del coacervo degli elementi di prova
considerati dai giudici di appello e sottovalutati, perchè molti nemmeno considerati,
dai giudici di primo grado: l’ esistenza di una faida mafiosa tra le due cosche
Pangallo e Zavettieri come riferita dal teste maresciallo Triolo attraverso l’
indicazione degli omicidi e degli attentati per ritorsioni avvenuti nei territori del
Comuni di Roghudi e Torre del Greco, ed attestata in via definitiva della sentenza,
per l’appunto, sulla cd. faida di Roghumi; l’appartenenza, tra gli altri, alla cosca
capeggiata da Salvatore Maesano di Paolo Attina, come riferito dalle deposizioni
rese nel dibattimento di secondo grado dal collaboratore di giustizia Mesiano Carlo,
la cui attendibilità intrinseca ed estrinseca viene analizzata, per compiutamete
condividerla, dai giudici di merito di secondo grado; il contenuto di una serie di
conversazioni intercettate, acquisite dai giudici di secondo grado da altri
procedimenti, e in sede dibattimentale trascritte dalle quali emerge la figura centrale
e referente della cosca Maesano proprio dell’ Attina; la sua qualifica di “basista”,
conferitagli dalla cosca di appartenenza, grado di tutto rilievo che segnala una
posizione di vertice dell’affiliato in grado di gestire l’ esercizio del diritto di voto nel
18

fosse arrestato…” ed ancora altre, quale quella avvenuta il 1.4.2006 in cui due
soggetti, indiziati di appartenere alle cosche, tali Candido Concetto e Bruzzese
Francesco richiamano una” mangiata elettorale”,con la presenza di Crea Domenico
ed Antonio, Paolo Attinà e Leonardo Gangemi, commentandola con una frase che
coinvolge non certo i singoli partecipanti ,ma le cosche mafiose loro referenti, la
seguente.” ..c’è compare Mimmo gli dobbiamo dare una mano che è a disposizione
nostra”.. Il tutto evidenzia la continuità e la non occasionalità del patto politico
mafioso in vista delle elezioni che deve ritenersi vigente, in mancanza di circostanze
distoniche, per l’ intero arco temporale richiamato in contestazione. Non mancano poi
i giudici di merito, proprio in forza del novum acquisito in sede di dibattimento, di
svilire l’argomento,valorizzato dai giudici del parallelo processo abbreviato,
dell’assoluzione del Gangemi dal delitto associativo , rilevando i suoi collegamenti
con Morabito Giuseppe, capo della cosca omonima, e del di lui genero Giuseppe
Pansera, dei quali aveva favorito, giusta sentenza del gup di Reggio Calabria del
21.2.2006, la latitanza insieme ad altro personaggio mafioso di spicco, Vadalà
Vincenzo.

-11- La difesa del ricorrente Crea Domenico ha richiamato insistentemente le regole
indicate dalla sentenza Mannino per sostenere che alcun serio ed effettivo contributo
si sarebbe consumato per il consolidamento e rafforzamento dell’associazione
19

territorio di propria influenza. Ora delle numerose conversazioni dal cui contenuto
emerge la figura mafiosa d ell’Attinà, impegnato a raccogliere voti nell’ interesse
del gruppo di appartenenza, la difesa di Crea Domenico ne attenziona solo alcune,
riportandone spezzoni di brani e contestandone il il significato che ne traggono i
giudici di merito.
Occorre in proposito premettere che l’ interpretazione delle frasi e del linguaggio
usato dai soggetti interessati a quelle conversazioni intercettate, così come la
interpretazione degli elementi “esterni” qualificanti le medesime conversazioni
ambientali è questione di fatto, rimessa all’apprezzamento del giudice di merito, che
si sottrae al giudizio di legittimità, se – come nella fattispecie è accaduto – la
valutazione risulta logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate (in questo
senso Sez. 6 n. 43526 de13.10/9.11.2012, ric. Audino Domenico + a.; Sez. 6, n. 17619
del 08/01/2008, Gionta, Rv. 239724). Ma anche per un duplice ordine di ragioni il
taglio critico delle argomentazioni difensive non è vincente.
Da un lato perché minimizza ingiustificatamente quelle intercettazioni da cui i
giudici di merito traggono la convinzione della intraneità dell’ Attinà alla
associazione di `ndrangheta. Si richiamano in proposito le conversazioni tra terzi,
quella tra Proscenio Angelo e Pangallo Giovanni, che riferiscono del grado di
“basista” dell’Attinà e l’altra tra Mauro Domenico, condannato in via definitiva per il
reato di associazione a delinquere con sentenza passata in giudicato nel procedimento
cd. “Bellu lavoru” — Cass. 22.12.2012-, e Nucera Giuseppe in cui si indica
chiaramente quale sia la posizione ed il ruolo nel contesto della `ndrangheta della”
base”, organismo direttivo deputato ad azioni di coordinamento e controllo della
attività degli affiliatim nonché la vestizione di “basista” dell’ Attinà ed il significato
“tecnico” che una tale qualificazione riveste nel contesto criminogeno della
`ndrangheta. E l’affiliazione dell’ Attinà viene peraltro confermata e suggellata dalle
dichiarazioni del collaboratore di giustizia Mesiano Carlo rese nel dibattimento di
appello.
La seconda ragione che segnala l’ inconcludenza degli argomenti difensivi risiede nel
fatto della loro latitanza da un impegno volto a collegare le conversazioni dell’Attinà
con Crea Antonio, impegnato in un attivismo frenetico per la raccolta di voti per
l’elezione di Crea Domenico, con le relazioni che quest’ ultimo coltiva con
personaggi di `ndrangheta di spessore, quali, come sopra riferito, Vadalà Antonino,
Altomonte Sebastiano, Gangemi Leonardo, Pansera Giuseppe, collegamenti
qualificati dalle motivazioni per interessi che trascendono quelli personali per
attingere invece, da un lato, alle manifestate intenzioni dell’ imputato di accedere a
posizioni di vertice per disporre così dei finanziamenti pubblici a piacimento e per la
possibilità, dall’altro, di assumere, come da promesse, in regione persone comunque
collegate con i suoi interlocutori, venendo incontro così agli obiettivi criminosi dei
gruppi associativi a cui fanno riferimento questi ultimi.

