Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8016 del 28/10/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 8016 Anno 2016
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: CALVANESE ERSILIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Fanutza Antonello, nato a Milano il 31/03/1965

avverso la sentenza del 23/02/2015 della Corte di appello di Milano

visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Ersilia Calvanese;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Mario Maria Stefano Pinelli, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia
rigettato o, in subordine, sia dichiarato inammissibile.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Milano, sull’appello
dell’imputato Antonello Fanutza, confermava la sentenza emessa il 7 novembre
2013 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano, che, all’esito di
giudizio abbreviato, lo aveva condannato per associazione per delinquere
finalizzata allo spaccio, importazione e vendita di cocaina (capo 32), per la
tentata importazione di cocaina dalla Spagna (capo 64), per tre episodi di

Data Udienza: 28/10/2015

importazione di cocaina dalla Spagna (capi 65, 66, 67) e per l’invio di tappeti
intrisi di cocaina dalla Spagna (capo 68) alla pena di anni 18 di reclusione.
I giudici di merito avevano in particolare accertato l’esistenza di una
associazione finalizzata al narcotraffico, operante in un ampio arco temporale
(dal luglio 2007 al giugno 2008), nella quale il Fanutza, quale promotore ed
organizzatore, si occupava principalmente del reperimento dei canali di fornitura
di cocaina dall’estero, che veniva smerciata in territorio milanese.
Risultavano in particolare accertati, a riprova della stabilità organizzativa del

dove erano effettuati i rifornimenti di stupefacente e dove il Fanutza risiedeva
per tempi prolungati, raggiunto anche dall’associato Giuseppe Scordo e da altri
sodali; la continuità del rifornimento in territorio milanese; le sperimentate e
costanti modalità di azione dei sodali nella presa in consegna e rapido smercio
successivo dello stupefacente; il frequente scambio di schede telefoniche e
l’utilizzo di più telefoni dedicati e usati in contemporanea; la manifestazione
verso l’esterno di legami tra i sodali, sottolineati dall’utilizzo di espressioni
denuncianti le gerarchie criminali; l’utilizzo comune di mezzi di trasporto intestati
a persone inesistenti; lo strutturale utilizzo di persone operative collegate
stabilmente con ciascuno degli associati aventi livello superiore, così da delineare
una strutturale piramidale, nella quale il livello inferiore era conosciuto a tutti gli
altri ed era disponibile, all’evenienza, ad intercambiarsi; lo stabile collegamento
con i canali di rivendita dello stupefacente a valle, organizzati in segmenti e
capaci di assicurare canali paralleli di smercio, riducendo i rischi di scoperta;
l’aggiornamento tra gli associati circa l’andamento dei pagamenti, anche
coinvolgendo il Fanutza, e la messa a disposizione successiva dei proventi;
l’assenza di un’attività di stoccaggio della merce, segnale di una trama
organizzativa perfettamente organizzata e funzionante; il ricorso all’acquisto
dello stupefacente a credito, rivelatore di una stabilità ed affidabilità criminale
dell’acquirente se rapportato all’elevata quantità – nell’ordine di plurimi chili trattata dal gruppo; l’accollo delle spese legali e di mantenimento degli associati
detenuti; la capacità organizzativa del sodalizio dimostrata nell’avviare attività di
importazione, seguendo e curando più canali contestualmente, impegnando
disponibilità finanziarie di non poco conto.
Secondo

i

Giudici

di

merito,

emblematici

della

progettualità

dell’organizzazione risulterebbero i fatti contestati al Fanutza dai capi 64 al 68: le
importazioni di cocaina dalla Spagna sarebbero state organizzate in
contemporanea con i rifornimenti assicurati in Italia da altri sodali, dimostrando i
volumi trattati dall’associazione e la scelta di un approccio tendente a
massimizzare i profitti e consentire, al contempo, di acquisire quote di mercato;

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sodalizio: l’esistenza di basi logistiche sia in territorio milanese sia in Spagna,

mentre la vicenda dei «tappeti» dimostrava la sperimentazione di nuove tecniche
di importazione.
In questa struttura criminale — il cui nucleo portante risulterebbe costituito
dal Fanutza, Giuseppe Scordo, braccio destro di questi, chiamato a gestire e
sovraintendere le attività in Italia, Marcello Cicconi e Sergio Testa — una
posizione di preminenza aveva il Fanutza, che operava in termini
tendenzialmente stabili in Spagna e che veniva aggiornato costantemente
sull’andamento degli affari dallo Scordo e richiesto di pareri nei casi in cui il suo

