Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8001 del 12/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 8001 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: MARINELLI FELICETTA

Data Udienza: 12/11/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DI CHIARA MICHELE N. IL 20/05/1962
avverso l’ordinanza n. 91/2012 CORTE APPELLO di PALERMO, del
23/04/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FELICETTA
MARINELLI;
lettefsentite-le conclusioni del PG Dott,-/Arx.

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Z.

La Corte di Appello di Palermo, con ordinanza resa
all’udienza camerale del giorno 23.04.2012 rigettava
l’istanza di riparazione presentata da Di Chiara
Michele per ingiusta detenzione in regime di custodia
in carcere dall’8/03/05 al 20/12/08 perché
sospettato del reato di cui all’art.416 bis c.p.,
reato da cui era stato assolto perché il fatto non
sussiste con sentenza della Corte di appello di
Palermo emessa in data 20.12.2008 e divenuta
irrevocabile il 27.04.2010.
Di Chiara Michele, a mezzo del suo difensore,
proponeva quindi ricorso per cassazione avverso
l’ordinanza della Corte di appello di Palermo e
concludeva chiedendone l’annullamento.
Il ricorrente censurava l’ordinanza impugnata per
violazione ed erronea applicazione degli articoli 314
e 315 cod.proc.pen. e per manifesta illogicità della
motivazione ex art. 606 comma l lett.b) ed e)
cod.proc.pen., in particolare nella parte in cui la
Corte di appello rimproverava in termini di colpa
grave condotte insuscettibili di essere riguardate
alla stregua di macroscopica negligenza e
trascuratezza. Pertanto, ad avviso del ricorrente,
non sussisterebbe la colpa grave, impeditiva del
riconoscimento del diritto all’equa riparazione.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze a mezzo
dell’Avvocatura Generale dello Stato presentava
tempestiva memoria e concludeva chiedendo di voler
dichiarare inammissibile il proposto ricorso ovvero
di rigettarlo.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato.
Osserva la Corte che il diritto a equa riparazione
per l’ingiusta detenzione, regolato dagli artt. 314
e ss. c.p.p., trova fondamento nella condizione
soggettiva della persona sottoposta a detenzione
immeritata e in tal senso ingiusta. Il quadro
sistematico di riferimento è un quadro di diritto
civile ma non è quello dell’art. 2043 c.c. che
appresta sanzioni contro chi produce per dolo o colpa
un danno ingiusto ad altri. Il principio regolatore è
piuttosto quello della riparazione legata ad eventi
che producono il sorgere, quali conseguenze di
principi di solidarietà e di giustizia distributiva,

Ritenuto in fatto

(3

di
responsabilità da atto lecito ( la distinzione
tra responsabilità per danno ingiusto ex art. 2043
c.c. e responsabilità per atto lecito è ben chiarita
da Cass. SS.UU. civ.
11/6/2003 n. 9341). E’ ben
fermo, in materia, l’assetto delle regole
generalissime che disciplinano l’onere della prova
civile ex art. 2697 c.c. posto che il procedimento
relativo alla riparazione per l’ingiusta detenzione,
quantunque si riferisca ad un rapporto
obbligatorio
di diritto pubblico
e
comporti
perciò
il rafforzamento dei poteri officiosi del
giudice,
e’
tuttavia ispirato ai principi del
processo civile, con la conseguenza che l’istante
della
ha l’onere di provare i fatti costitutivi
domanda, la custodia cautelare subita e la
successiva assoluzione ( Corte Cass. Sez. 4 sent. n.
23630 02/04/2004 – 20/05/2004 ). Peraltro il
sorgere del diritto è condizionato alla esistenza di
una condotta del richiedente che al tempo del
processo in nulla abbia dato causa o concorso a dare
causa a quella ingiusta detenzione. L’operazione
intesa a cogliere tali condizioni deve scandagliare
solo l’eventuale efficienza causale delle condotte
dell’imputato che possano aver indotto, anche nel
concorso dell’altrui errore, secondo una valutazione
il giudice a
ragionevole e non congetturale
(Cass. SSUU
stabilire la misura della detenzione
13/12/95 n. 43, Sez IV 10/3/2000 n. 1705) .
Il giudice,pertanto, deve fondare la sua decisione su
fatti concreti e precisi e non su mere supposizioni,
esaminando la condotta del richiedente, sia prima e
sia dopo la perdita della libertà personale,
indipendentemente dall’eventuale conoscenza che
quest’ultimo abbia avuto dell’attività di indagine,
al fine di stabilire, con valutazione ex ante, non se
tale condotta integri estremi di reato, ma solo se
sia stato il presupposto che ha ingenerato, ancorchè
in presenza di errore dell’autorità procedente, la
falsa apparenza della sua configurazione come
illecito penale, dando luogo alla detenzione con
rapporto di causa ad effetto (cfr. Cass. Sezioni
Unite, Sent. n.34559/2002; Cass., Sez.4, Sent.
n.17552 del 2009)
Tanto premesso si osserva che la Corte di Appello di
Palermo, con motivazione adeguata, ha enucleato,con
congrua verifica degli accertati elementi di
riferimento, la condotta del richiedente ostativa
all’accoglimento dell’istanza di equa riparazione. In
primo luogo ha posto in rilievo il suo disinvolto
muoversi in un contesto relazionale ed ambientale
certamente ambiguo 40:z&=3 di cui facevano parte
soggetti inseriti con ruoli qualificati in gruppi e