20

criminosa, una volta escluso che 1 ‘omicidio di Francesco Fortugno sia collegato
etiologicamente alle cosche che avrebbero sostenuto nella campagna elettorale l’
imputato e che avrebbero inteso in tal modo dimostrare la loro perdurante efficacia e
stabilità nel territorio. In tal senso la difesa richiama le motivazioni della sentenza di
questa Corte ,Sez. 6, n, 43526 del 3.10/9.11.2012 che ricollegherebbe la causale dell’
omicidio Fortugno con l’ interesse dei fratelli Marcianò convinti che ” l’uccisione
dell’on. FORTUGNO, con l’automatico subentro nel consiglio regionale del CREA,
quale primo dei non eletti, avrebbe potuto dare concretezza a quelle aspettative di
assunzioni, “di incarichi ad alto livello” (così in una intercettazione ambientale tra
CREA Alessandro ed altro sostenitore dello stesso candidato), di favori e di sostegni
politico-affaristici, che essi MARCIANO avevano maturato nei confronti del CREA,
anche in base alle promesse che questi aveva fatto per il caso in cui fosse stato eletto
consigliere regionale”. Ne conseguirebbe che quel contributo causale non si
potrebbe in alcun modo configurare per non essere stato per nulla affrontato, sul
piano concreto, il tema del!’ effettivo consolidamento e rafforzamento della
associazione ed, ancora, quel sinallagma sarebbe sconfessato dal fatto che non è
stata per nulla dimostrata, nemmeno a livello di tentativo, la realizzazione delle
utilità promesse alla associazione dal politico e oggetto del patto elettorale mafioso.
La critica difensiva offre l’ occasione per una seria puntualizzazione ed un obbligato
aggiustamento degli approdi a cui è pervenuta la giurisprudenza di questa corte sul
dibattuto tema della necessaria opera di tipicizzazione della fattispecie del concorso
eventuale nel delitto associativo nella particolare prospettiva del patto politicomafioso. Certo la sentenza Mannino sul punto rappresenta il massimo sforzo,alla
stregua della legislazione vigente, di tipicizzazione della partecipazione ad
associazione mafiosa e, per quel che più rileva in questa sede, del concorso eventuale
alla predetta. Così il patto di scambio politico mafioso vede l’ uomo politico, non
inserito stabilmente nel tessuto consociativo criminoso e privo dell’ affectio
societatis, impegnarsi, e solo impegnarsi, a fronte dell’appoggio richiesto
all’associazione mafiosa in funzione della competizione elettorale, a rendere favori
agli interessi criminale del gruppo. L’ impegno dovrà essere serio e concreto in
ragione, recita testualmente la sentenza Mannino “, della affidabilità e della caratura
dei protagonisti del!’ accordo, dei caratteri strutturali del sodalizio criminoso, del
contesto storico di riferimento e della specificità dei contenuti”.Aggiunge ancora la
sentenza che occorrerà che ” all’esito della verifica probatoria “ex post” della loro
efficacia causale risulti accertato, sulla base di massime di esperienza dotate di
empirica plausibilità, che gli impegni assunti dal politico abbiano inciso
effettivamente e significativamente, di per sé ed a prescindere da successive ed
eventuali condotte esecutive dell’accordo, sulla conservazione o sul rafforzamento
delle capacità operative dell’intera organizzazione criminale o di sue articolazioni
settoriali.” Il richiamo alla operatività del nesso causale nella ricostruzione della
fattispecie è evidente: l’ associazione – organizzazione è il secondo termine della
relazione causale alla cui stregua definire il contributo causale esterno, così
superando la risalente tesi che richiedeva un collegamento con le singole condotte
criminose previste dal delitto associativo. Si è solito richiedere comunque per la

