Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8025 del 13/11/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 8025 Anno 2014
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: DE CRESCIENZO UGO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
D’ELIA NICOLA SAVERIO N. IL 05/02/1939
PULLANO FABIO MARIA GIACOMO N. IL 16/10/1967
avverso la sentenza n. 515/2011 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 03/05/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. UGO DE CRESCIENZO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.
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Data Udienza: 13/11/2013

MOTIVI DELLA DECISIONE

D’ELIA NICOLA Saverio (con due ricorsi fra loro sovrapponibili)
§1.) ex art. 606 I^ comma lett. E) cpp, vizio di motivazione. Il ricorrente
sostiene che la Corte territoriale: a) ha errato nel valutare l’attendibilità della
persona offesa che risulta essere imparentata con esponenti di una potente
organizzazione mafiosa locale; b) non ha considerato (benche sollecitato
con l’atto di appello): b 1 ) i reali motivi che hanno spinto la persona offesa a
denunciare gli attuali imputati e a registrare talune delle conversazioni fatte
con gli imputati; b2) che gli imputati non hanno richiesto o sollecitato il
pagamento di somme di denaro che è stata offerta dalla persona offesa; b3)
che la persona offesa non ha subito alcun metus, tanto da non presentarsi
agli incontri con gli imputati, ed andando a denunciarli; b4) che manca la
prova di minacce esplicite tanto che i giudici di merito hanno dovuto
affermare che le proposizioni profferite contenevano “minacce oblique”; b5)
la persona offesa non avrebbe potuto subire alcun metus dovendosi tenere
conto del grado di parentela con i fratelli DIENI ritenuti esponenti di spicco
della consorteria mafiosa operante in BOVA MARINA
§2.) ex art. 606 i^ comma lett. E) cpp, vizio di motivazione in riferimento
alla contestazione del delitto di cui all’art. 346 cp. La difesa sostiene che una
valutazione del fatto porta a concludere che l’imputato è stato a sua volta
vittima di millanterie, non avendo mai ostentato amicizie o rapporti
personali con i quali favorire la posizione della persona offesa.
§3.) ex art. 606 I^ comma lett. B) cpp, erronea applicazione dell’aggravante
di cui all’art. 628 comma 3 (l’avere commesso il fatto in più persone
riunite). La difesa afferma che 1′ imputazione originaria contemplava la
contestazione della suddetta aggravante sul presupposto della compresenza
di più persone nel momento in cui sarebbe stata esercitata sulla vittima la
pressione estorsiva. La difesa pone in rilievo che le persone presenti al fatto
sarebbero state l’odierno ricorrente, nonchè i coimputati PULLANO, al
quale non è mai stata contestato il concorso nel delitto di estorsione e
SARICA Pasquale, assolto dal Tribunale dal detto delitto “per non avere
commesso il fatto”. Di qui consegue che mancando i concorrenti nel reato di
estorsione non sarebbe configurabile la contestata circostanza aggravante.
La difesa sostiene ancora che la Corte d’Appello ha errato nel ritenere la
aggravante sulla base dell’assunto che sarebbero state evocate dal D’ELIA la
riconducibilità della richieste anche alla presenza di altre persone; sul punto
la difesa richiama la più recente giurisprudenza delle Sezioni Unite di
questa Corte che ha affermato, ai fini della sussistenza della circostanza
aggravante, che la persona offesa debba percepire in modo diretto la
presenza delle più persone riunite, sì da ritrarne maggiore intimidazione.

D’ELIA NICOLA Saverio (condannato per la violazione degli artt. 110,
346; 629 cp commi 1 e 2 in relazione all’art. 628 comma 3 cp) e PULLANO
Fabio Maria Giacomo (condannato per la violazione degli artt. 110, 346 cp)
con atti separati ricorrono per Cassazione avverso la sentenza 3.5.2012 con
la quale la Corte d’Appello di Reggio Calabria, in parziale riforma della
decisione 29.11.2010 del Tribunale, li ha condannati, rispettivamente alle
pene di anni cinque di reclusione ed € 1.000,00 di multa oltre le pene
accessorie, e ad anni 2 di reclusione e 600,00 € di multa.
Le difese dei ricorrenti chiedono l’annullamento della decisione impugnata e
rispettivamente deducono:

Sul punto la difesa pone in evidenza di avere sollevato la questione in sede
di giudizio di impugnazione, ma che la Corte territoriale non ha fornito
risposta alcuna.

PULLANO Fabio Maria Giacomo
§1.) ex art. 606 I^ comma lett. B) ed E) cpp, erronea applicazione dell’art.
646 cp e vizio di motivazione perchè, pur i fatti ascritti integrando la
fattispecie di cui al Il” comma dell’art. 346 cp, la Corte territoriale ha
ritenuto che fosse consumata la ipotesi di cui al primo comma della suddetta
disposizione
§2.) ex art. 606 1^ comma lett. E) cpp, travisamento del fatto. La difesa
sostiene che all’imputato è stata applicata la circostanza aggravante di cui
all’art. 112 cp con un’interpretazione opinabile alla luce di recenti decisioni
della Corte di Cassazione, posto che l’imputato non era accusato della
violazione del delitto di estorsione
§3.) ex art. 606 I^ comma lett. E) cpp vizio di motivazione in relazione alla
valutazione della credibilità della persona offesa. La difesa sostiene che la
motivazione della Corte territoriale sul punto è apodittica non tenendo conto
delle considerazioni formulate dalla difesa che con l’atto di appello aveva
posto in evidenza contraddizioni. La difesa sostiene ancora che le
dichiarazioni testimoniali rese dalla persona offesa confliggono con il
contenuto delle conversazioni intrattenute con gli imputati e oggetto di
registrazione da parte della stessa persona offesa
§4.) ex art. 606 I^ comma lett. E) cpp, vizio di motivazione con riferimento
alla parte della decisione relativa al trattamento sanzionatorio. La difesa
sostiene che la Corte territoriale, non ha fornito le indicazioni necessarie a
ricostruire l’iter – logico attraverso il quale ha stabilito la entità della
sanzione e in particolare non ha specificato le ragioni per le quali non ha
ritenuto di accordare il riconoscimento delle attenuanti generiche. IN
particolare il ricorrente lamenta che l’aspetto del comportamento
processuale inspiegabilmente sia stato considerato in termini negativi che
non possono essere giustificati dalla contumacia dell’imputato stesso
PREMESSA IN FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Dalla lettura della decisione impugnata si evince in fatto quanto segue. Il
17.5.2010 GUGLIELMO Branca, titolare di un villaggio turistico e
presidente dell’Associazione delle imprese turistiche presentava denuncia
nei confronti di tre persone per il delitto di tentata estorsione commesso in
suo danno, riferendo di avere incontrato, nell’ambito della propria attività
tale Pasquale SARICA che gli aveva riferito di essere a conoscenza di
iniziative investigative e accertamenti patrimoniali nei suoi confronti svolti
dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria.
Il denunciante riferiva di essersi recato il 5.10.2010 presso il bar collocato
in p.zza del Duomo in Reggio Calabria lì incontrando tale Saverio il quale
gli aveva precisato che le attività investigative riguardavano i suoi cognati
essendo sospettato di esserne il prestanome.
Il SAVERIO (asseritamente di nome DE LEO) aveva aggiunto di essere in
grado di bloccare tali indagini e sollecitava a tal fine il pagamento del
somma di 20.000,00 € sufficienti a far mettere tutto a tacere.
Il denunciante dopo un iniziale manifestazione di interesse alla richiesta,
aveva declinato l’offerta del DE LEO, evitando di presentarsi
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all’appuntamento successivo nel corso del quale avrebbe dovuto consegnare
la somma di denaro.
In data 12.5.2010 il SARICA e il DE LEO si presentavano presso il
villaggio turistico del BRANCA e appresa la notizia che quest’ultimo nulla
avrebbe pagato sollecitavo comunque il versamento della somma di almeno
3.000,00 € a giustificazione del loro interessamento; il 13.5.2010, il DE
LEO, alla presenza del SARICA e del PULLANO (che si era presentato
come dipendente della Procura della Repubblica di Torino e come colui che
era intervenuto presso gli uffici giudiziari di Reggio Calabria) reiteravano la
richiesta. Il BRANCA simulava di accettare la richiesta fissando un
appuntamento successivo per la consegna del denaro.
Il 17.5.2010 la polizia giudiziaria avvertita dal BRANCA effettuava un
appostamento nel corso del quale verificava che il BRANCA consegnava la
somma (con bancone presegnate) traendo in arresto il sedicende DE LEO
Saverio che veniva poi identificato nell’odierno imputato D’ELIA Nicola
Saverio.
Nella sentenza impugnata (pag 3) si dà atto, fra le prove, dell’acquisizione
della registrazione (effettuate dalla persona offesa) delle conversazioni
intrattenute con gli autori dei reati nonchè delle individuazioni fotografiche
effettuate dal BRANCA che nel corso del dibattimento ribadiva quanto
affermato con la propria denuncia.
Condannati in primo grado il D’ELIA e il PULLANO, assolto il SARICA,
le difese hanno proposto appello ponendo in evidenza 1′ inattendibilità del
BRANCA, l’illogicità della sua versione dei fatti, la incompletezza delle
registrazioni delle conversazioni, la mancanza degli elementi costitutivi del
delitto di estorsione, l’insussistenza della circostanza aggravante. La Cote
d’Appello giudicando infondati tutti i rilievi difensivi confermava la
decisione impugnata.
RITENUTO IN DIRITTO
Esaminando i ricorsi il Collegio osserva quanto segue.
Con il primo motivo di ricorso, la difesa del D’ELIA ha riproposto in questa
sede gli argomenti già dedotti nel precedente grado di gravame, censurando
di illogicità la pronuncia della Corte territoriale che avrebbe omesso,
secondo la tesi difensiva, di esaminare tutti i motivi proposti con l’atto di
impugnazione.
La doglianza non può essere accolta sotto due diversi profili.
In primo luogo va rilevato che le argomentazioni individuate sub b) (in tutte
le loro articolazioni) contengono censure che riguardano il merito della
vicenda; i singoli punti, contrariamente all’assunto difensivo sono stati
esaminati dalla Corte d’Appello che ha risposto con motivazione completa,
non contraddittoria nè manifestamente illogica, dovendosi qui ribadire che i
vizi della motivazione devono essere desumibili dalla lettura del
provvedimento impugnato, non essendo possibile, in sede di legittimità
travalicare il suddetto limite che è segnato dalla lettera dell’art. 606 I^
comma lett. E) cpp.
In particolare va osservato che la Corte d’Appello ha ritenuto attendibile la
persona offesa sull’assunto che quanto dalla stessa dichiarato trova
riscontro nella registrazione delle conversazioni intrattenute con gli
imputati, essendo state ritenute del tutto marginali le discrasie fra le varie
dichiarazioni, rilevate nel corso del procedimento, ed essendo stata data da
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parte del BRANCA spiegazione delle rilevate omissioni che
ragionevolmente attengono ad aspetti del tutto marginali.
Va osservato che la Corte d’Appello, conformemente a quanto rilevato dal
Tribunale, ha reputato che il BRANCA non aveva motivi di astio o di
conflittuale interesse con gli imputati i quali per altro in questa sede
profilano in via del tutto ipotetica ed avulsa dal contesto processuale le
ragioni della condotta del testimone persone offesa del reato.
In secondo luogo la Corte d’Appello (pag. 7) ha esaminato le diverse tesi
prospettate dalla difesa giudicandole motivamente incongruenti con gli atti
di causa e la difesa sul punto non ha messo in evidenza alcun vizio logicoargomentativo che possa mettere in discussione la legittimità della
decisione, ponendosi in evidenza, in termini non manifestamente illogici,
come l’iniziativa, sfociata nella commissione degli illeciti contestati, sia
riconducibile agli imputati e non già alla persona offesa.
In diritto inoltre va rilevato che ricorrono tutti gli elementi costitutivi del
delitto di estorsione, e ciò con particolare riguardo alla formulazione della
richiesta del pagamento della somma di 3.000,00 € quale rimborso per la
attività già svolta da sconosciuti legati ad ambienti delinquenziali. Il
riferimento alle persone cui devono essere consegnate le somme, può essere
ragionevolmente considerata minaccia “obliqua” o tacita, di per sé idonea ad
integrare uno degli elementi costitutivi del delitto di estorsione, non
ponendosi dubbio alcuno in ordine alla ingiustizia del profitto. Sotto questo
punto di vista la motivazione è adeguata e la diversa vicenda prospettata
dalla difesa che ricollega il fatto all’iniziativa della persona offesa,
costituisce in questa sede la sollecitazione ad un’inammissibile rilettura
degli elementi di prova.
In ordine al secondo motivo di ricorso del D’ELIA va osservato che la
vicenda integra perfettamente il reato di millantato credito contestato. Il
D’ELIA, nel corso dello sviluppo della vicenda “si fa promettere” il
pagamento della somma richiesta per il suo interessamento volto a far