In sede di appello, la difesa del Fanutza preliminarmente aveva sollevato la
questione del difetto di imputabilità dell’imputato al momento della commissione
del fatto, documentato al primo giudice con una perizia resa in altro ambito
giudiziale e da una precedente sentenza irrevocabile di assoluzione per difetto di
imputabilità. Nel merito, aveva contestato gli approdi della sentenza di primo
grado sia in ordine alla sussistenza del reato associativo sia in ordine alla
partecipazione ad essa del Fanutza (qualificato come mero osservatore),
considerato l’apporto concreto a lui attribuito con gli episodi di importazione,
tutti collocati in un breve spazio di tempo. Relativamente ai reati-fine, la difesa
aveva lamentato la circolarità del ragionamento motivazionale utilizzato dal
primo giudice e comunque l’evanescenza della prova.
I Giudici dell’appello ritenevano le lagnanze del Fanutza infondate.
Quanto alla questione della imputabilità e della capacità di stare in giudizio,
la sentenza impugnata dava atto che gli accertamenti peritali espletati nel
giudizio di appello, pur avendo ipotizzato in capo all’imputato al momento dei
fatti uno stato di intossicazione abituale da sostanze (alcoliche o cocaina),
avevano escluso che l’imputato al momento dei fatti si trovasse, per malattia di
mente, in condizioni psichiche tali da scemare totalmente e grandemente la
capacità di intendere e di volere e che fosse in condizioni psichiche da impedirgli
di partecipare coscientemente al processo.
Relativamente al merito, la sentenza impugnata, dopo aver evidenziato che
nel parallelo processo a carico degli altri imputati già in due gradi di giudizio era
stata ritenuta l’esistenza dell’associazione in esame, richiamava gli elementi già
evidenziati dal primo giudice per dimostrare l’esistenza della fattispecie penale
contestata.
Quanto al ruolo in essa rivestito dal Fanutza, i Giudici dell’appello ritenevano
che nelle copiose intercettazioni versate in atti, riportate nella sentenza di primo
grado, emergesse in modo univoco e costante che costui dirigesse, ordinasse e
fosse continuamente interpellato dallo Scordo, altro organizzatore, per avere
conforto e definitiva approvazione; fosse sempre lui a decidere i soggetti

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intervento era reputato dirimente.

operanti, i prezzi e le modalità dell’azione. Il fatto che l’associazione preesistesse
al suo ingresso, secondo la sentenza impugnata, non incideva sulla sua qualità di
organizzatore.
In ordine ai reati-satellite, la Corte di appello riteneva ampiamente provati
tali fatti e il diretto coinvolgimento del Fanutza, sulla base delle conversazioni
intercettate, delle osservazioni di p.g., dei sequestri e degli arresti effettuati e
della chiamata in correità del coimputato Giovinazzo.

dell’imputato, articolando i seguenti motivi di impugnazione, con cui deduce:
1. l’inosservanza ed erronea applicazione della legge, con riferimento agli
artt. 85, 88 e 89 cod. pen. e 226 e 227 cod. proc. pen. (art. 606, comma 1, lett.
b cod. proc. pen.); la mancata assunzione di una prova decisiva (art. 606,
comma 1, lett. d cod. proc. pen.); la mancanza, contraddittorietà e la manifesta
illogicità della motivazione (art. 606, comma 1, lett. e cod. proc. pen.): la perizia
volta a stabilire la capacità di intendere e di volere del Fanutza al momento dei
fatti si sarebbe esclusivamente riferita al reato associativo e non agli altri reati
contestati all’imputato; né detta verifica risulterebbe effettuata nella impugnata
sentenza.
2. la mancanza, contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione
(art. 606, comma 1, lett. e cod. proc. pen.): i Giudici di appello avrebbero
ritenuto il Fanutza pienamente capace di intendere e di volere, sulla base della
relazione peritale, omettendo di considerare le criticità e le antinomie in essa
contenute, in quanto avrebbe valorizzato elementi indimostrati e sottacendo ed
abiurando ad adverso elementi assolutamente rilevanti, pur se documentati.
3. l’inosservanza ed erronea applicazione della legge, con riferimento agli
art. 80 cod. proc. pen. e art. 24 Cost. (art. 606, comma 1, lett. b cod. proc.
pen.): i Giudici di merito avrebbero ritenuto l’imputato capace di stare in
giudizio, con sufficiente capacità difensiva, basandosi sulle contraddittorie ed in
parte apodittiche conclusioni della perizia psichiatrica, nonostante fosse
documentata l’autenticità della lacuna mnestica e del delirio ad essa connesso.
4. l’inosservanza ed erronea applicazione delle norme processuali, con
riferimento agli artt. 227, 501, 508 e 511 cod. proc. pen. (art. 606, comma 1,
lett. c cod. proc. pen.): i Giudici di appello avrebbero assunto la perizia
psichiatrica de plano senza, cioè, disporre l’audizione del perito o soltanto la
lettura della relazione peritale o dichiararne l’utilizzabilità ai fini del giudizio e
senza consentire alle parti di interloquire sul relativo contenuto.
5. l’inosservanza ed erronea applicazione della legge, con riferimento all’art.
74 d.P.R. n. 309 del 1990 (art. 606, comma 1, lett. b cod. proc. pen.) e la