21

punibilità del concorso esterno, un contributo dotato di rilevanza causale ai fini della
conservazione e del rafforzamento del sodalizio. Nel caso di specie rileva la difesa,
non vi è prova del consolidamento e del rafforzamento delle associazioni criminose
che hanno stabilito il patto politico- elettorale.
Ritiene in proposito la Corte che, a pena di scivolare nelle sabbie mobili di un criterio
di tipizzazione del concorso esterno centrato sulla causalità riferita ad una condotta
oggetto di un giudizio di idoneità verso un evento – il mantenimento ed il
rafforzamento – evanescente e che sfugge alla concretezza del nesso causale collegato
ad un evento fisicamente palpabile, al fine in altre parole di evitare che il riferimento
alla categoria della causalità serva come espediente retorico che nasconde la ratio
decisoria indeterminata che guida il giudice nel verificare il rilievo penale del
concorso esterno, è necessario promuovere, nella prospettiva della problematica del
concorso esterno correlata al patto politico — mafioso, un discorso giustificativo più
aderente alla esigenza costituzionale della tipicità e tassatività della fattispecie
criminosa. Invero una tale esigenza è imposta dal fatto che altrimenti si dovrebbe
escludere la punibilità in caso di insuccesso, come è avvenuto nel caso di specie,
della campagna elettorale “mafiosa” per non essere stato il politico colluso risultato
vincitore, con la conseguente depotenziamento del clan di `ndrangheta che non ha
conseguito il risultato perseguito e magari con il potenziamento, certo non voluto,
dell’eventuale clan contrapposto che è riuscito a far eleggere l’avversario politico.
Eppure con evidenza il disvalore giuridico sociale è del tutto allineato al giudizio di
penale rilevanza della condotta di chi si è impegnato a strumentalizzare il mezzo
illecito, costituito dall’ operatività di una associazione mafiosa, per conseguire il
risultato della elezione alterando il corretto gioco democratico posto alla sua base.
Ne consegue che, fermo restando la sufficienza di un contributo dotato di rilevanza
causale, indispensabile per sfuggire alla perniciosa assimilazione del concorso
esterno con la più labile ed evanescente figura della contiguità, proprio per
ricondurre la connaturata flessibilizzazione del paradigma condizionalistico entro la
cornice costituzionale della necessaria tipicità e tassatività della fattispecie penale, il
patto politico- elettorale si collocherà a pieno nel contesto del disvalore giuridico
sociale previsto dall’art. 110 – 416 bis c.p. allorchè in seguito a quel patto si dia
inizio alla realizzazione di una delle prestazioni costitutive del suo oggetto, ferma
restando la serietà della promessa della prestazione corrispettiva: la messa in
movimento delle forze costitutive della associazione criminosa per l’accaparramento
dei voti necessari all’elezione del politico, fermo restando l’ impegno serio e concreto
di costui di agire, una volta eletto, per gli interessi e vantaggi dell’ organizzazione
criminosa. Peraltro una tale ricostruzione della fattispecie concorsuale esterna è il
linea con il dettato della disposizione incriminatrice che sotto questo aspetto deve
ritenersi vocata ad un mutamento di natura: da fattispecie tendenzialmente a carattere
preventivo a fattispecie di evento : il” fine di impedire o ostacolare il libero esercizio
del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali”,
previsto dall’art. 416 bis come oggetto del dolo specifico, dovendosi, quel fine, in
concreto iniziare a realizzarsi attraverso la finalizzazione dell’apparato associativo
alla raccolta dei voti attraverso in concreto riunioni, divisione dei compiti,scelta dei

