Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8009 del 20/12/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 8009 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
COSTANZI DANILO N. IL 16/06/1968
avverso l’ordinanza n. 21/2012 CORTE APPELLO di ROMA, del
03/07/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SALVATORE
DOVERE;
lette/site le conclusioni del PG Dott. Z.A.,W 9-4i129.> , 32
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Data Udienza: 20/12/2013

RITENUTO IN FATI-0
1. Costanzi Danilo, a mezzo del difensore, ha proposto ricorso per
cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe, con la quale è stata rigettata
la sua istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione subita in regime di custodia
in carcere dal 16.6.2007 all’8.8.2007 e di arresti domiciliari dal 9.8 al
16.10.2007, in relazione ai delitti, tutti commessi in concorso con altri, di
tentata estorsione aggravata e di illecita detenzione di un fucile a pompa
(risultando il Costanzi indagato anche per i reati fabbricazione di una bottiglia

Tribunale di Civitavecchia, che aveva poi trasmesso gli atti al G.i.p. del Tribunale
di Roma per competenza; questi il 1.9.2007 aveva confermato la misura solo per
il delitto di tentata estorsione aggravata. Successivamente veniva pronunciata
sentenza di assoluzione, per non aver commesso il fatto in ordine a tale delitto e
perché il fatto non sussiste in relazione ai restanti.
La Corte territoriale ha ravvisato l’insussistenza dei presupposti del diritto
alla riparazione di cui all’art. 314, 1° comma, cod. proc. pen., in quanto il
comportamento dell’odierno ricorrente aveva dato corso all’ordinanza di custodia
cautelare, individuando gli estremi della colpa grave, preclusiva al
riconoscimento dell’indennizzo richiesto. E ciò in quanto dalle intercettazioni
telefoniche oggetto di captazione emergeva che il Costanzi era pienamente
consapevole della volontà del concorrente nel reato Branco Stefano di porre in
essere atti delittuosi in danno dell’imprenditore La Rosa Roberto, con possibile
lancio di una bottiglia incendiaria contro una vettura di questi, spari o lanci di
oggetti contro la sua abitazione, dal momento che il Costanzi risultava aver
accompagnato il Branco nella ricerca notturna di un distributore di carburanti per
il confezionamento di una bottiglia molotov, peraltro lamentandosi di non riuscire
a reperirlo e lo aveva consigliato sul da farsi; sicchè, ad avviso della Corte
distrettuale, ancorché non avesse reale intenzione di partecipare ai fatti, come
accertato con la sentenza assolutoria, egli aveva oggettivamente rafforzato
l’attività criminosa del Branco.
2. Il ricorrente ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata per
violazione dell’art. 314 cod. proc. pen. e per vizio motivazionale. Ad avviso
dell’esponente la Corte di Appello non ha considerato che la custodia cautelare
del Costanzi è stata instaurata e mantenuta in assenza delle condizioni di
applicabilità della misura ex art. 273 cod. proc. pen. e che, come dimostra il
fatto che il Costanzi è stato giudicato con il rito abbreviato, l’accertamento della
assenza di tali condizioni si è fondato sui medesimi elementi disponibili al giudice
della cautela. In tal caso, aggiunge il ricorrente, non è rilevante la condizione
ostativa dell’aver concorso a dare causa al provvedimento restrittivo con

molotov e tentato incendio). L’ordinanza adottiva era stata emessa dal G.i.p. del

comportamento gravemente colposo, secondo quanto sancito dalle S.U. con
sentenza n. 32383/2010.
Con un secondo motivo il ricorrente lamenta vizio motivazionale in ordine
alla individuazione della colpa grave e della verifica dell’incidenza causale della
stessa sulla detenzione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato.
3.1. Il ricorrente asserisce che l’ordinanza impugnata non avrebbe tenuto

