Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8007 del 15/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 8007 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
CATANIA
nei confronti di:
PLATANIA ANGELO N. IL 11/11/1980
PANZERA GIUSEPPE N. IL 28/07/1972
avverso la sentenza n. 1112/2013 TRIBUNALE di CATANIA, del
23/03/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO;
lette/s9t-ire le conclusioni del PG Dott. Cui
ig

Data Udienza: 15/11/2013

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 23 marzo 2013 il Tribunale di Catania applicava a
Angelo Platania e Giuseppe Panzera, imputati del delitto p. e p. dagli artt. 56,
110, 624 e 625, comma 1, nn. 2) e 7) cod. pen., con la recidiva reiterata
specifica per il Panzera (reato commesso in Catania il 21 marzo 2013), su
richiesta degli imputati e con il consenso del PM, ritenuta l’equivalenza tra le
attenuanti generiche, le contestate aggravanti e la recidiva applicabile al solo

di reclusione ed C 200,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali,
concedendo ad entrambi la sospensione condizionale della pena.
Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il Procuratore
generale presso la Corte d’appello di Catania sulla base di quattro motivi.

1.1. Con il primo deduce vizio di motivazione (art. 606 lett. e cod. proc.
pen.) in punto di concessione delle attenuanti generiche ritenute equivalenti alle
contestate aggravanti, ed alla recidiva per quel che attiene al Panzera. Rileva
che al riguardo la sentenza è priva di alcuna seppur minima motivazione, tale
non potendosi considerare in particolare l’accenno effettuato in ordine alla
avvenuta confessione ed alla marginalità sociale degli imputati, che attengono,
invece, al giudizio prognostico finalizzato alla concessione del beneficio della
sospensione condizionale della pena.

1.2. Con il secondo deduce, sempre in relazione alle concesse attenuanti
generiche, violazione di legge penale ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc.
pen., e segnatamente violazione dell’art. 62 bis cod. pen., non essendovi agli
atti elemento alcuno valutabile ai fini della sua applicazione al caso di specie.
Rammenta che in proposito la S.C. ha più volte affermato che “nella
concessione delle attenuanti generiche il giudice di merito deve indicare gli
elementi dai quali possa trarsi, anche per implicito, il percorso logico che lo ha
condotto al riconoscimento in questione precisando quali siano gli elementi
decisivi per tale statuizione e, nel caso sia ritenuta la meritevolezza
dell’attenuazione della pena, deve specificare le ragioni ritenute atte alla
mitigazione del trattamento sanzionatorio anche se non è necessario che
vengano prese in considerazione tutte le circostanze rilevanti in positivo o in
negativo” (Sez. 4, n. 31440 del 25/06/2008, Rv. 241898).
Rileva che, al contrario, nel caso di specie, la motivazione è, come detto, sul
punto assente e che, anche a ritenere motivazione utilizzabile quella di cui
all’ultimo capoverso della sentenza, finalizzata in realtà solo alla concessione

Panzera e disposta la riduzione prevista per il rito, la pena di mesi 2 e giorni 20

della sospensione condizionale della pena, essa deve ritenersi contraddittoria
perché in contrasto con gli elementi deducibili dal fascicolo processuale.
Evidenzia in proposito che trattasi di fatto grave, atteso che gli imputati non
stavano asportando solo materiale ferroso ma ben quattro pompe idrauliche
sommerse di grossa portata in uso alle Ferrovie dello Stato e la loro
asportazione non solo avrebbe cagionato un danno economico di rilievo ma
comportato certamente disservizi. Soggiunge che priva di valenza deve ritenersi
anche la confessione resa dagli imputati, atteso che gli stessi sono stati sorpresi

prova alcuna nel fascicolo.

1.3. Con il terzo motivo deduce ancora violazione di legge e insieme vizio di
motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., in
relazione agli artt. 56, 624, 625, commi 1 e 7, e 133 cod. pen..
Rileva al riguardo che manca del tutto la motivazione in ordine alla
quantificazione della pena nel minimo edittale (minimo della pena per il reato
consumato diminuita nel massimo ai sensi dell’articolo 56 cod. pen.), con ciò
ancora una volta violando i pur minimi doveri motivazionali previsti sul punto
anche per la sentenza di patteggiamento.
Anche a tal fine osserva che, ove volesse ricavarsi pertinente motivazione
da quanto sottolineato nell’ultimo capoverso della sentenza ai fini della
sospensione condizionale della pena, tale motivazione si rivelerebbe incongrua a
fronte della gravità del danno cagionato e delle modalità seguite per la
esecuzione del furto, rispetto alle quali la pena avrebbe dovuto essere
quantificata in misura superiore rispetto a quanto ritenuto dal Giudice.

1.4. Con il quarto motivo deduce infine violazione di legge ai sensi dell’art.
606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen., in relazione all’art. 164 cod. pen., per
avere il Giudice concesso al Panzera la sospensione condizionale della pena
nonostante egli avesse riportato in precedenza due condanne a pena sospesa,
così per l’appunto violando l’articolo 164 cod. pen. che esclude la possibilità di
reiterare la sospensione in siffatto caso.