-12- Fin qui l’ esame dei due ricorsi proposti dai due difensori di Crea Domenico
di “ndrangheta, le
relativi al delitto di concorso esterno in associazione
argomentazioni di entrambi quindi da rigettare. Inammissibile ,invece, il ricorso, in
ordine al reato contestatogli, di Attinà Paolo, per svolgere critiche di merito, peraltro
generiche e,in alcuni passaggi, di una certa oscurità. Manifestamente infondata,
peraltro, le censure in merito al difetto di correlazione tra imputazione e decisione: l’
aver configurato il concorso esterno ad una confederazione di cosche non è fatto
diverso, si ripete, dall’avere ritenuto in sentenza il concorso esterno alle singole
cosche anche se non confederate. Contestare la credibilità delle dichiarazioni di
Mesiano Salvatore, senza la presa di atto delle circostanze considerate dai giudici
di merito che ne attestano la credibilità intrinseca ed estrinseca con riferimento alla
posizione di Attinà Paolo, quale intraneo alla cosca Zavettieri-Pangallo-Maesano di
Roghudi, ma rilevandone altre, di circostanze, diverse non incidenti sulla congruità e
logicità del ragionamento giudiziale, quale l’assoluzione in grado di appello di un
componente l’associazione, ovvero la risposta al giudice del dibattimento del
collaboratore di giustizia che ha escluso di conoscere, lui, collegamenti tra Attinà e
Crea Domenico, non infirma certo le risultanze processuali conseguenti al valore
delle conversazioni intercettate e delle altre circostanze che depongono per i
collegamenti dell’ Attinà con il predetto Crea e il di lui figlio e per l’ l’ impegno da
Inconcludente, poi, deve
lui profuso nella campagna elettorale del primo.
qualificarsi la lunga dissertazione sulle condizioni di utilizzabilità e validità della
deposizione dei collaboratori di giustizia alla stregua della normativa prescritta degli
att. 197 e 210 c.p.p. senza alcuna specificazione della rilevanza con riferimento alle
dichiarazioni rese in dibattimento, con la necessaria presenza dei difensori delle
parti, e quindi nel pieno contraddittorio, di Mesiano Carlo e senza per nulla indicare
la ragione nel concreto della invalidità ed inutilizzabilità delle predette. Deve
registrarsi ancora il tentativo, di sovrapporre le proprie valutazioni di merito sul
significato di solo alcune conversazioni intercettate a quelle esposte, con non certo
manifesta illogicità, dai giudici di merito ed indicate nei paragrafi precedenti. Infine
assertive,perché non sorrette dalla benché minima esplicitazione delle ragioni a
sostegno, le richieste di un trattamento sanzionatorio più mite e della revoca delle
statuizioni civili.
-13- Alle ragioni di doglianza nelle parti relative ai reati di cui ai capi H) e K)
contestati a Crea Domenico la risposta giudiziale deve concludersi, anche a fronte
della loro infondatezza, con la declaratoria di prescrizione intervenuta per i reati di
falso e di abuso di cui al primo capo, perché commessi il 6.6.2005, alla data del
6.12.2012, per il reato di falso di cui al secondo capo, perché commesso al più tardi il
23.3.2006, alla data del 23.9.2013.
La declaratoria di prescrizione non esime però la Corte, anzi glielo impone, di
rilevare la correttezza e congruità delle valutazioni dei giudici di merito che hanno
22

contesti sociali su cui interferire. Il che nella specie è risultato di certo acquisito nelle
carte processuale e nella valorizzazione che di esse hanno fatto i giudici di merito.

23

ritenuto la responsabilità penale del prevenuto in ordine ai predetti delitti, quella
responsabilità in sede di legittimità dovendosi ribadire ai sensi e per gli effetti
dell’art. 578 c.p.p. , con la conseguente conferma,a fronte della costituzione delle
parti civili, delle statuizioni in merito alla colpevolezza del prevenuto.
Ora non vale contestare la non falsità della delibera concernente lo storno del bilancio
di risorse dalla assistenza farmaceutica a quella assistenziale, con il rilevare che il
funzionario, dr. Biamonte, responsabile della attestazione, con nota costituita da una
missiva fax spedita all’ ASL 11 di R.C. il 23.5.2005 ma datata 22.4.2005, dello
squilibrio tra, per l’appunto, la spesa prevista nel bilancio per le prestazioni
farmaceutiche e la spesa relativa alle prestazioni riabilitative, è stato assolto nel
parallelo giudizio abbreviato. A prescindere dall’autonomia dei due giudizi e dalla
possibilità di un loro contrasto, al cui rimedio, se possibile, l’ ordinamento appresta i
mezzi tecnici, i motivi di ricorso sul punto omettono di considerare l’
implementazione probatoria avvenuta nel dibattimento di appello attraverso le
deposizioni, tra le altre, del nuovo assessore regionale della sanità, Doris Lo Moro ed
il commissario prefettizio dell’ Asl 11 di Reggio Calabria, Giuseppe Priolo, che
hanno concordemente attestato che di un tale sperequazione non vi erano i
presupposti né sostanziali né procedurali per non essere stata la sua attestazione
preceduta da alcuna formale verifica al riguardo. Peraltro una tale verità è dato trarre
— affrontando in questo modo la contestazione dell’abuso di ufficio – dalla condotta
dell’ imputato al riguardo, dalla velocità sorprendente caratterizzante le fasi
procedurali tutte funzionali a stornare la somma di euro 500.000,00 a favore della
Villa Anya di cui l’ imputato era l’effettivo proprietario e gestore. Invero i giudici di
merito hanno segnalato una serie di anomalie trasudanti interessi privati, favoritismi,
metodi spudoratamente clientelari nei rapporti tra P.A. e cittadino: la missiva del
22.4.2005 redatta dal Biamonte mai protocollata, non presente agli atti ufficiali della
Direzione generale del Dipartimento dell’assessorato, rinvenuta in sede di
perquisizione sotto il passamano di pelle sulla scrivania di Biamonte, la trasmissione
della predetta nota per fax in data 23.5.2005 dall’assessorato regionale della sanità
all’ASL lidi R.C., la adozione nella stessa data della delibera 492 della Azienda
ospedaliera che apportava modifiche al bilancio preventivo del!’ azienda ospedaliera,
pur approvato pochi giorni prima, l’ attivismo frenetico dell’ imputato, come da
intercettazioni telefoniche, che esercita pressioni verso i funzionari per accelerare
tutta la procedura finalizzata alla stipula in tempi ristrettissimi della convenzione tra
l’ ASL e villa Anya ed a remunerare alla società correlata per l’anno 2005 le
prestazioni di ricovero in residenza sanitaria assistenziale – RSA e RSA/M. Il tutto
nel contesto di una gestione privatistica se non domestica della cosa pubblica.
In proposito anche in questa sede occorre ribadire che in tema di abuso di ufficio il
requisito della violazione di legge o di regolamento può consistere anche nella
inosservanza del principio di imparzialità previsto dall’art. 97 comma primo cost. che
impone ad ogni pubblico funzionario nell’esercizio delle sue funzioni, una vera e
propria regola di comportamento quale quella di non usare il potere che la legge gli
conferisce per compiere deliberati trattamenti di favore (Sez. 6, 30.1/15.3.2013,
Raddusa B.,Rv. 256003; Sez. 6, 17.2/13.7.2011, Acquistucci, Rv. 250422; Sez. 2,

