Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8015 del 17/01/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 8015 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TOLONE DOMENICO N. IL 22/09/1960
avverso l’ordinanza n. 73/2012 CORTE APPELLO di CATANZARO,
del 05/04/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SALVATORE
DOVERE;
lette/s9ki1e le conclusioni del PG Dott.
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“Fdit i dpfor Avv.;

Data Udienza: 17/01/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Tolone Domenico, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per
cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe, con la quale è stata rigettata
la sua istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione subita dal 21 al 28.4.2009
(custodia cautelare in carcere) e da tale data sino al 15.5.2009 agli arresti
domiciliari, in relazione ai delitti di cui agli artt. 81, 648ter cod. pen., 7 I. 203/91
e 12quinques I. 306/92, per il quale era stata pronunciata sentenza irrevocabile

La Corte territoriale ha ravvisato la sussistenza dei presupposti del diritto alla
riparazione di cui all’art. 314, 1° comma, cod. proc. pen., ed ha liquidato la
somma di euro 4392,96, determinata in primo luogo sulla scorta del criterio
aritmetico che fa perno sul numero dei giorni di subita detenzione e quindi sulla
base di una valutazione equitativa del danno all’immagine, che ha quantificato in
euro 500,00. La Corte di Appello ha invece escluso di dover liquidare somme
indennitarie in relazione al danno patrimoniale e al danno alla salute, ritenendo
che di essi non fosse stata dimostrata la dipendenza causale dall’instaurazione
della privazione della libertà personale.

2. Il ricorrente ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata per violazione
di legge e carenza motivazionale.
Rileva l’esponente che la motivazione in merito all’entità della somma liquidata
per il danno all’immagine è meramente apparente, in quanto apodittica.
Rileva ancora che il ragionamento condotto dalla Corte di Appello in ordine alla
mancanza di incidenza eziologica della ingiusta detenzione patita dal Tolone è
‘illogico e travisante’. Quanto al danno alla salute, già il g.i.p. aveva ritenuto che
le condizioni di salute dell’indagato erano non compatibili con la custodia in
carcere e aveva disposto gli arresti domiciliari. Certe le pregresse cattive
condizioni di salute del Tolone, era inevitabile e non bisognevole di particolare
dimostrazione l’incidenza negativa della carcerazione.
Quanto al pregiudizio patrimoniale, la Corte di Appello non ha considerato che al
Tolone venne sospesa una lucrosa convenzione stipulata per la sistemazione
presso un albergo ristorante degli appartenenti alle Forze dell’ordine la stessa
mattina dell’arresto e che a tale convenzione venne data prosecuzione solo dopo
la definitiva assoluzione dell’imputato; inoltre non ha considerato che anche le
scelte della clientela ordinaria, esitate nella dimostrata diminuzione degli incassi,
furono influenzate dal sopraggiunto arresto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è fondato in parte, nei termini di seguito indicati.

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di non luogo a procedere.

3.1. A fronte dei rilievi mossi con il ricorso che si esamina è opportuno
premettere, che in tema di liquidazione dell’indennizzo relativo alla riparazione
per ingiusta detenzione, la giurisprudenza di legittimità si è stabilmente orientata
(v. Sezioni unite, 9 maggio 2001, Caridi) per la necessità di contemperare il
parametro aritmetico – costituito dal rapporto tra il tetto massimo dell’indennizzo
di cui all’articolo 315, comma 2 cod. proc. pen. (euro 516.456,90) ed il termine
massimo della custodia cautelare di cui all’articolo 303, comma 4, lett. c) cod.
proc. pen. espresso in giorni (sei anni ovvero 2190 giorni), moltiplicato per il

