Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8027 del 25/11/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 8027 Anno 2016
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: BASSI ALESSANDRA

Data Udienza: 25/11/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento del 15 maggio 2015, in parziale riforma della
sentenza del 22 ottobre 2014 del Giudice dell’udienza preliminare di Milano
pronunciata all’esito di giudizio abbreviato, la Corte d’appello del capoluogo
lombardo ha rideterminato, in anni tre e mesi quattro di reclusione e 16.000
euro di multa, la pena inflitta nei confronti di Mourad Lahrach e Antonio
Sanfilippo per il reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 73, comma 1-bis, e 80,

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comma 2, d.P.R. n. 309/1990 (per avere illecitamente detenuto 54,7 chili di
marijuana), confermando nel resto l’appellata sentenza.
2.

Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’Avv. Antonio Lucio

Abbondanza, difensore di fiducia di Antonio Sanfilippo, e ne ha chiesto
l’annullamento per i seguenti motivi:
2.1. violazione di legge penale e processuale e vizio di motivazione in
relazione agli artt. 125, 192, 530 e 546, lett. e), cod. proc. pen., 110 cod. pen. e
73 d.P.R. n. 309/1990, per avere la Corte d’appello confermato il giudizio di
penale responsabilità a carico del Sanfilippo sulla base di una ricostruzione dei

considerazione le argomentazioni difensive concernenti la natura del rapporto d’amicizia e lavorativo – esistente fra l’assistito e Guadagno ed il tenore dei
dialoghi captati;
2.2. violazione di legge penale e processuale e vizio di motivazione in
relazione agli artt. 62-bis e 133 cod. pen. e 546, lett. e), cod. proc. pen., in
ordine alla denegata applicazione delle circostanze attenuanti generiche ed alla
determinazione della pena;
2.3. violazione di legge penale e processuale e vizio di motivazione in
relazione all’art. 603 cod. proc. peri., per avere la Corte disposto l’acquisizione
degli esami di laboratorio della sostanza stupefacente, non acquisiti agli atti nel
giudizio di primo grado;
2.4. violazione di legge penale e processuale e vizio di motivazione in
relazione all’art. 80 d.P.R. n. 309/1990, per avere la Corte ritenuto sussistente la
circostanza aggravante in oggetto contravvenendo all’onere di verificare se,
avuto riguardo a tutte le circostanze dell’azione, il dato mero ponderale, pur
superiore alle 2000 volte il cosiddetto valore-soglia, sia tale da giustificare
l’aggravamento della pena.
3. Avverso la sentenza ha proposto ricorso anche l’Avv. Francesca Cramis,
difensore di fiducia di Lahrach Mourad, e ne ha chiesto l’annullamento per i
seguenti motivi:
3.1. violazione di legge processuale in relazione agli artt. 191, 416, 419,
438 e seguenti e 603 cod. proc. pen., per avere la Corte d’appello acquisito
d’ufficio la consulenza tecnica non allegata alla richiesta di rinvio a giudizio;
3.2. violazione di legge penale e processuale e vizio di motivazione in
relazione all’art. 80 d.P.R. n. 309/1990, per avere la Corte ritenuto sussistente la
circostanza aggravante in oggetto in considerazione del solo dato ponderale,
superiore alle 2000 volte il cosiddetto valore soglia; evidenzia il ricorrente, da un
lato, che detto parametro è stato travolto dalla dichiarazione di incostituzionalità
con sentenza n. 32 del 2014; dall’altro lato, che non risulta accertato l’esatto
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fatti contraddittoria rispetto agli atti processuali e omettendo di prendere in

quantitativo di sostanza stupefacente pura, atteso che, ai fini delle analisi, dagli
oltre 40 chili di sostanza stupefacente lorda sono stati prelevati campioni di
minima entità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.
2. Il primo motivo dedotto dal Sanfilippo – col quale il ricorrente si duole
della conferma del giudizio di penale responsabilità a proprio carico – ripropone i
medesimi argomenti già dedotti con i motivi d’appello e non si confronta con le

principi espressi da questa Corte, comporta l’inammissibilità del motivo, atteso
che i motivi costituenti mera replica di quelli già dedotti in appello e
puntualmente disattesi dalla Corte di merito non possono ritenersi specifici, ma
risultano soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di
una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Cass. Sez. 6, n.
20377 del 11/03/2009, Arnone e altri, Rv. 243838).
2.1. Ad ogni modo, il motivo poggia su considerazioni di mero fatto, che
tendono ad una rivisitazione della ricostruzione dei fatti e della loro valutazione
operata dai giudici della cognizione ed, in effetti, non deducono nessuno dei vizi
riconducibili all’alveo del disposto dell’art. 606 cod. proc. pen. Ed invero, a fronte
di una plausibile ricostruzione della vicenda, come descritta in narrativa, e dei
precisi riferimenti probatori operati dal giudice di merito, in questa sede, non è
ammessa alcuna incursione nelle risultanze processuali per giungere a diverse
ipotesi ricostruttive dei fatti, dovendosi la Corte di legittimità limitare a
ripercorrere l’iter argomentativo svolto dal giudice di merito per verificarne la
completezza e la insussistenza di vizi logici ictu °cui/ percepibili, senza possibilità
di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (ex
plurimis Cass. Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074).
2.2. Mette conto rilevare come, dopo avere dato atto dei motivi d’appello
(nelle pagine 10 e seguenti della sentenza in verifica), la Corte territoriale abbia
esplicitato – con considerazioni aderenti alle risultanze degli atti e conformi a
logica – le ragioni per le quali abbia ritenuto corretta l’affermazione della penale
responsabilità del Sanfilippo, prendendo puntualmente in esame sia la natura dei
rapporti fra il ricorrente e Guadagno, sia il tenore dei dialoghi intercettati.
L’accurato compendio argomentativo risulta scevro da illogicità manifeste e
non è pertanto censurabile nella sede di legittimità.
3. Al pari inammissibile è il secondo motivo di doglianza del Sanfilippo
concernente le circostanze ex art. 62-bis cod. pen. e la dosimetria della pena.

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puntuali risposte fornite dalla Corte territoriale. Il che, secondo i consolidati

Va invero rilevato come la determinazione della pena entro il minimo e il
massimo edittale rientri tra i poteri discrezionali del giudice di merito e sia
pertanto insindacabile nella sede di legittimità allorchè sia sostenuta da una
motivazione adeguata (Cass. Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Ferrario Rv.
259142). Allo stesso modo, esula dai poteri della Corte di legittimità quello di
una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui
valutazione è riservata, in via esclusiva, al giudice di merito, sicchè non
censurabile la decisione assunta dal decidente di merito in relazione alle
circostanze attenuanti generiche allorchè si fondi su argomentazioni puntuali ed

Tanto premesso in linea generale, nessun rilievo può essere mosso
all’apparato argomentativo sviluppato dalla Corte lombarda là dove ha
giustificato la denegata applicazione delle circostanze attenuanti generiche e la
determinazione della pena nei termini indicati nel dispositivo con considerazioni
lineari e circostanziate, non sindacabili col ricorso per cassazione (v. pagina 14
dell’impugnato provvedimento).
4. Coglie palesemente fuori segno il motivo, comune ad entrambi i ricorrenti
(punti 2.3. e 3.1. del ritenuto in fatto), con il quale si è contestata l’acquisizione
da parte del Giudice distrettuale degli esami di laboratorio della sostanza
stupefacente.
4.1. Sotto un primo aspetto, va posto in evidenza che, come dato atto nelle
pagine 11 e 12 della sentenza impugnata, il Collegio lombardo ha disposto
l’acquisizione dei verbali di prelievo e campionamento e della relazione di analisi,
di cui si faceva menzione nella annotazione di P.G. presente nel fascicolo del
pubblico ministero all’atto della richiesta avanzata dagli imputati di definizione
del processo a loro carico con il rito abbreviato. La disposta acquisizione
costituisce pertanto, non un atto di rinnovazione dell’istruttoria disposto
officio,

ex

bensì mero adempimento di integrazione e completamento della

trasmissione degli atti, all’evidenza disposta in modo incompleto dall’inquirente,
avente ad oggetto documenti che, in quanto richiamati nell’annotazione di P.G.,
avrebbero dovuto già farne parte ab origine, ed i cui risultati erano ad ogni modo
riportati nell’atto già trasmesso.
4.2. Sotto diverso aspetto, va evidenziato che, secondo la consolidata
giurisprudenza di questa Corte, il giudice può esercitare il potere officioso di
integrazione probatoria anche nel giudizio abbreviato d’appello, perché la
previsione dell’art. 441, comma 5, cod. proc. pen., che attribuisce tale potere al
giudice del rito abbreviato in primo grado, è estensibile, con gli stessi limiti, a
quello del grado successivo, e la sua valutazione discrezionale circa la necessità
della prova non è censurabile in sede di legittimità, se congruamente motivata
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immuni da censure logico giuridiche.

A

(v. da ultimo, Sez. 2, n. 35987 del 17/6/2010, Melillo, Rv. 248181; Sez. 6, n.
30590 del 16/06/2010 – dep. 02/08/2010, C., Rv. 248043).
5. All’evidenza destituito di fondamento è anche il motivo – comune ad
entrambi i ricorrenti – concernente la contestata applicazione della circostanza
aggravante di cui all’art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309/1990.
5.1. Giova rilevare che la circostanza aggravante in parola ha natura
oggettiva e dipende dalla eccezionalità, sotto il profilo ponderale, del quantitativo
di sostanza oggetto della condotta, in considerazione del grave pericolo per la
salute pubblica che lo smercio di un tale quantitativo comporta, conseguente alla

l’elevatissimo numero di dosi da esso ricavabili. Come hanno sancito le Sezioni
Unite di questa Corte, la circostanza aggravante speciale prevista dall’art. 80,
comma 2, d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, la cui ratio legis è da ravvisare
nell’incremento del pericolo per la salute pubblica, ricorre ogni qualvolta il
quantitativo di sostanza oggetto di imputazione, pur non raggiungendo valori
massimi, sia tale da creare condizioni di agevolazione del consumo nei riguardi di
un rilevante numero di tossicodipendenti, secondo l’apprezzamento del giudice
del merito che, vivendo la realtà sociale del comprensorio territoriale nel quale
opera, è da ritenersi in grado di apprezzare specificamente la ricorrenza di tale
circostanza (Sez. U, n. 17 del 21/06/2000 – dep. 21/09/2000, Primavera e altri,
Rv. 216666).
Nell’intento di fissare dei parametri obbiettivi e, precisamente, di definire la
quantità minima necessaria perché possa operare l’aggravante in parola, le
Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che l’aggravante di cui all’art. 80,
comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990, non è di norma ravvisabile quando la quantità
sia inferiore a 2.000 volte il valore massimo, in milligrammi (valore – soglia),
determinato per ogni sostanza nella tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006,
ferma restando la discrezionale valutazione del giudice di merito, quando tale
quantità sia superata (Sez. U, n. 36258 del 24/05/2012 – dep. 20/09/2012, P.G.
e Biondi, Rv. 253150).
Successivamente, questo Giudice di legittimità ha precisato che, ai fini della
configurabilità della circostanza aggravante della ingente quantità, il
superamento del sopra indicato limite quantitativo non determina
automaticamente la sussistenza dell’ipotesi aggravata, dovendo, in ogni caso,
aversi riguardo alle circostanze del caso concreto (Sez. 6, n. 43771 del
07/10/2014 – dep. 20/10/2014, Ammer e altro, Rv. 260715).
5.2. Dei sopra delineati principi hanno fatto buon governo i Giudici della
cognizione di primo e di secondo grado, là dove, nel ritenere sussistenti i
presupposti della circostanza aggravante in oggetto, dopo avere evidenziato la

possibilità di soddisfare le richieste di numerosissimi consumatori per

percentuale di principio attivo presente nel quantitativo di sostanza sequestrata
(5995 grammi) ed il numero di dosi da essa ricavabili, non si sono limitati a
rilevare il superamento del moltiplicatore del valore – soglia definito nella
sentenza n. 36258 del 2012, ma hanno evidenziato come il quantitativo di
sostanza oggetto della condotta sia così cospicuo da soddisfare un numero
significativo di tossicodipendenti e tale da integrare i presupposti dell’aggravante
anche nell’ambito di una grande città come Milano (v. pagine 17 e 18 della
sentenza in verifica). Con ciò dando ragione della sussistenza nella specie di un
quantitativo di sostanza – oltre che superiore al limite delle 2000 volte il valore-

l’approvvigionamento di un numero elevato di consumatori e da ingenerare un
grave pericolo per la salute pubblica anche nella realtà sociale di una metropoli,
come il capoluogo lombardo, in perfetta aderenza all’insegnamento di legittimità.
6. Nè v’è materia per l’ulteriore rilievo concernente la dedotta inapplicabilità
dei parametri delineati dalle Sezioni Unite, nella sopra ricordata sentenza n.
36258 del 2012, a seguito della declaratoria di incostituzionalità con la sentenza
n. 32 del 2014. Come questo Supremo Collegio ha già avuto modo di chiarire, la
pronuncia di incostituzionalità appena richiamata non può ritenersi avere inciso
sui parametri quantitativi espressi dalle Sezioni Unite, in quanto, per effetto
dell’espressa reintroduzione della nozione di quantità massima detenibile, ai
sensi del comma 1-bis, dell’art. 75, d.P.R. n. 309/1990, come modificato dalla
legge 16 maggio 2014, n. 79, di conversione, con modificazioni, del D.L. 20
marzo 2014, n. 36, mantengono validità i criteri basati sul rapporto tra quantità
di principio attivo e valore massimo tabellarmente detenibile, rilevanti al fine di
verificare la sussistenza della circostanza aggravante della ingente quantità, di
cui all’art. 80, comma secondo, d.P.R. n. 309/1990 (Sez. 4, n. 32126 del
20/06/2014 – dep. 21/07/2014, Jitaru e altri, Rv. 260123; Sez. 6, n. 6331 del
4/2/2015 – dep. 12/02/2015, Berardi, Rv. 262345).
7. Infine, del tutto generica e comunque fondata su considerazioni di mero
fatto, è la deduzione concernente l’inattendibilità delle analisi chimico
tossicologiche dello stupefacente in quanto eseguite “a campione”, modalità
prevista dall’art. 87 dello stesso d.P.R. n. 309/1990, in linea con l’ordinaria
prassi d’indagine e tale da consentire il raggiungimento di risultati
scientificamente attendibili.
8. Dalla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, a norma dell’art.
616 cod. proc. pen., la condanna di ciascuno dei ricorrenti, oltre che al
pagamento delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si
ritiene congruo determinare in 1.000,00 euro.

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G‘V-

soglia – oggettivamente eccezionale sotto il profilo ponderale, tale da consentire

P.Q.M.

dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno a quello della somma di euro 1000 in favore della Cassa
delle Ammende.

Così deciso in Roma il 25 novembre 2015

Il consigliere estensore

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