-14- Parimenti infondata è la censura, comune anche per questa parte al ricorso proposto
da Crea Antonio, che mira a rilevare il vizio di motivazione della sentenza in ordine alla
truffa — di cui al capo Q) – perpetrata dai due imputati. Comune la critica difensiva: non
contestata la richiesta dei responsabili della struttura sanitaria di chiedere ed ottenere, la
retta giornaliera per assistiti assenti però dalla struttura. Comune anche l’ elemento
distonico alla accusa: mancanza di consapevolezza della assenza o anche della richiesta
da parte dei due imputati la cui responsabilità sarebbe stata tratta dalla loro posizione
statica in seno alla struttura. Ma la critica non coglie affatto nel segno: la piena
consapevolezza di Crea Antonio è stata tratta dai giudici di merito non solo
considerando il suo ruolo in senso alla struttura di direttore sanitario, e quindi controllore
della presenza e della salute dei pazienti, ma anche dal contenuto delle conversazioni
intercettate, tutte analiticamente indicate dai giudici di merito che dalla valutazione del
24

10.6/10.9.2008, P.G. in proc. Masucci e a.,Rv. 243183; Sez. 6, 12.2/19.6.2008, P.M.
in proc. c. Sassara e a.,Rv. 239892). Ne consegue che anche le prassi interne di
ripartizione degli affari, come dei tempi di decantazione e deliberazione delle
decisioni costituiscono strumenti di trasparenza che si traducono, esemplificando per
il caso di specie, nel divieto di ingiustificate preferenze o di favoritismi, divieto che
impone al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio una precisa regola di
comportamento di immediata applicazione. In tale prospettiva già in precedenza si è
ritenuto ravvisabile il delitto di abuso d’ufficio in un caso in cui il funzionario della
Motorizzazione civile aveva provveduto sistematicamente al preferenziale disbrigo delle
pratiche avviate da una specifica agenzia, a discapito delle altre agenzie di pratiche
automobilistiche( in termini, Sez. 12.2.2008 cit.). Da quanto precede consegue,
contrariamente all’avviso della difesa del ricorrente, che nel caso di specie ,in relazione
all’abuso, è dato riscontrare il requisito della doppia ingiustizia afferente e all’evento
dell’ ingiusto vantaggio patrimoniale per il prevenuto ed all’ ingiustizia della condotta
del p.u. nella misura in cui si è svolto secondo cadenze e ritmi sorprendentemente
accelerati, condizionati dall’attivismo frenetico, rispetto alla normalità, dell’ interessato
impegnato ad accelerare l’attività e la remunerazione della sua clinica privata come
convenzionata con l’ ASL 11 di Reggio Calabria.
Parimenti irreprensibile, con riferimento al falso di cui al capo K), il discorso
giustificativo dei giudici reggini in merito al delitto di concorso esterno nel falso sul
presupposto costitutivo dell’atto conclusivo della procedura innescata dal sopralluogo
dei NAS nella struttura assistenziale, che ne rilevava disfunzioni ed irregolarità e
costituito,quel presupposto, dal rappresentare come effettuata una visita di controllo da
parte dell’ ASL che non avrebbe accertato, contrariamente a quanto rilevato dai NAS,
irregolarità di sorta. In proposito i giudici di merito segnalano che alcuna
verbalizzazione dell’ accesso da parte dei funzionari dell’ ASL n 11 era stata effettuata,
che dai contatti telefonici promossi dall’ imputato avverso i funzionari responsabili si
traeva il fatto che questi ultimi avevano assicurato, a prescindere da ogni atto ispettivo,
meramente formale, il buon esito della verifica. Da qui la logica conclusione,
inattaccabile sul piano della legittimità, di un accesso che non si è verificato o se
apparentemente compiuto, dall’ esito scontato a prescindere da ogni concreto
accertamento sulle disfunzioni, peraltro denunciate dai NAS, alla struttura.