di valutazione equitativa attribuito al giudice per la soluzione del caso concreto
(in tal senso anche Sez. 4, n. 34857 del 17/06/2011 – dep. 27/09/2011,
Giordano, Rv. 251429), che non può mai comportare lo sfondamento del tetto
massimo normativamente stabilito. Si è così superato il contrasto tra le opposte
tesi dell’assoluta insufficienza del solo criterio aritmetico (Sez. 4, Sentenza n.
915 del 15/03/1995 P.G. in proc. Ministro lavoro Rv. 201632) e della
onnicomprensività di tale criterio (Sez. 3, Sentenza n. 28334 del 29/04/2003,
Porfidia, Rv. 225963).
Dato di partenza della valutazione indennitaria, che va necessariamente tenuto
presente, è costituito, pertanto, dal parametro aritmetico (individuato, alla luce
dei criteri sopra indicati, nella somma di euro 235, 82 per ogni giorno di
detenzione in carcere ed in quella di euro 120,00 per ogni giorno di arresti
domiciliari, in ragione della ritenuta minore afflittività della pena).
Siffatto parametro non è vincolante in assoluto ma, raccordando il pregiudizio
che scaturisce dalla libertà personale a dati certi, costituisce il criterio base della
valutazione del giudice della riparazione, il quale, comunque, potrà derogarvi in
senso ampliativo (purchè nei limiti del tetto massimo fissato dalla legge) oppure
restrittivo, a condizione però che, nell’uno o nell’altro caso, fornisca congrua e
logica motivazione della valutazione dei relativi parametri di riferimento.
Il controllo sulla congruità della somma liquidata a titolo di riparazione é
sottratto al giudice di legittimità, che può soltanto verificare se il giudice di
merito abbia logicamente motivato il suo convincimento e non sindacare la
sufficienza o insufficienza dell’indennità liquidata, a meno che, discostandosi
sensibilmente dai criteri usualmente seguiti, lo stesso giudice non abbia adottato
criteri manifestamente arbitrari o immotivati ovvero abbia liquidato in modo
simbolico la somma dovuta (Sez. 4, n. 10690 del 25/02/2010 – dep.
18/03/2010, Cammarano, Rv. 246424)
4. Limitando la ricognizione della decisione impugnata agli aspetti esaltati dal
ricorso, va rilevato come il giudice della riparazione, nella determinazione della

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periodo anch’esso espresso in giorni, di ingiusta restrizione subita – con il potere

somma, abbia compiutamente argomentato in ordine alle ragioni per le quali
non ha ritenuto di poter procedere alla liquidazione di somme indennitarie per i
danni alla salute e al patrimonio del Tolone. La motivazione resa al riguardo non
è manifestamente illogica. Infatti, per quanto concerne i primi, la Corte di
Appello ha fatto riferimento, quale fonte di conoscenza di elementi valutabili al
riguardo, alla sentenza con la quale il Tolone è stato riconosciuto invalido civile e
alla consulenza medica a firma del dr. Cotroneo, concludendo che da esse non si
trae la prova di un diretto rapporto di causalità tra la detenzione ed i problemi di

medesimo laddove segnala che le cattive condizioni di salute del Tolone erano
preesistenti all’instaurazione della detenzione. Né ha pregio l’affermazione,
ancora dell’esponente, secondo la quale, tali essendo le condizioni del Tolone, è
inevitabile che la detenzione le abbia aggravate. Tale asserzione non tiene conto
del fatto che la carcerazione ha avuta la durata di sette giorni e che gli arresti
domiciliari si sono protratti per diciassette giorni.
Quanto al danno patrimoniale, la Corte di Appello ha affermato che le dimostrate
conseguenze sul piano economico erano da ricondursi alla pendenza del
procedimento. Di per sé si tratta di asserzione non manifestamente illogica. In
effetti, già la sola notizia dell’esistenza di un procedimento penale nel quale
taluno risulta indagato o imputato per fatti di una certa gravità (come nel caso
che occupa), è senz’altro in grado di produrre una serie di effetti nella diverse
aree (affettive, sociali, economiche) entro il quale l’interessato è collocato.
Sicchè, che esse siano conseguenza esattamente della privazione della libertà e
non della sola notizia del procedimento è circostanza che deve essere provata
dalla parte che la prospetta.
Al riguardo questa Corte ha già espresso il principio per il quale la privazione
ingiusta della libertà è di per sè fattore generatore di conseguenze negative, sul
piano personale, familiare e sociale, tanto che il legislatore ha previsto il diritto
ad una riparazione (artt. 314 – 315 cod. proc. pen.). Ne consegue che la
quantificazione della riparazione non può richiedere la necessaria prova, e
neppure l’allegazione, di specifiche voci di danno (pur essendo queste da
esaminare, ove siano adeguatamente rappresentate e sostenute), dovendosi in
ogni caso dar luogo ad una pronuncia equitativa da valutare, anche sotto il
profilo motivazionale, nella sua intrinseca ragionevolezza e non con criteri
mutuabili dai principi civilistici attinenti all’onere della prova; onere che può
ritenersi sussistente solo quando la parte interessata intenda far si che nella
determinazione del “quantum” (sempre e comunque equitativa) si tenga conto di
determinati, specifici fattori idonei ad incidere sul risultato dell’operazione (così,

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salute del Tolone. L’affermazione, peraltro, risulta confermata dal ricorrente

Sez. 1, n. 4931 del 17/12/1991 – dep. 17/01/1992, Ministero Tesoro in proc.
Parente, Rv. 188915).
Per quel che qui occupa, va quindi ribadito che quando la parte interessata
intenda far si che nella determinazione del “quantum” si tenga conto di
determinati, specifici fattori idonei ad incidere sul risultato dell’operazione, il
giudice non può prescindere dal compiuto accertamento della sussistenza di tali
danni. Invero, anche quando questa Corte ha stigmatizzato la mancata
liquidazione del danno derivato da un evento quale la perdita del posto di lavoro,

necessità che l’istante dimostrasse l’entità del danno patito. Infatti,
nell’affermare che “il riconosciuto carattere indennitario e non risarcitorio
dell’indennizzo liquidabile ex art. 314 c.p.p. non pretende la prova della reale
entità del danno, basandosi la relativa liquidazione su una valutazione equitativa
dello stesso, affidata all’apprezzamento del giudice del merito”, si è al contempo
convalidata la decisione impugnata nelle parti in cui rifiutava la liquidazione di
somme per danni in ordine ai quali era risultata la non diretta discendenza dalla
carcerazione, oltre che la mancanza di prova della loro sussistenza ed entità
(Sez. 4, Sentenza n. 35662 del 09/04/2009, Manai e altro, Rv. 245436).
La circostanza che il giorno stesso dell’arresto sia stata sospesa la convenzione
sopra menzionata non risolve il problema probatorio sopra descritto; l’istante
avrebbe dovuto dare dimostrazione del fatto che proprio l’instaurazione della
detenzione era stata elevata dalla Prefettura a causa di tale sospensione (o, ad
esempio, che la notizia del coinvolgimento del Tolone nel procedimento penale
era già stata diffusa nel tempo anteriore).
Altrettanto può dirsi per ogni altra conseguenza di carattere patrimoniale
lamentata dal Tolone.

5. Per contro, il ricorso risulta fondato laddove censura l’ordinanza impugnata
per la omessa motivazione resa a sostegno della determinazione dell’entità della
somma liquidata per il riconosciuto danno all’immagine. Infatti, la Corte di
Appello ha mancato di esplicare gli elementi assunti a base della propria
valutazione, finendo con il liquidare una somma meramente simbolica, che non
appare coerente con il ruolo sociale del Tolone (imprenditore) e con la potenziale
ampiezza dell’ambito di diffusione della notizia dell’arresto, ormai non
identificabile alla luce dei soli confini geografici, considerata la rilevanza assunta
dai mezzi di comunicazione globali.
Limitatamente a tale punto l’ordinanza impugnata deve essere annullata.
P.Q.M.

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lo ha fatto perché la relativa motivazione faceva perno sulla insussistente

Annulla la impugnata ordinanza limitatamente alla statuizione che attiene
alla quantificazione in equità (non motivata) del danno all’immagine.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17.1.2014.

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