2. Il Procuratore generale della Corte di cassazione si è espresso per il
parziale accoglimento del ricorso, con limitato riferimento al quarto motivo, con il
conseguente annullamento senza rinvio dell’impugnata sentenza limitatamente
alla posizione dell’imputato Panzera, e la conseguente trasmissione degli atti al
giudice a quo per un nuovo giudizio, e con la declaratoria di inammissibilità del
ricorso, in quanto proposto nei confronti dell’imputato Platania Angelo.

in flagranza di reato e che ancora, della ritenuta loro marginalità sociale, non v’è

A tale ultimo riguardo rileva infatti che le doglianze del ricorrente riflettono
l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche e la dosimetria della pena,
mentre – secondo il prevalente indirizzo giurisprudenziale di legittimità – in tema
di patteggiamento, tutte le statuizioni non illegali, concordate dalle parti e
recepite in sentenza, in quanto manifestazioni di un generale potere dispositivo
che la legge riconosce alle parti e il giudice ratifica, non possono essere dalle
stesse parti rimesse in discussione con il ricorso per cassazione, neppure sotto il
profilo del difetto di motivazione.

considerarsi illegale, osserva che conformemente ad indirizzo di questa Corte
(cfr. Sez. 2, n. 40519 del 12/10/2005, Scafidi, Rv. 232844) – in tema di
patteggiamento, l’accordo sulla pena esonera il giudice dall’obbligo di
motivazione sui punti non controversi della decisione, in relazione ai quali le
parti, compreso il pubblico ministero del grado superiore, non possono
censurare il provvedimento adottato riguardo alla determinazione quantitativa
della sanzione (citati a conferma anche Sez. 4, n. 38286 del 8/7/2002, Leone,
rv. 222959; Sez. 4, n. 32004 del 10/4/2003, Valetta, Rv 228405; Sez. 6, n.
18385 del 19/2/2004, Obiapuna, rv. 228047; Sez. 4, n. 3946 del 19/2/1998,
Kepec, rv. 210639).
Osserva conclusivamente, citando altro precedente, che la richiesta di
applicazione di pena patteggiata costituisce un negozio giuridico processuale
recettizio che, pervenuto a conoscenza dell’altra parte, non può essere
modificato unilateralmente né revocato, e, una volta che il giudice abbia
ratificato l’accordo, non è più consentito alle parti – e, quindi, anche al pubblico
ministero – prospettare questioni e sollevare censure con riferimento alla
sussistenza e alla giuridica qualificazione del fatto, alla sua soggettiva
attribuzione, all’applicazione e comparazione delle circostanze, all’entità e
modalità di applicazione della pena (Cass. n. 3429/1998).

Considerato in diritto

3. Sono infondati i primi tre motivi di ricorso, congiuntamente esaminabili.

3.1. Giusta quanto rilevato dal P.G. presso la Corte di cassazione, posto che
il calcolo della pena concordata non appare illegale, nel senso che il risultato
finale del calcolo risulta conforme ad una applicazione formalmente corretta dei
criteri di legge, per il resto la commisurazione della stessa si sottrae alle censure
svolte con riferimento agli altri profili dedotti, in quanto riflettenti l’applicazione
delle circostanze attenuanti generiche e la dosimetria della pena.

In particolare, premesso che il calcolo della pena concordata non può

Secondo il prevalente indirizzo di questa Corte, infatti, il patto – nel quale si
sostanzia la richiesta di applicazione della pena concordata – esonera il giudice
dall’obbligo della motivazione sui punti non controversi della decisione, sicché
dalla sintetica valutazione del fatto operata in sentenza deve trarsi l’implicita
globale considerazione della sua limitata gravità, in relazione alla quale non è più
consentito dolersi alle parti, compreso il pubblico ministero del grado superiore.
Queste invero, una volta intervenuti l’accordo e la ratifica motivata, non
possono più recedere dall’irretrattabile patteggiamento e non possono proporre