-15- Per la risposta alle ragioni di doglianza mosse da Crea Antonio avverso le parti
della sentenza che hanno riferimento ai reati di cui è stato ritenuto il solo responsabile- i
delitti di falso di cui ai capi N, O e P -, con riferimento alle censure in rito, può
rimandarsi a quanto esposto con riferimento alla posizione del coimputato, Crea
Domenico, che muove alla sentenza le identiche, anche nella esposizione formale,
critiche. Le ulteriori , quelle afferenti ai singoli delitti, si rivelano del tutto infondate,
anche se il rigetto del ricorso, per quanto riguarda i reati di falso di cui ai capi N, O e P
deve cedere il passo alla declaratoria di estinzione perchè prescritti.
Così quanto al reato – capo N — delle false certificazioni, ex art. 481 c.p., delle visite
geriatriche di Magro Carmela, Crea Paola, Gullì Giovanna e Vadalà Antonia,
materialmente redatte, con il concorso morale dell’ imputato, dal responsabile dell’
Ufficio di valutazione del!’ ASSL, Asaro Salvatore, già condannato dal gip nel prescelto
rito abbreviato, il ricorrente ammette la falsità dell’ indicazione del giorno della visita,
rilevandone la sua innocuità per provare il certificato solo la effettività della visita e non
il tempo della sua effettuazione. La argomentazione non convince e in diritto e in fatto.
In diritto per la possibile rilevanza del giorno della visita sia con riferimento alle attuale
condizioni di salute sia con riferimento ad altri effetti, da quel certificato condizionate,
quali, esemplificando, la data del ricovero in clinica, la data dalla quale acquisire il
diritto di chiedere ed ottenere la retta et similia. Invero in tema di falsità documentali,
ricorre il cosiddetto “falso innocuo” nei casi in cui l’infedele attestazione (nel falso
ideologico nella specie) siano del tutto irrilevanti ai fini del significato dell’atto, non
esplicando effetti sulla funzione documentale dell’atto stesso la attestazione dei dati in
esso indicati, con la conseguenza che l’innocuità non deve essere valutata con
riferimento all’uso che dell’atto falso venga fatto. E nel caso di specie rilevavano le
condizioni di salute hic ed nunc. Ma è sul piano della ricostruzione del fatto che il
motivo di ricorso si rivela del tutto latitante : invero i giudici di merito dai contatti
telefonici tra i coimputati, Crea Antonio ed Asaro Salvatore, deducono che i due
concordavano i tempi ed le modalità delle visite solo ai fini della redazione del
certificato su visite in realtà mai effettuate, funzionale il certificato solo a giustificare
il ricovero delle persone nella clinica della famiglia Crea. Il reato, consumato nel
Marzo Maggio 2006, si è prescritto nel Settembre- Ottobre 2013.
Parimenti si è svolto lungo cadenze argomentate corrette e logiche il discorso
giustificativo giudiziale in merito alla falsità ideologica della cartelle cliniche relative
25

loro contenuto hanno tratto con rigore la convinzione della conoscenza della assenza
delle persone come indicate nel capo di imputazione. Con riferimento poi al coimputato,
Crea Domenico, i giudici di merito hanno non solo valorizzato il ruolo di vero e proprio
dominus della struttura ospedaliera, ma hanno rimarcato l’ impegno del prevenuto di
interessarsi,e lui solo, del funzionamento della struttura, tramite gli assidui contatti e
collegamento con i responsabili dell’ ASL. Al tutto poi i giudici non hanno mancato di
aggiungere valutazioni in merito a quanto tratto dalle conversazioni sempre intercettate
di Iacopino Antonio, uomo di fiducia del Crea Domenico all’ interno della struttura
sanitaria ,dalle quali è dato trarre, secondo il discorso motivato dei giudici di merito, e
per nulla considerato dai ricorrenti, della sua conoscenza del dato obiettivo costituito dal
meccanismo truffaldino praticato.