Costanzi era stata adottata e mantenuta “in assenza delle condizioni di
applicabilità della misura ex art. 273 c.p.p.”. Egli, pertanto, adombra la
ricorrenza dell’ipotesi di cui all’art. 314, co. 2 cod. proc. pen.
Mette conto rammentare al riguardo, con estrema brevità, che l’assetto
delineato dal legislatore assicura il diritto alla riparazione, in via principale,
nell’ipotesi di una custodia cautelare (nozione comprensiva sia della custodia
carceraria che di quella domiciliare), la cui ingiustizia (c.d. sostanziale) deriva
non da elementi afferenti al momento della sua applicazione, bensì dal semplice
dato postumo del definitivo proscioglimento del soggetto con una delle ampie
formule in facto o in iure previste. Il riconoscimento del diritto, in tal caso, è
esplicitamente subordinato alla condizione della inesistenza di una condotta
dolosa o gravemente colposa del soggetto causativa o concausativa della
custodia stessa (art. 314, co. 1 cod. proc. pen.).
Inoltre, lo “stesso diritto” è riconosciuto, indipendentemente dall’esito finale
del processo di merito, a chiunque sia stato sottoposto a custodia cautelare,
della cui applicazione sia stata accertata, con decisione irrevocabile, la non
conformità alle previsioni di cui agli artt. 273 e 280 cod. proc. pen. (c.d.
ingiustizia formale: art. 314, co. 2 cod. proc. pen.).
La circostanza dell’avere dato o concorso a dare causa alla misura custodiale
per dolo o colpa grave opera quale condizione ostativa al riconoscimento del
diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione anche nell’ipotesi, di cui al
comma 2 dell’art. 314 cod. proc. pen., di riparazione per sottoposizione a
custodia cautelare in assenza delle condizioni di applicabilità di cui agli artt. 273
e 280 cod. proc. pen. E, come ricorda il ricorrente, la Corte ha precisato che tale
operatività non può concretamente esplicarsi, in forza del meccanismo causale
che governa l’indicata condizione ostativa, nei casi in cui l’accertamento
dell’insussistenza “ah origine” delle condizioni di applicabilità della misura in
oggetto avvenga sulla base dei medesimi elementi trasmessi al giudice che ha
reso il provvedimento cautelare, in ragione unicamente di una loro diversa

3

conto del fatto che sarebbe stato accertato che la custodia cautelare subita dal

valutazione. (Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010 – dep. 30/08/2010, D’Ambrosio,
Rv. 247663).
Orbene, nel caso in esame, la domanda di riparazione proposta alla Corte di
Appello non invocava l’esistenza delle condizioni di cui al comma 2 dell’art. 314
cod. proc. pen., facendo essa riferimento all’avvenuta assoluzione dell’imputato
da tutti i reati originariamente ascrittigli. Ciò importa l’inammissibilità del motivo
in discussione, posto che trattasi di tema mai proposto alla Corte di Appello.
Va comunque osservato che l’evocazione di una decisione irrevocabile che

cautelare non può ritenersi sufficiente a dare dimostrazione della circostanza; né
è idoneo allo scopo il richiamo alla pronuncia di assoluzione, ancorchè emessa a
seguito di rito abbreviato.
Stante la tassativa formulazione del comma secondo dell’art. 314 cod. proc.
pen., non sono idonee a fondare il diritto alla riparazione per l’ingiusta
detenzione, da tale norma previsto, nè la violazione dell’art. 274 cod. proc. pen.,
relativo alle esigenze cautelari, nè l’inosservanza dei principi di adeguatezza e
proporzionalità delle misure, enunciati nel successivo art. 275, mentre, invece,
siffatto diritto si configura ove sussista una causa di illegittimità enucleabile
dall’art. 273 o dall’art. 280 stesso codice. Peraltro, fra le ipotesi di illegittimità
elencate nel citato art. 273 rilevano soltanto l’assenza, all’epoca dell’applicazione
o della conferma della misura, di gravi indizi di colpevolezza, ovvero la presenza,
in quelle stesse date, di cause di non punibilità, di estinzione del reato o di
estinzione della pena che si ritenga irrogabile, e non anche la sussistenza di
cause di giustificazione, posto che questa, implicando l’assoluzione dell’imputato
perché il fatto non costituisce reato, rientra nella diversa previsione di cui al
comma primo dell’art. 314 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 20 del 12/10/1993 – dep.
08/11/1993, Durante, Rv. 195353).
Ne deriva l’impossibilità di trarre la prova della illegittimità del
provvedimento cautelare, nei sensi dianzi indicati, dalla pronuncia di merito, che
risponde a criteri valutativi del tutto diversi.
Per completezza dell’analisi va anche osservato, che il Tribunale per il
riesame di Roma, secondo quanto riferisce l’esponente medesimo, ebbe a
confermare la misura in relazione al delitto di tentata estorsione.
3.2. Il motivo con il quale ci si duole che la Corte di Appello non abbia mai
motivato in merito alla individuazione della colpa grave e, più decisamente, alla
valenza sinergica di questa rispetto all’ordinanza cautelare è destituito di
fondamento.
Si è già osservato nella superiore parte narrativa che la Corte di Appello ha
richiamato il contenuto delle intercettazioni telefoniche oggetto di captazione, dal