transazione. Non possono censurare i provvedimenti da essi sollecitati, se
rispettosi del principio di legalità e, quindi, revocare il consenso prestato, con la
surrettizia prospettazione del vizio di motivazione dovendo sindacare,
specificamente, la statuizione ed eventualmente denunziare l’errore di
qualificazione giuridica, sulla base degli atti richiamati dalla sentenza.
Il principio è valido anche per la Procura generale che, pur avendo una
supremazia gerarchica ed istituzionale, non può sostituire la propria volontà a
quella già manifestata, in forza della conoscenza diretta degli elementi concreti
acquisti al processo, dal Pubblico Ministero che ha partecipato al patteggiamento,
e non può proporre come motivi di ricorso censure che si sostanziano in un
recesso dall’accordo (Sez. 2, n. 40519 del 12 ottobre 2005, Scafidi, rv. 232844;
v. anche Sez. 5, n. 627 del 05/02/1999, Peressotti, rv 213520; ma cfr. anche
Sez. 4, n. 4195 del 23 novembre 1999 – dep. 05/01/2000, Drasi, rv. 215091).
Quanto poi al controllo di legalità del trattamento sanzionatorio, l’unico a
potersi sindacare in questa sede, è stato puntualmente e condivisibilmente
precisato che, per qualificare illegale la pena concordata non basta eccepire che
il giudice non abbia correttamente esplicato i criteri valutativi che lo hanno
indotto ad applicare la pena richiesta, ma occorre che il risultato finale del
calcolo non risulti conforme a legge (v. Sez. 6, n. 18385 del 19/02/2004,
Obiapuna, rv. 228047: in quella fattispecie la Corte ha ritenuto che il
riconoscimento da parte del giudice dell’attenuante dell’art. 73, comma 5, d.P.R.
309/90, in presenza di accordo fra le parti, benché non risultassero specificazioni
sui motivi della concessione dell’attenuante, né in ordine al giudizio di
equivalenza o di prevalenza, non poteva esser sottoposto al vaglio della Corte di
cassazione, non risultando il computo materiale della pena inferiore al minimo
edittale).

3.2. Dalle superiori considerazioni emerge peraltro, con rilievo preliminare,
altro profilo di inammissibilità dell’impugnazione proposta dal P.G. presso la
Corte d’appello di Catania per difetto di legittimazione “in concreto”.

questioni che trovano una preliminare soluzione e la necessaria sintesi nella

Ed invero, in tema di patteggiamento il pubblico ministero che abbia
prestato il proprio consenso all’applicazione della pena non può poi dolersi, con
impugnazione, della successiva ratifica dei fatti da parte del giudice nemmeno
sotto il profilo del difetto di motivazione, avendo implicitamente esonerato il
giudice dall’obbligo di rendere conto dei punti non controversi della decisione
(Sez. 4, n. 4195 del 23/11/1999, cit.).
Ha precisato la Corte che tale principio non può subire deroghe neppure per
l’effetto dell’autonomia degli uffici del P.M. nel proporre impugnazione ai sensi

rappresentante del pubblico ministero – in quanto nel rito speciale disciplinato
dagli artt. 444 e segg. cod. proc. pen., celebrato esclusivamente sulla base della
richiesta di una delle parti e del consenso dell’altra, non vi è l’assunzione di
conclusioni, mancando del tutto la fase della discussione finale, nel cui ambito
queste vanno formulate.
Ne discende che, una volta prestato il consenso al “patteggiamento”, e
“ratificato” questo nell’accordo posto a contenuto della sentenza adottata ex art.
444 cod. proc. pen., si deve ritenere consumato il potere di azione (o di
“prosecuzione” dell’azione penale), con la conseguenza che il P.M., anche
superiore gerarchicamente rispetto a quello che ha prestato il consenso, pur se
astrattamente legittimato a proporre impugnazione dalla norma di cui all’art. 570
cod. proc. pen., tale legittimazione non ha più in concreto, per effetto della già
avvenuta consunzione dell’azione penale, anche se ad impugnare sia la Procura
Generale (in tal senso v. Sez. 4, n. 38286 del 08/07/2002, Leone, rv. 222959;
Sez. 6, n. 32004 del 10.4.2003, Valetta, rv. 228405; Sez. 4, n. 8060 del
10/7/1996, Busai, rv. 205835).

4. In coerenza con i suesposti rilievi è invece da ritenersi ammissibile e
fondato il quarto motivo di ricorso, con il quale si deduce vizio di violazione di
legge, e segnatamente violazione dell’art. 164 cod. proc. pen.: violazione
effettivamente sussistente nella parte in cui la sentenza, con riferimento alla
posizione del Panzera, riconosce anche a quest’ultimo il beneficio della
sospensione condizionale in palese violazione della norma predetta che tale
beneficio esclude per l’imputato che abbia già riportato in precedenza due
condanne a pena sospesa (situazione nella quale, alla stregua di quanto
emergente dagli atti, versa il predetto).

5.

In parziale accoglimento del ricorso va pertanto pronunciato

l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla parte in
cui provvede sulle richiesta di patteggiamento avanzata dall’imputato Panzera

dell’art. 570 cod. proc. pen. – quali che siano state le conclusioni del

Giuseppe, in ordine al quale va pertanto disposta la trasmissione degli atti al
Tribunale di Catania per il successivo giudizio.
Il ricorso va invece dichiarato inammissibile nella restante parte, ossia per
quanto riguarda le statuizioni rese nei confronti di Platania Angelo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso per le statuizioni rese nei confronti

statuizioni che investono Panzera Giuseppe con rinvio al Tribunale di
Catania per l’ulteriore corso.
Così deciso il 15/11/2013.

di Platania Angelo, e annulla la sentenza impugnata quanto alle

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