- 16- Non è prescritto, invece, allo stato il reato di falso di cui al capo S commesso il
6.8.2006. In tale data Crea Antonio, nella sua qualità di direttore sanitario della
clinica convenzionata, attestava falsamente nel diario clinico di essere presente nella
struttura sanitaria nel momento del trasferimento della paziente Falcone Maria dalla
villa Anya al P.S. di Melito Porto Salvo. Pacifica l’ assenza dell’ imputato dalla
struttura sanitaria, la difesa eccepisce l’ innocuità del falso. In diritto la tesi non è
fondata nella misura in cui la cartella clinica redatta dal medico di una struttura
sanitaria convenzionata ha natura di atto pubblico munito di fede privilegiata con
riferimento alla sua provenienza dal pubblico ufficiale e ai fatti da questi attestati
come avvenuti in sua presenza( cfr., in termini, Sez. v, 16.4.4.8.2009, P. e altro, Rv.
244907).
-17- Sono ancora infondati i ricorsi proposti da Crea Domenico,nella sua qualità di
imputato, e da Familiari Angela, Crea Antonio e Crea Annunziata, nella loro qualità
di terzi interessati, avverso la statuizione giudiziale della confisca ex art. 12 sexies 1.
n. 356/1992, dei beni già oggetto di sequestro preventivo, sostanzialmente
riconducibili alla struttura sanitaria di villa Anya
Con riferimento ai terzi ricorrenti, che contestano la ravvisata discrasia tra l’
intestazione formale e la proprietà effettiva della struttura sanitaria, occorre
premettere che la presunzione relativa di illecita accumulazione patrimoniale,
prevista nella speciale ipotesi di confisca di cui all’art. 12-sexies legge 7 agosto 1992,
n. 356, non opera nel caso in cui il cespite sequestrato sia formalmente intestato ad un
terzo, né può farsi riferimento all’indagine sulla sproporzione ed alla natura
alternativa o cumulativa dei parametri richiamati dallo stesso art. 12 sexies cit.
Ma a fronte della non contestata non disponibilità da parte dei terzi delle elevatissime
risorse economiche per la costituzione della società ” Villa Anja” – nell’anno 2001
fino all’ inizio della effettiva attività della struttura sanitaria — 2005-, indisponibilità
evidenziata dagli esiti degli accertamenti sulle effettive risorse economiche dei
ricorrenti, come considerate dai giudici di merito, l’ onere probatorio si trasferisce
dall’ organo dell’accusa ai terzi che però, nella specie, affidano la loro difese al mero
dato costituito dalla intestazione formale dei beni. Generiche, quindi, le doglianze
26

alle degenti Sgrò Maria — capo O — e Marraapodi Aurelia — capo P — laddove si
attestava il loro trasferimento dalla villa Anya in un orario nel quale le trasferite in
vita erano in effetti in precedenza decedute, come era agevole desumere dalla
conversazioni intercettate e riportate puntualmente in sede di motivazione della
sentenza. Anche per queste condotte la difesa richiama ed eccepisce il falso innocuo,
ma senza fondamento: l’ attestazione in una cartella clinica rilasciata da una struttura
sanitaria convenzionata che “un morto è vivo” tradisce la funzione di verità del
documento che ha natura di atto pubblico in ordine al momento, al luogo e alle cause
de decesso(cfr., per tutte, Sez. 6, 22.11.2012/25.2.2013,Incoronato e a. Rv. 255314). I
reati, comunque, commessi rispettivamente l’ 11.2.2006, l’uno, il 18.6.2006,1′ altro
sono prescritti rispettivamente alle date dell’ 11.8.2013 e del 18.122013.

27

costitutive dei motivi dei ricorsi di Crea Annunziata e Familiari Angela, nonché, per
la parte relativa, il ricorso di Crea Antonio.
Più articolato il ricorso sulla misura patrimoniale adottata di Crea Antonio, l’
effettivo gestore e dominus della struttura sanitaria per assistenza anziani, villa Anya,
ma certo non fondato. Devesi premettere che l’ att. 12 sexies cit. stabilisce una
presunzione relativa di illecita accumulazione in presenza di patrimoni nella
disponibilità di imputati di reati particolarmente significativi, quale l’associazione a
delinquere di stampo mafioso, nella prospettiva dell’arricchimento criminale. Trattasi
di una presunzione iuris tantum, nel senso che la prova liberatoria non può essere
intesa in senso squisitamente civilistico, bensì nel senso della necessità di elementi
giustificativi attendibili e circostanziati, che, in concreto, il giudice deve valutare
secondo il principio della libertà di prova e del proprio libero convincimento (v., per
tutte, Cass. Sez. 1, 21.2/21.3.2013, Coniglione, Rv 255082).
Ora sulle giustificazioni fornite dall’interessato, i giudici di merito hanno condotto un
discorso giustificativo della loro inattendibilità, sulla scia dei dati evidenziati da una
consulenza tecnica contabile d’ ufficio, che si segnala per la puntualità e correttezza
dei dati e dei criteri di ragione adottati. Le integrazioni probatorie fornite dalla difesa
nel corso del giudizio di secondo grado attraverso le consulenze del perito agronomo,
Domenico Ielo, e del commercialista, Sergio Giordano, nel senso di ricavi per circa
due miliardi di vecchie lire dalla coltivazione di bergamotto per una estensione di
circa 20 ettari per il primo e nel senso di un miliardo in contanti risalente ai risparmi
dell ‘ imputato, sono state analizzate dai giudici di merito e ritenute, con serio, pr
l’appunto, ragionamento logico, non concludenti. Invero si è opportunamente
rimarcato, da un lato, che il calcolo dei redditi fondiari è stato operato sulla base di
elementi presuntivi, senza alcun riferimento a dati concreti e verificabili dai quali si
potesse desumere la effettiva coltivazione dei fondi e l’ effettività dei ricavi, una
volta detratte le necessarie ed ingenti spese per la coltivazione, non certo possibile in
base alle sole forze di un coltivatore diretto. Dall’altro si è ancora argomentato sulla
inverosimiglianza di un risparmio, quello del genitore del Crea, risalente nel tempo,
di tale entità conservato ” sotto il materasso” come proposto dalla ricostruzione
difensiva e versato sul c/c in data 15.11.2011 . Parimenti il riferimento difensivo ai
mutui contratti, ed alle risorse economiche dei c/c derivanti dalla attività politica
dell’ imputato è stato ritenuto correttamente inadeguato a dare giustificazione di un
investimento così rilevante. Non mancano i giudici di merito di richiamare la
condanna di Crea Domenico, nella sua qualità di Presidente del gruppo consiliare
del CCD in Consiglio regionale, del tribunale di R.C. datata 21.12.2011 per aver
utilizzato per fini privati fondi del suo partito ammontanti ad euro 543.000,00, come
anche la condanna della di lui moglie Familiari Angela che negli anni, dal 2002 al
2005, aveva versato su un conto corrente cointestato con il marito la somma di euro
1.862.760, di cui euro 275.000,00 provenienti dal coniuge. Se il tutto viene
inquadrato nel contesto del tempo impiegato dall’ imputato nelle competizioni
politiche regionali e nel quadro di una personalità che, nel corso di conversazioni
intercettate e riportate fedelmente dai giudici di merito, manifesta la sua
insoddisfazione per la modestia dello stipendio di un assessore regionale ammontante