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abbia sancito l’insussistenza ad origine delle condizioni di adozione della misura

quale emergeva che il Costanzi era pienamente consapevole della volontà
illecita del concorrente nel reato Branco Stefano e che ciò nonostante si era
accompagnato a questi nella ricerca notturna di un distributore di carburanti per
il confezionamento di una bottiglia molotov, peraltro lamentandosi di non riuscire
a reperirlo e lo aveva consigliato sul da farsi.
E’ in riferimento a tali comportamenti che la Corte di Appello ha individuato
la colpa grave ostativa alla riparazione (sicché non coglie il segno il P.G.
requirente afferma che la Corte territoriale ancora la colpa alla mera contiguità

conversazioni captate dagli inquirenti); condotta che non è risultata superata
dalle dichiarazioni rese dal Costanzi in sede di interrogatorio di garanzia, posto
che egli – come puntualmente rilevato dalla Corte distrettuale – non negò la
propria presenza a fianco del Branco, le frasi pronunciate, il lancio di un sasso
(ma a terra) da parte del Branco.
3.3. Con riguardo all’ulteriore profilo in ordine ai quali si lamenta omessa
motivazione, va ribadito che il giudice è tenuto a motivare specificamente, oltre
in ordine all’addebitabilità all’interessato di comportamenti colposi, anche in
merito all’incidenza di essi sulla determinazione della detenzione.
Tale principio va in ogni caso correlato alle regole valevoli in tema di ricorso
per cassazione ed in particolare a quello avente ad oggetto il vizio motivazionale.
Non può dimenticarsi che l’impugnazione dinanzi al giudice di legittimità non
ha la funzione di determinare mere affermazioni di principio ma quello di
travolgere, ove accolta, provvedimenti viziati da errori che ne compromettono la
legalità o la giustizia. E’ quanto si esprime attraverso il sempre affermato criterio
della decisività degli elementi la cui mancata o errata valutazione si lamenta.
Ad esempio, in tema denuncia del difetto di motivazione della sentenza di
appello per omesso o manifestamente illogico o contraddittorio confronto con le
ragioni esposte dal primo giudice a sostegno della decisione integralmente
riformata: è necessario – si prescrive – che il ricorso operi un’autonoma critica
indicando, specificamente e con illustrazione delle ragioni della decisività, i
passaggi della sentenza di primo grado ignorati o confrontati in modo
manifestamente illogico o contraddittorio (Sez. 6, n. 5879 del 09/01/2013 – dep.
06/02/2013, Delle Grottaglie e altro, Rv. 254243). Analogamente, in tema di
mancata risposta alle argomentazioni difensive, si è affermato che il vizio
motivazionale può essere utilmente dedotto in Cassazione unicamente quando gli
elementi trascurati o disattesi abbiano un chiaro ed inequivocabile carattere di
decisività, nel senso che una loro adeguata valutazione avrebbe dovuto
necessariamente portare, salvo intervento di ulteriori e diversi elementi di

o

del Costanzi a personaggi pericolosi e a frasi pronunciate nel corso di

giudizio, ad una decisione più favorevole di quella adottata (Sez. 2, n. 37709 del
26/09/2012 – dep. 28/09/2012, Giarri, Rv. 253445).
Né va taciuto che il vizio di motivazione va valutato tenendo presente che il
difetto di motivazione, quale causa di nullità della sentenza, non può essere
ravvisato sulla base di una critica frammentaria dei singoli punti di essa,
costituendo la pronuncia un tutto coerente ed organico, per cui, ai fini del
controllo critico sulla sussistenza di una valida motivazione, ogni punto di essa
va posto in relazione agli altri, potendo la ragione di una determinata statuizione

pure implicito (Sez. 4, n. 4491 del 17/10/2012 – dep. 29/01/2013, Pg in proc.
Spezzacatena e altri, Rv. 255096).
Tenendo presente i menzionati principi mette conto rilevare che, nel caso di
specie, la Corte di Appello ha affermato che “nei comportamenti del Costanzi sia
ravvisabile colpa grave per aver concorso, sia pur con l’altrui errore, nel
determinare gli inquirenti all’emissione della misura cautelare nei suoi confronti”,

evidenziando in più passi il di lui colpevole contributo. Il ricorso, da parte sua,
censura l’omessa motivazione in ordine al rapporto sinergico senza però
esplicitare le ragioni per le quali la descritta motivazione sincretica tradisce
l’assenza della relazione causale.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

4. Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20/12/2013.

anche risultare da altri punti della sentenza ai quali sia stato fatto richiamo, sia

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