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2. Avverso la suddetta sentenza, ricorre per cassazione il difensore

mancanza, contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione (art. 606,
comma 1, lett. e cod. proc. pen.): la sentenza impugnata avrebbe confermato la
condanna dell’imputato per il reato associativo, affidandosi a meri obiter dicta e
richiamando la sentenza resa nel procedimento principale, considerandola quale
presupposto ed elemento condizionante del provvedimento impugnato.
Mancherebbe invece la dimostrazione univoca e piena dei presupposti individuati
dalla giurisprudenza per configurabilità di un’associazione per delinquere
finalizzata al narcotraffico. Ad avviso del ricorrente, mancherebbe infatti un

unicum inscindibile e una struttura organizzata seppur rudimentale nella quale
sia stata attribuita al Fanutza il ruolo di leader. In particolare, al Fanutza sarebbe
stata attribuita l’attività di promozione ed organizzazione del sodalizio, consistita
nel reperimento di fornitori e nella direzione d’intesa con Scordo Giuseppe delle
condotte dei partecipi al sodalizio. Per contro, ad avviso del ricorrente, la qualità
di promotore deve essere esclusa in capo al Fanutza, che avrebbe
semplicemente profittato di canali reperiti da altri soggetti (Cornegliani e
Giovinazzo), per i quali peraltro i Giudici di merito non hanno ravvisato alcuna
responsabilità associativa, né vi sarebbe prova che il Fanutza abbia costituito il
presunto sodalizio criminale o dato avvio a nuovi traffici o nuove modalità di
traffico. Ne sarebbe riprova la circostanza che la sentenza impugnata non si è
minimamente soffermata sulla qualità di promotore. Quanto a quella di
organizzatore, la sentenza impugnata fonderebbe la responsabilità del Fanutza
sui ripetuti contatti con gli altri presunti associati, quando al contrario, secondo il
ricorrente, l’intervento di questi sarebbe stato sempre eventuale e mai decisivo,
figurando piuttosto da consigliere, non avrebbe mai intrattenuto trattative con i
fornitori, non avrebbe curato direttamente la distribuzione della cocaina, non
avrebbe finanziato il gruppo, non sarebbe stato informato di tutti i traffici del
gruppo o delle difficoltà incontrate dai sodali nell’espletamento del presunto
incarico. Il ruolo del Fanutza si rileverebbe al contrario scarsamente significativo
e limitato nel tempo, avuto riguardo ai fatto-reati contestati. Infine,
l’impossibilità di definire un gruppo organizzato con concreta ripartizione dei
ruoli, ad avviso del ricorrente, si traduce nell’impossibilità di ravvisare in capo al
Fanutza il dolo tipico del promotore ed organizzatore del reato associativo.
6. l’inosservanza ed erronea applicazione della legge, con riferimento all’art.
73 d.P.R. n. 309 del 1990 (art. 606, comma 1, lett. b cod. proc. pen.) e la
mancanza, contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione (art. 606,
comma 1, lett. e cod. proc. pen.): trattandosi di «droga parlata», la sentenza
impugnata risulterebbe assolutamente carente ed evanescente quanto alla
motivazione dei traffici contestati all’imputato. Il giudice confonderebbe i

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accordo prodromico all’interno dei quale si sarebbero inseriti i singoli reati in un

quantitativi oggetto di traffico, in più occasioni mancherebbe la prova della
natura, qualità e della quantità dello stupefacente oggetto delle compravendite,
non comprendendosi né quanti nè quali siano stati i contraenti ad esse
interessati. I Giudici di merito avrebbero preteso di desumere la prova dei fatti
da presunte dichiarazioni confessorie di taluni coimputati che al contrario
avrebbero escluso una partecipazione diretta del Fanutza nei fatti contestati ai
capi 65, 66 e 67.
7. l’inosservanza ed erronea applicazione della legge, con riferimento agli

Giudici dell’appello, pur avendo ritenuto di condividere l’assunto difensivo in
ordine alla ritenuta recidiva reiterata, qualificandola come specifica, avrebbero
confermato, in modo contraddittorio, illegittimo ed iniquo, la pena inflitta in
primo grado, sul presupposto della modestia del relativo aumento. L’equità della
pena risulterebbe ancorata al ruolo assunto nel sodalizio dall’imputato, affermato
in modo apodittico già dalla sentenza di primo grado e da escludere per tabulas
anche solo per effetto delle contrarie dichiarazioni dei correi. Il ricorrente si duole
della mancata concessione delle attenuanti generiche, considerati il sostanziale
allontanamento dal 2008 dell’imputato dal circuito criminale, le condizioni
personali e psicologiche del reo, e del trattamento sanzionatorio riservato
all’imputato, se rapportato anche a quello degli altri correi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito illustrate.

2. Il primo motivo di ricorso è aspecifico e comunque privo di pregio
giuridico.
Anche a voler prescindere, infatti, dalla pertinenza della giurisprudenza citata in
ricorso (che si pone nel solco dei consolidati principi di legittimità secondo cui
l’infermità mentale non costituisce sempre e di necessità uno stato permanente e
stabile dell’individuo, per cui la verifica dell’imputabilità deve essere effettuata di
volta in volta, non potendosi assegnare rilevanza cogente all’accertamento
peritale relativo allo stato di mente dell’imputato compiuto in altro procedimento
a carico del medesimo imputato), va rilevato che la pretesa «omissione» ad
opera del perito nell’accertamento è solo labialmente enunciata dal ricorrente,
non consentendo a questa Corte l’apprezzamento del vizio dedotto la citazione di
un breve passaggio della premessa della relazione peritale (tra le tante, in tema
di onere di autosufficienza del ricorso, Sez. 2, n. 26725 del 01/03/2013, Natale,
Rv. 256723).

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artt. 62-bis, 99 e 133 cod. pen. (art. 606, comma 1, lett. b cod. proc. pen.): i

In ogni caso, la deduzione appare del tutto irrilevante, posto che nel capo di
imputazione del reato associativo sono sostanzialmente riassunte le condotte
descritte nei restanti capi di imputazione (attività di reperimento dei canali di
approvvigionamento dall’estero) commessi nel medesimo arco temporale (luglio
2007- luglio 2008), oggetto di accertamento peritale.

3. Anche il secondo e il terzo motivo sono inammissibili.
Si deve, in proposito, ricordare che questa Corte ha più volte affermato il

mente al momento del fatto (come la sua capacità di stare in giudizio) costituisce
valutazione di fatto, che compete esclusivamente al giudice di merito ed è
insindacabile in sede di legittimità, se – come nel caso di specie – congruamente
motivato (tra le tante, Sez. 3, n. 3912 del 11/02/1991, Martinelli, Rv. 186778).
Nel caso in esame, la sentenza di appello espone in modo circostanziato le
ragioni che hanno consentito di pervenire all’affermazione in punto di
imputabilità e capacità di stare in giudizio dell’imputato. Invero, la sentenza
impugnata, dopo essersi soffermata anche sull’indagine peritale compiuta in altro
procedimento e sulla sua inidoneità dimostrativa dovuta al diverso periodo
temporale oggetto di accertamento, perviene attraverso un percorso logico e
congruo alla conclusione che, sulla base della valutazione effettuata dal perito di
ufficio delle condizioni attuali dell’imputato e in mancanza di una obiettiva
documentazione relativa al periodo 2007-2008 idonea a supportare l’ipotesi di
una qualche malattia mentale di questi, l’unica alterazione psichica ipotizzabile
all’epoca dei fatti sarebbe stata quella di uno stato di intossicazione abituale da
sostanze (alcoliche o cocaina), non incidente sulla imputabilità, e che l’imputato
non si trovava in condizioni psichiche tali da impedirgli di partecipare
coscientemente al processo.
A fronte di tutto quanto esposto dai giudici di merito, il ricorrente
contrappone unicamente contestazioni in fatto che, oltre ad essere generiche (si
veda quanto già rilevato supra in tema di autosufficienza del ricorso) e al più
prive del carattere della decisività (il vizio di travisamento della prova è infatti
ravvisabile solo se l’errore sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento
probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa
del dato processuale /probatorio), si propongono, in realtà, di offrire solo una
non consentita – in questa sede di legittimità – diversa lettura degli elementi
valutati dai giudici di merito, senza evidenziare alcuna manifesta illogicità o
contraddizione della motivazione.

4. Infondato è il quarto motivo.

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principio – condiviso dal Collegio – che lo stabilire se l’imputato fosse infermo di

Dal verbale dell’udienza del 3 dicembre 2014, presente il Fanutza e il suo
difensore, la Corte distrettuale ha dato atto del deposito della perizia e «sentite
le parti» ha disposto il rinvio a data da fissarsi. Alla successiva udienza del 23
febbraio 2015 le parti hanno rassegnato le conclusioni.
Va ribadito che la perizia acquisita irritualmente (nella specie al di fuori di
una formale udienza), in sede di giudizio abbreviato — nel quale il giudice deve
fissare nuova udienza per l’esame del perito, successivamente al deposito
dell’espletata perizia, ex art. 441, comma sesto, cod. proc. pen., e deve fissare

nullità assoluta, con la conseguenza che essa deve essere, ex art. 182 cod. proc.
pen., immediatamente eccepita dopo il suo compimento (Sez. 5, n. 16384 del
23/03/2011, Carrino Rv. 250186).
Trattandosi di nullità relativa, essa soggiace ai termini di deduzione di cui
all’art. 182 cod. proc. pen., che, al comma 2 dispone, che «quando la parte vi
assiste, la nullità di un atto deve essere eccepita prima del suo compimento
ovvero, se ciò non è possibile, subito dopo».
Nella concreta fattispecie, la parte è rimasta silente sul punto sia all’udienza
del 3 dicembre 2014 sia a quella successiva del 23 febbraio 2015, quando ha
formulato le proprie conclusioni di merito.
Quanto alla violazione dell’obbligo sancito dall’art. 511 cod. proc. pen. di
dare lettura degli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento ovvero di
indicare quelli utilizzabili ai fini della decisione, va ribadito che essa non è causa
di nullità, non essendo specificamente sanzionata in tal senso e non essendo
inquadrabile in alcuna delle cause generali di nullità previste dall’art. 178 cod.
proc. pen.( tra tante, Sez. 3, n. 45305 del 17/10/2013, Gherardi, Rv. 257630).

5. Quanto al quinto motivo, le doglianze del ricorrente devono essere
considerate infondate.
Va preliminarmente rilevato che, contrariamente a quanto afferma il
ricorrente, il richiamo alla sentenza non ancora irrevocabile emessa nel parallelo
procedimento penale relativo ad altri associati è fatto dai Giudici a quibus solo
per documentare il mero fatto storico dell’esistenza della decisione, ma non certo
la ricostruzione, nè il ragionamento probatorio sui fatti oggetto di accertamento
in quel procedimento, inerenti più propriamente alla

regiudicanda ancora in

discussione.
Quanto alla configurabilità dell’associazione per delinquere finalizzata al
narcotraffico, la motivazione della sentenza impugnata risulta immune dai vizi
denunciati.

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all’uopo un termine per il deposito della relazione scritta — non determina una

Va osservato che la Corte di appello ha ritenuto di potersi richiamare alla
decisione di primo grado non solo per ciò che concerne l’esposizione dei fatti
processualmente acquisiti, ma anche per l’iter logico argomentativo del loro
esame e per le valutazioni compiute.
Per uniforme e costante orientamento giurisprudenziale, quando le decisioni
dei giudici di primo e secondo grado siano concordanti, la motivazione della
sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico
complesso corpo argomentativo (tra le tante, Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992,

a casi come quello in esame in cui i giudici di appello avevano esaminato le
censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo
giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai
fondamentali passaggi logico-giuridici della decisione e i motivi di gravame non
avevano riguardato elementi nuovi, ma si erano limitati a prospettare
circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado
(Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011 – dep. 2012, Valerio P., Rv. 252615).
Invero, già in primo grado il giudice si era fatto carico (pag. 426-434) di
affrontare le critiche mosse dalla difesa dell’imputato in ordine alla configurabilità
del reato associativo (incentrate sull’assenza di un accordo associativo e di una
struttura organizzata), che il ricorrente nuovamente ha riproposto sia in appello
che in questa sede.
La sentenza di primo grado, i cui passaggi salienti sono richiamati dalla
sentenza impugnata, aveva considerato quali elementi dimostrativi dell’esistenza
del sodalizio criminale una serie di elementi – meglio descritti in premessa ampiamente dimostrativi del vincolo permanente, nascente dall’accordo
associativo, al cui accertamento il giudice può pervenire anche per mezzo di una
serie di facta concludentia (tra le tante, Sez. 5, n. 8033 del 15/11/2012 – dep.
2013, Barbetta, Rv. 255207).
Sotto tale aspetto la motivazione della sentenza impugnata non è in alcun
modo censurabile.
Né possono rilevare ad escludere l’esistenza di un sodalizio criminale le
circostanze ritenute distoniche dalla difesa.
Per la configurabilità dell’associazione dedita al narcotraffico non è richiesta
infatti la conoscenza reciproca fra tutti gli associati, essendo sufficiente la
consapevolezza e la volontà di partecipare, assieme ad almeno altre due persone
aventi la stessa consapevolezza e volontà, ad una società criminosa strutturata e
finalizzata secondo lo schema legale (Sez. 6, n. 11733 del 16/02/2012, Abboubi,
Rv. 252232), né che il vincolo tra il singolo e l’organizzazione si protragga per
una certa durata (Sez. 5, n. 18756 del 08/10/2014 – dep. 2015, Buondonno, Rv.

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Musumeci, Rv. 191229). Tale principio è stato affermato proprio con riferimento

263698), né che il vincolo associativo sia caratterizzato dall’esclusività
dell’operato dei sodali a vantaggio del gruppo criminale (Sez. 2, n. 16606 del
24/03/2011, Agomeri Antonelli, Rv. 250316).
Relativamente alle critiche riguardanti il ruolo attribuito in tale sodalizio al
Fanutza, del tutto priva di pregio è la censura sull’incompatibilità in capo
all’imputato del ruolo di promotore dell’associazione, poiché quest’ultima era già
preesistente. Va ribadito che nell’associazione finalizzata al traffico di sostanze
stupefacenti riveste il ruolo di promotore non solo chi sia stato l’iniziatore

partecipativi, ma anche colui che – come il Fanutza-, rispetto ad un gruppo già
costituito, contribuisca alla potenzialità pericolosa del gruppo stesso (tra tante,
Sez. 1, n. 7462 del 22/04/1985, Arslan, Rv. 170230; Sez. 6, n. 11446 del
10/05/1994, Nannerini, Rv. 200937; Sez. 6, n. 5501 del 12/12/1995 – dep.
1996, Falsone, Rv. 205653; Sez. 2, n. 52604 del 5/12/2014, Bandera, in
motivazione).
La sentenza impugnata dà ampiamente contezza degli elementi raccolti
dimostrativi del ruolo assunto dal Fanutza all’interno del gruppo e dell’elemento
psicologico soggettivo della sua partecipazione: dalle copiose intercettazioni
versate in atti, riportate nella sentenza di primo grado e i cui passaggi salienti i
Giudici a quibus si fanno carico di richiamare espressamente, era emerso in
modo univoco e costante che costui dirigesse, ordinasse e fosse continuamente
interpellato dallo Scordo, altro organizzatore, per avere conforto e definitiva
approvazione; fosse sempre lui a decidere, nella scelta progettuale e
organizzativa del gruppo, i soggetti operanti, i prezzi e le modalità dell’azione.
Le linee argomentative della sentenza impugnata, di piena plausibilità e
congruenza, resistono ai rilievi critici formulati dal ricorrente, anche con
riferimento al dolo associativo, risultando immuni dai difetti prospettati dal
ricorrente, che al più si risolvono in mere deduzioni di fatto dirette a capovolgere
le conclusioni accolte dalla Corte distrettuale.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte in tema di sindacato del
vizio di motivazione, va ribadito che il compito del giudice di legittimità non è
quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di
merito, ma quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi
a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando
esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano
esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni
che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.

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dell’associazione, coagulando attorno a sè le prime adesioni e consensi

6. Infondato è anche il sesto motivo, riguardante la ritenuta partecipazione
del Fanutza ai reati-satellite.
Il ricorrente si lamenta dell’evanescenza e della assoluta carenza della
motivazione sul punto, trattandosi di «droga parlata», non riscontrata dalle
dichiarazioni confessorie dei coimputati, la cui lettura porta a conclusioni difformi
per i capi 65, 66 e 67 da quelle ritenute dalla sentenza impugnata.
In via preliminare, va osservato che — pur ribadita la regola che il reato di
detenzione a fini di spaccio o quello di spaccio non sono condizionati, sotto il

poiché la consumazione di tali reati può essere dimostrata attraverso le
risultanze di altre fonti probatorie quali, come nella specie, il contenuto delle
intercettazioni (tra tante, Sez. 2, n. 19712 del 06/02/2015, Alota, Rv. 263544)
— la colpevolezza dell’odierno ricorrente risulta fondata non solo gli esiti delle
captazioni, ma anche su altri elementi che, oltre a riscontrare quelli raccolti,
hanno consentito di confermare l’interpretazione del linguaggio e del contenuto
delle conversazioni intercettate, quali in particolare le attività di osservazione di
p.g., i sequestri di cocaina e le dichiarazioni confessorie di Sergio Giovinazzo e di
Massimiliano Cornegliani.
In particolare, quanto al capo 64) (tentata importazione dalla Spagna di 9
chili di cocaina), la sentenza impugnata ha fondato il suo ragionamento
probatorio, oltre che sulle conversazioni captate, dalle quali era emerso che il
Fanutza, insieme allo Scordo, stesse gestendo una trattativa con Massimiliano
Cornegliani da svolgersi a Madrid finita poi malamente («ho appena perso 9
pacchi»), dal monitoraggio degli spostamenti di Fanutza e Cornegliani, presenti
nei giorni successivi in Spagna, e dalle dichiarazioni confessorie rese da
quest’ultimo che ha ammesso di aver organizzato l’importazione dalla Spagna
insieme al Fanutza di nove chili di cocaina.
Relativamente all’imputazione contenuta nel capo 68) (importazione dalla
Colombia via Spagna di tappeti intrisi un chilo di cocaina), la sentenza impugnata
ha evidenziato che, contemporaneamente all’operazione sopra esposta, dalle
intercettazioni telefoniche erano emersi tanto l’avvio da parte del Fanutza di una
sperimentale modalità di importazione della cocaina utilizzando dei tappeti («i/
lavoro dei tappeti», «è un esperimento», «un’altra cosa che ho inventato io»),
quanto l’arrivo del carico e le laboriose operazioni di estrazione. I Giudici di
appello hanno posto in risalto puntualmente le conversazioni che rivelano
l’oggetto dell’operazione («di là ne viene fuori uno, capito?») e la partecipazione
a tutte le sue fasi del Fanutza, che ne dettava le regole e ne dirigeva ogni
movimento. A corroborare gli esiti delle intercettazioni, la sentenza impugnata
ha richiamato l’epilogo di detta operazione, conclusasi con l’arresto di Sergio

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profilo probatorio, al sequestro o al rinvenimento di sostanze stupefacenti,

Testa che aveva partecipato all’estrazione ed il sequestro della metà della
sostanza importata, nel frattempo estratta dai tappeti.
Venendo ai capi 65), 66), e 67), sui quali si appuntano nel ricorso le censure
sulla ricostruzione dei fatti da parte della sentenza impugnata, va evidenziato
quanto segue.
Con riferimento al capo 65) (importazione di 12 chili di cocaina), la sentenza
impugnata ha richiamato, come elementi dimostrativi del coinvolgimento del
Fanutza nell’importazione de qua, le intercettazioni, dalle quali ha tratto la prova

Ferrari, alla partenza del corriere per la Spagna per il carico dello stupefacente,
all’arrivo del corriere in Italia e alle assicurazioni date a Scordo dell’esito felice
dell’operazione) e le dichiarazioni confessorie rese dallo Giovinazzo (che dalle
intercettazioni risultava essere stato il referente per l’importazione in Spagna)
che avrebbero confermato il fattivo ruolo partecipativo svolto dal Fanutza, che
era destinatario della cocaina insieme con altri.
Il ricorrente ha riportato brevi stralci delle dichiarazioni rese dal Giovinazzo,
da Sergio Rossini e Riccardo Ferrari e di due conversazioni captate tra lo Scordo
e Ferrari per dimostrare l’estraneità ai fatti del Fanutza, assumendo pertanto un
vizio di travisamento della prova. A tal riguardo, peraltro, oltre alla mancanza di
autosufficienza del ricorso quanto alle dichiarazioni che si assumono travisate (si
veda quanto sopra affermato a tal riguardo), deve evidenziarsi che la suggestiva
selezione operata da parte del ricorrente degli stralci dell’interrogatorio reso dal
Giovinazzo non tiene conto che nella sentenza di primo grado (pag. 333) ne sono
riportate più ampie selezioni, dalle quali è agevole ricomporre il complessivo
quadro delle dichiarazioni in questione. Contrariamente all’assunto del ricorrente,
dalle dichiarazioni del Giovinazzo emerge il coinvolgimento del binomio FanutzaScordo nell’operazione (attraverso la persona inviata per saldare il debito, che
risulta dalla sentenza di primo grado essere stata proprio contattata dal Fanutza
per portare in Spagna il danaro), al quale i Giudici di merito hanno fatto
riferimento, congiuntamente con quanto già emergente dalle conversazioni
intercettate, per dimostrare il coinvolgimento del Fanutza.
Quanto al capo 66), (altra importazione di cocaina dalla Spagna), la
sentenza impugnata ha osservato che trattasi di operazione «fotocopia» rispetto
a quella ora descritta, realizzata cioè dagli stessi soggetti e con le stesse
collaudate modalità, così respingendo, con motivazione logica, le contestazioni
della difesa sull’indeterminatezza dei quantitativi e della tipologia di stupefacente
trattato. Relativamente al coinvolgimento del Fanutza, i Giudici di appello hanno
richiamato le più significative conversazioni captate dalle quali era emerso che
l’imputato avesse organizzato il traffico e l’invio del denaro.

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delle varie fasi dell’operazione (dagli accordi iniziali presi tra Scordo e Rossini e

A questo ragionamento probatorio, il ricorrente ha reiterato le medesime
critiche formulate in sede di appello, che risultano del tutto generiche, sia perché
anche in tal caso il ricorso difetta di autosufficienza per le ragioni poc’anzi
esposte, sia perché le censure appaiono del tutto disancorate da quanto in
motivazione hanno esposto i Giudici di appello in ordine a tale imputazione.
Passando infine al capo 67) (altra importazione dalla Spagna di quattro chili
di cocaina), si tratta di importazione anch’essa realizzata con modalità analoghe
alle precedenti, conclusasi con l’arresto del corriere Curotti, già utilizzato nella