-18- L’I’ultimo pur breve rilievo deve dedicarsi alle censure del ricorrente Crea
Domenico e Crea Antonio che si dolgono della mancata concessione delle attenuanti
generiche e complessivamente del trattamento sanzionatorio loro riservato dai
giudici di merito. Sul punto, a fronte della genericità delle argomentazioni difensive
che richiamano, unitamente allo loro stato di incensuratezza„ da un lato, per Crea
Antonio, l’obbligo di una specifica motivazione allorché il giudice si discosti dal
minimo edittale per la determinazione della pena, dall’altro, per Crea Domenico, l’
omessa considerazione del!’ imputazione di concorso esterno, e non di partecipazione
all’associazione criminale, basterà rilevate che i giudici di merito hanno fatto perno
sulla ” peculiare gravità e modalità delle condotte poste in essere dagli imputati ,
sulla continuità nel tempo di comportamenti improntati ad una illegalità diffusa in un
contesto caratterizzato da un pericoloso, pervicace , endemico contesto di ‘
ndranfgeta”. Ora per il diniego della concessione delle attenuanti generiche a
entrambi i ricorrenti non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli
elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è
sufficiente il riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, purché la
valutazione di tale rilevanza tenga obbligatoriamente conto, a pena di illegittimità
della motivazione, delle specifiche considerazioni mosse sul punto dall’interessato.
Quanto poi al trattamento sanzionatorio riservato a Crea Domenico – per Crea
Antonio sul punto occorre annullare la decisione con rinvio per la rideterminazione
della pena in seguito alle ritenute prescrizioni — basta ancora una volta puntualizzare
che è sufficiente, per salvaguardare la statuizione da vizi di legittimità, che dalla
motivazione risulti la considerazione conclusiva e determinante in base a cui è stata
adottata la decisione. Invero il giudice del merito, con la enunciazione, anche
sintetica, della eseguita valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell’art. 133 cod.
pen., assolve adeguatamente all’obbligo della motivazione: tale valutazione
rientrando nella sua discrezionalità e non postulando una analitica esposizione dei
criteri adottati per addivenirvi in concreto.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Crea Domenico
relativamente ai reati di cui ai capi H e K perché estinti per prescrizione ed elimina la
relativa pena di sette mesi di reclusione; rigetta nel resto il ricorso di Crea Domenico.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Crea Antonio
relativamente ai capi N,0 e P perché estinti per prescrizione e con rinvio ad altra
sezione della corte di appello di Reggio Calabria per la determinazione della pena
relativamente ai reati di cui ai capi Q ed S; rigetta nel resto. Dichiara inammissibili i
ricorsi di Attinà Paolo, Crea Annunziata e Familiari Angela e condanna i predetti al
28

a circa euro 10.000,00 al mese e l’ interesse invece a gestire i milioni dei fondi
pubblici, provenienti anche dalla comunità economica europea, è agevole il giudizio
secondo cui il ricorrente non è stato per nulla in grado di vincere la presunzione
relativa prevista dall’art. 12 sexies 1. n. 356/1992.


pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento di euro mille alla Cassa
delle Ammende. Conferma le statuizioni civili e condanna Crea Domenico, Una
Antonio ed Attinà Paolo alla rifusione in solido delle spese del presente grado in
favore della parte civile Regione Calabria che si liquidano in euro tremila oltre
accessori per legge, nonché Crea Domenico e Crea Antonio, in solido tra loro, anche
in favore dell’ Azienda provinciale di Reggio Calabria che liquida in complessive
euro tremila oltre accessori per legge.

Così deciso in Roma il 22.1.2014

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA