Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8019 del 28/01/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 8019 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: SERRAO EUGENIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PICCOLO LUIGI N. IL 21/11/1954
avverso l’ordinanza n. 100/2007 CORTE APPELLO di BARI, del
03/12/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO;
lette/se le conclusioni del PG aztt.

dott.Aldo Policastro, che ha concluso per l’annullamento con rinvio
alla Corte di Appello di Bari per nuovo esame

1i1 i difensor

Data Udienza: 28/01/2014

RITENUTO IN FATTO
1. In data 3/12/2012 la Corte di Appello di Bari ha rigettato la domanda di
riparazione per ingiusta detenzione proposta da Piccolo Luigi in relazione alla
misura cautelare patita nella forma della custodia in carcere dal 6/05/1997 al
5/08/1997 e nella forma degli arresti domiciliari fino alla scadenza del termine
massimo di sei mesi, nel corso di un procedimento penale che lo vedeva
indagato per concorso in bancarotta per distrazione, per usura ed estorsione,
definito con sentenza assolutoria per insussistenza del fatto ai sensi dell’art.530,

sensi dell’art.530 cod.proc.pen. dall’imputazione di concorso in bancarotta ed
estorsione.
2. La Corte territoriale ha ritenuto sussistente la condotta colposa ostativa al
riconoscimento del diritto alla riparazione sulla base delle seguenti specifiche
circostanze fattuali: la sentenza assolutoria, in ordine al reato di concorso in
bancarotta per distrazione, aveva ritenuto che, sebbene l’imputazione risultasse
orfana di un chiaro riscontro probatorio in ordine all’attività dell’imputato tesa
alla distrazione di somme della società fallita in concorso con il socio occulto e
con l’amministratore, il contesto dei rapporti tra i predetti e l’amministratore
legale della società rimaneva caratterizzato da profili di incertezza ed equivocità
derivanti dal fatto che Piccolo Luigi, pur non avendo alcun credito nei confronti
della predetta società, in quanto non aveva effettuato nei confronti della stessa
alcuna fornitura di beni e servizi, vantava dei crediti esclusivamente personali nei
confronti dell’amministratore societario ed aveva preteso che si emettessero in
suo favore assegni intestati alla società o girati dall’amministratore in pagamento
dei suoi crediti, come dallo stesso ammesso in sede di interrogatorio di garanzia
e riscontrato documentalmente con l’acquisizione degli assegni.
3. Ricorre per cassazione Luigi Piccolo deducendo vizio motivazionale per
avere la Corte territoriale rigettato la domanda sul solo presupposto che il
ricorrente avrebbe tenuto nella vicenda penale un comportamento gravemente
imprudente ed idoneo a creare una situazione tale da costituire una prevedibile
ragione di intervento dell’autorità giudiziaria, omettendo di indicare
specificamente la causa di esclusione del diritto azionato. Il ricorrente sostiene
che il giudice della riparazione deve apprezzare in modo autonomo e completo
tutti gli elementi probatori posti a sua disposizione, laddove la motivazione della
Corte si sostanzierebbe esclusivamente in una sorta di rivalutazione probatoria
della sentenza di assoluzione, senza considerare che già in sede di interrogatorio
il ricorrente aveva manifestato la sua assoluta estraneità ai fatti imputatigli,
prodigandosi a chiarire tutte quelle circostanze rilevanti, ignote agli organi
inquirenti e idonee a consentire una spiegazione logica di fatti che avrebbero
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comma 2, cod.proc.pen. dall’imputazione di usura e per insussistenza del fatto ai

dovuto necessariamente portare alla caducazione immediata degli elementi di
indagine acquisiti. Rapporti di natura civilistica regolati dalle norme del codice
civile, si assume, non possono essere dotati di quell’attitudine causale atta ad
integrare la colpa grave, mentre la Corte ha rinvenuto tale attitudine nell’aver
richiesto il ricorrente l’emissione di assegni in proprio favore.
4.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha depositato memoria,

concludendo perché il ricorso sia respinto con condanna del ricorrente al
pagamento delle spese difensive.

concluso per l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di
Appello di Bari per nuovo esame.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. La funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata
avverso il provvedimento al quale si riferisce. Tale critica argomentata si realizza
attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt.581 e
591 cod.proc.pen.), devono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli
elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di
impugnazione è, pertanto, innanzitutto il confronto puntuale (cioè con la
specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il
dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta,
mediante l’individuazione dei capi o dei punti dell’atto impugnato che si
intendono sottoporre a censura con espressione di un vaglio critico in ordine a
ciascuno di essi analiticamente formulato, che consenta di dimostrare che il
ragionamento del giudice è errato (Sez.5, n.28011 del 15/02/2013, Sammarco,
Rv.255568; Sez. 6, n.22445 dell 18/09/2009, P.M. in proc. Candita, Rv. 244181).
Quando, poi, il ricorso contesta le ragioni che sorreggono la decisione deve,
altresì, contemporaneamente enucleare in modo specifico il vizio denunciato, in
modo che sia chiaramente sussumibile fra i tre previsti dall’art.606, comma 1,
lett. e) cod.proc.pen., deducendo poi, altrettanto specificamente, le ragioni della
sua decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice del merito per
giungere alla deliberazione impugnata, così da condurre a decisione differente.
3. Nel caso concreto, a fronte della specifica indicazione e valutazione che
la Corte territoriale ha espresso con riferimento al comportamento tenuto dal
ricorrente in occasione delle complesse vicende che hanno accompagnato il
fallimento della società Meridional Service s.a.s., nei profili non smentiti dalla
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5. Il Procuratore Generale, nella persona del dott. Aldo Policastro, ha

pronuncia assolutoria, quale condotta gravemente colposa ostativa al
riconoscimento del diritto alla riparazione, il ricorso si caratterizza per uno scritto
discorsivo contenente l’enunciazione di frasi ed argomenti disancorati dal
provvedimento impugnato, si connota per un generico riferimento alle ragioni
dell’assoluzione nel processo penale e per una generica censura all’omessa
valutazione da parte della Corte territoriale di tutti gli elementi probatori posti a
sua disposizione, senza alcun riferimento agli elementi probatori che sarebbero
stati trascurati, con un generico riferimento ai chiarimenti forniti dall’interessato

dei fatti, tuttavia non indicati. Si chiede, in realtà, al giudice di legittimità una
rilettura degli atti probatori, onde pervenire ad una diversa interpretazione degli
stessi. Trattasi di censura non consentita in sede di legittimità perché in
violazione della disciplina di cui all’art.606 cod.proc.pen.
(Sez. 4, n. 31064 del 02/07/2002, P.O.in proc. Min. Tesoro, Rv. 222217;
Sez. 1, n. 10527 del 12/07/2000, Cucinotta, Rv. 217048; Sez. U,
n.6402 del 30/04/1997,Dessimone,Rv. 207944;Sez. U, n.930 del 13/12/1995
(dep. 29/01/1996), Clarke, Rv.203428). Infatti, nel momento del controllo di
legittimità, la Corte di Cassazione non deve stabilire se la decisione di merito
proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti né deve
condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa
giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i ‘limiti di una plausibile
opinabilità di apprezzamento’, secondo una formula giurisprudenziale
ricorrente(Sez. 4, n.47891 del 28/09/2004, n. 47891, Mauro, Rv. 230568;
Sez. 4, n.4842 del 2/12/2003-6/02/2004, Elia, Rv. 229369).
4. Il ricorso non offre, in altre parole, al giudice di legittimità le indicazioni
essenziali per saggiarne la fondatezza.
5. Tenuto conto della sentenza Corte Cost. n. 186 del 13/06/2000 e
rilevato che non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, alla declaratoria di inammissibilità segue, a norma dell’art.616
cod.proc.pen., l’onere delle spese del procedimento e del versamento di una
somma, in favore della Cassa delle Ammende, determinata, in considerazione
delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, nella misura di euro 1.000,00.
6. La genericità delle argomentazioni del Ministero, connotate da meri
richiami giurisprudenziali, induce a disporre l’integrale compensazione delle
spese processuali tra le parti private.

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agli organi inquirenti, asseritamente idonei a consentire una spiegazione logica

P.Q. M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende. Dichiara compensate le spese tra le parti.

Così deciso il 28/01/2014

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