“fermare” 1′ azione investigativa svolta da un Procura della Repubblica. La
condotta dell’imputato ricalca perfettamente il modello legale descritto dal
primo comma della norma incriminatrice ove è prevista, ai fini
dell’integrazione del reato, anche la sola “promessa” (e non necessariamente
dalla “dazione”) di una somma di denaro o di altra utilità quale prezzo della
mediazione verso il pubblico ufficiale o impiegato, non essendo necessario
che quest’ultimo sia nominativamente individuato, essendo anche solo un
generico riferimento a persone che svolgano la propria attività all’interno di
un determinato ufficio pubblico quali possibili destinatarie di richieste o
sollecitazioni per il compimento di atti inerenti all’ufficio.
La Corte d’Appello ha quindi correttamente ravvisato l’estremo oggettivo
che trova il suo riscontro nella circostanza che
della “promessa”,
successivamente al primo incontro con il D’ELIA, il BRANCA aveva
fissato un successivo appuntamento per il pagamento della somma
sollecitata; il fatto costituisce indizio sicuro ed univoco della “promessa”
ricevuta dal D’ELIA e la circostanza che la somma non sia stata
successivamente pagata è in sé del tutto irrilevante ai fini dell’avvenuta
consumazione del reato.
Il terzo motivo di ricorso è inammissibile ai sensi del III^ comma dell’art.
616 cpp; infatti con l’atto di appello la difesa non ha sollevato alcuna
questione sul punto relativo alla contestazione della circostanza aggravante,
con la conseguenza che la detta questione non può essere proposta per la
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Il ricorso del PULLANO è infondato.
La contestazione del fatto e la ricostruzione della vicenda portano ad
escludere la violazione del II^ comma dell’art. 346 cp e inducono a ritenere
corretta quella del primo comma. Si deve inoltre rilevare la mancanza di un
concreto interesse della difesa a dedurre la questione nei termini indicati,
perché nella specie si tratterebbe della sollecitazione alla dichiarazione di
responsabilità per un illecito punito più gravemente di quello contestato.
La consapevole partecipazione del PULLANO alla commissione del delitto
contestato è provata dalla sua presenza al terzo incontro con il BRANCA
nel corso del quale l’imputato si è altresì arrogato un’inesistente qualità di
collaboratore della Procura della Repubblica allontanato dall’ufficio per
avere favorito clan malavitosi, ma pur sempre in contatto con dipendenti di
quell’ufficio e quindi nelle condizioni di poter “influire” presso i pubblici
ufficiali di quell’ufficio.
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile trattando di questione
(contestazione della aggravante di cui all’art. 112 cp) manifestamente
infondata ed in relazione a fattispecie che non è stata oggetto di
contestazione nei confronti dell’imputato che è stato sottoposto a giudizio
per la sola violazione dell’art. 346 cp (capo A ella rubrica)
Il terzo motivo di ricorso riconduce alle medesime considerazioni già svolte
nella trattazione del primo motivo di ricorso formulato dalla difesa
dell’imputato D’ELIA, ed alle quali si fa rinvia con particolare riferimento
alla questione inerente alla credibilità e alla attendibilità della persona
offesa.
Il quarto motivo di ricorso è infondato. Contrariamente a quanto dedotto
dalla difesa, la Corte d’Appello ha indicato le ragioni per le quali non sono
state riconosciute le attenuanti generiche all’imputato (gravità del fatto e
precedenti penali). La doglianza della difesa relativa all’insussistenza di
precedenti della stessa natura è generica, posto che il ricorrente non indica
quale sia il diverso reato per il quale è già intervenuta la condanna
dell’imputato.
Per le suddette ragioni i ricorsi vanno rigettati e i ricorrenti vanno
condannati al pagamento delle spese processuali
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali
Così deciso in Roma il 13.11.2013

prima volta in questa sede. Va inoltre rilevato che nella specie si tratta di
questione di mero fatto (trattandosi della ricostruzione delle modalità di
svolgimento della vicenda) e che, ai fini della sussistenza della circostanza
aggravante non ha rilevanza che lo illecito sia stato o meno contestato a tutti
i partecipi.

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