o

famiglie mafiose. L’ordinanza impugnata ha poi
evidenziato il rapportarsi dell’istante a costoro con
piena consapevolezza sia della loro qualità, sia
dell’illecita attività cui erano dediti e dei gravi
delitti commessi, mostrandosi pienamente contiguo ai
loro interessi e lasciandone persino apparire la
condivisione. A tal proposito è stata intercettata
una conversazione intrattenuta dal Di Chiara con il
Landolina assolutamente esplicita. La Corte
territoriale ha valorizzato il contegno tenuto dal
ricorrente in quella circostanza, in particolare il
suo mostrarsi vicino e disponibile a quel contesto
delittuoso e alle sue attività, senza per nulla
mostrare di voler scindere e differenziare la propria
posizione da quella degli intranei, senza prendere le
distanze da essi, ma anzi lasciando trapelare piena
conoscenza e disponibilità, tenendo quindi un
atteggiamento idoneo a costituire a suo carico
un’apparenza di reità, determinante nell’applicazione
della misura. La Corte territoriale valorizzava
infine in chiave ostativa l’atteggiamento tenuto dal
Di Chiara in sede di interrogatorio, in quanto costui
si era limitato ad affermare la propria estraneità ai
fatti, per il resto rifiutandosi di rispondere, in
tal modo non fornendo quegli elementi di
chiarificazione che avrebbero potuto consentire una
meno negativa lettura del materiale indiziario a suo
carico e, in particolare, della conversazione sopra
indicata con il Landolina particolarmente indiziante.
Questo essendo il quadro accusatorio, il motivo
proposto dall’odierno ricorrente non può essere
accolto.
il
definisce
che
impugnato,
provvedimento
Il
dell’ingiusta
riparazione
la
per
procedimento
detenzione, supera quindi il vaglio di questa Corte
che è limitato alla correttezza del procedimento
logico giuridico con cui il Giudice è pervenuto ad
accertare o negare i presupposti per l’ottenimento
del beneficio indicato. Resta invece nelle esclusive
attribuzioni del giudice di merito, che è tenuto a
suo
il
logicamente
e
adeguatamente
motivare
convincimento, la valutazione sull’esistenza e la
gravità della colpa e sull’esistenza del dolo.
riconosciuto
infatti
ha
non
legislatore
Il
incondizionatamente il diritto all’equa riparazione,
ma l’ha esplicitamente escluso allorquando il
come appunto nella
comportamento dell’indagato,
fattispecie de qua, abbia indotto in errore il
giudice circa l’esistenza dei gravi indizi di
colpevolezza a suo carico.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato e il
ricorrente deve essere condannato al pagamento delle

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spese processuali e alla rifusione delle spese di
questo giudizio in favore del Ministero resistente
che si liquidano in complessivi euro 750,00.
PQM

Così deciso in Roma il 12.11.2013

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali nonchè alla
rifusione delle spese di questo giudizio di
Cassazione liquidate in euro 750,00.

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