sentenza impugnata ha richiamato per fondare il giudizio di colpevolezza
dell’imputato le conversazioni intercettate che descrivono le fasi prodromiche di
questa terza fornitura, quelle cioè della partenza del Fanutza per la Spagna in
contemporanea con quella del corriere Curotti, e quelle dell’attesa dell’arrivo di
quest’ultimo (nel frattempo arrestato all’arrivo dalla Spagna in possesso dello
stupefacente). E proprio in tale ultimo delicato momento dell’operazione Fanutza
è insieme con lo Scordo – che si informa prima dal Rossini della avvenuta
partenza del corriere per poi con preoccupazione cercare di scoprire le ragioni del
suo mancato arrivo – e si inserisce personalmente nelle conversazioni capate per
far rintracciare il corriere. Anche in tal caso, la sentenza impugnata ha
richiamato a conferma della ricostruzione dell’operazione le dichiarazioni
confessorie del Giovinazzo.
Ancora una volta, il ricorrente ha affidato le sue critiche al richiamo delle
dichiarazioni del Giovinazzo e del Rossini, per denunciare l’inconsistenza del
quadro probatorio e il travisamento della prova.
Non resta che ribadire quanto già detto, quanto all’onere di autosufficienza
del ricorso, che ancora una volta non risulta adempiuto dal ricorrente, e in più
osservare che le dichiarazioni del Giovinazzo riportate in forma più estesa a pag.
333 della sentenza di primo grado non disarticolano affatto il discorso
giustificativo della sentenza impugnata. Invero, i Giudici di appello hanno
utilizzato tali dichiarazioni per la ricostruzione complessiva della vicenda, come
rappresentata dalle intercettazioni telefoniche, e per confermare la destinazione
della cocaina sequestrata al corriere. Il ragionamento probatorio dei Giudici di
merito infatti riposa sulla dimostrazione che il canale di approvvigionamento
della cocaina in Spagna, rappresentato dal Giovinazzo, avesse come interlocutori
i «bresciani» (Rossini e Rossini), che a loro volta operavano, secondo modalità
collaudate, con il binomio Scordo-Fanutza, cointeressati al carico di volta in volta
trasportato.
In definitiva, anche tale motivo va rigettato.

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precedente operazione, ed il sequestro dello stupefacente, in ordine alla quale la

7. Le censure affidate all’ultimo motivo sono da ritenersi parimenti
infondate.
Va premesso che il ricorrente, pur avendo lamentato la inosservanza o
erronea applicazione degli artt. 62-bis e 133 cod. pen., in realtà deduce vizi della
motivazione in ordine alla dosimetria della pena.
Al riguardo basti osservare che, in conformità con i principi di diritto più
volte affermati da questa Corte, la sentenza impugnata, nel pieno rispetto dei
parametri sanciti dall’art. 133 c.p. e dei principi costantemente elaborati della

posti a base della dosimetria della pena, sottolineando, in particolare,
l’adeguatezza della pena al ruolo di promotore ed organizzatore rivestito dal
Fanutza all’interno dell’associazione criminale e la proporzione degli aumenti per
la continuazione in relazione alla gravità dei reati.
Quanto al trattamento riservato al coimputato Scordo, va ribadito che la
risposta che il giudice garantisce, in punto di individuazione della gravità della
condotta e corrispondente determinazione della sanzione, ex art. 133 cod. pen.,
è naturalmente tarata sulle connotazioni oggettive e soggettive del singolo
comportamento accertato, con la ovvia conseguenza della impossibilità di
dedurre in sede di legittimità una

«critica da confronto e da valutazione

comparativa» rispetto ad altre posizioni individuali, anche se di correi (in tesi, più
favorevolmente trattate), salvo il caso in cui il giudizio di merito sul punto, sul
diverso trattamento del caso che si prospetta come identico, sia sostenuto da
asserzioni irragionevoli o paradossali (Sez. 3, n. 27115 del 19/02/2015, Penna,
Rv. 264020). Evenienza questa non certo verificatasi nella presente vicenda,
dove il diverso trattamento sanzionatorio non appare all’evidenza rientrare
nell’ipotesi ora descritta, considerato anche che la sentenza impugnata colloca lo
Scordo in una posizione di «braccio destro» del Fanutza, che era colui che
dirigeva l’associazione e al quale lo Scordo costantemente si rapportava.
Quanto alla censura relativa dal diniego delle attenuanti generiche, basti
osservare la estrema genericità del motivo proposto in appello, per dichiarare
inammissibili le doglianze proposte in sede di legittimità.
In ordine infine al motivo riguardante la recidiva, va osservato che, in rimo
grado, l’aumento della recidiva, pur se quest’ultima contestata e ritenuta come
«reiterata specifica», è stato determinato in misura di gran lunga inferiore (soli
mesi due di reclusione) rispetto all’aumento fissato ex lege dall’art. 99, comma 4
cod. pen. Pertanto, quando la pena è stata quantificata in misura illegale, il
giudice di appello non può essere ad essa vincolato, con la conseguenza che il
mantenimento del medesimo aumento di pena, una volta ricondotta la recidiva
nell’ipotesi di cui all’art. 99, secondo comma, cod. pen., non ha determinato

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giurisprudenza di legittimità, ha fornito congrua e logica motivazione dei criteri

alcuna violazione di legge (Sez. 4, n. 6966 del 20/11/2012 – dep. 2013,
Martinelli, Rv. 254538).

8. Ciò premesso, conclusivamente il ricorso va rigettato con le conseguenze
di legge in punto di spese del procedimento.

P.Q.M.

processuali.

Così deciso il g.8/10/2015.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

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