Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8000 del 12/11/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 4 Num. 8000 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: ROMIS VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BURZESE GIUSEPPE ANTONIO N. IL 19/03/1967
avverso l’ordinanza n. 118/2009 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 03/02/2012

)),,r

sentita la relazione fatta dal Consigliere DottlitNoCq\IZO ROMIS;
lette/smaltite le conclusioni del PG Dott.

4_

\LP

Uditi difensor Avv.;

ydle.t9_,Dkg

umh-lz1

ecuzy&

Data Udienza: 12/11/2013

RITENUTO IN FATTO
1. Burzese Giuseppe Antonio, tratto in arresto a seguito di ordinanza di custodia cautelare
in carcere con la contestazione di reati concernenti le armi, veniva quindi scarcerato ed infine assolto per non aver commesso il fatto con sentenza del Tribunale di Palmi passata in
giudicato.
2. Con domanda presentata alla Corte di Appello di Rléo Calabria il Burzese chiedeva
quindi l’equa riparazione, per l’ingiusta detenzione subita, quantificandola nella misura di

La Corte d’Appello adita, provvedendo con ordinanza depositata il 7/2/2012, rigettava la
domanda. In particolare la Corte territoriale riteneva ravvisabili nella condotta del Burzese
gli estremi della colpa grave, ostativa al diritto all’equa riparazione, sulla scorta dell’esito
di intercettazioni telefoniche aventi ad oggetto conversazioni caratterizzate da linguaggio
ritenuto criptico che ben potevano essere intese come riferibili ad armi, anche perché il
Burzese era soggetto già condannato proprio per violazione della legge sulle armi; la Corte
territoriale evidenziava altresì che l’istante, in sede di interrogatorio di garanzia, si era avvalso della facoltà di non rispondere mentre ben avrebbe potuto rendere la propria versione in ordine alle conversazioni intercettate.
3. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione l’interessato con atto
di impugnazione sottoscritto dal difensore (cassazionista), deducendo vizio motivazionale
in ordine alla ritenuta sussistenza della colpa grave, sostenendo che la Corte territoriale
sarebbe incorsa in errore di impostazione e prospettiva nel valutare le risultanze processuali ai fini che in questa sede interessano, in particolare attribuendo rilievo alle conversazioni intercettate il cui contenuto, invece, non sarebbe stato tale da ingenerare sospetti;
con il ricorso si afferma poi che il Burzese, avvalendosi della facoltà di non rispondere nell’interrogatorio di garanzia, aveva esercitato il proprio diritto di difesa, a fronte di un’ordinanza cautelare di non agevole e pronta comprensione perchè caratterizzata da una complessa motivazione articolata attraverso numerose pagine e contenente molti “omissis”.
4. Il Ministero dell’Economia si è costituito – tramite l’Avvocatura dello Stato – con memoria difensiva contestando l’assunto del ricorrente con diffuse argomentazioni, con vittoria
delle spese.
5. Il Procuratore Generale presso questa Corte, con la sua requisitoria scritta, ha chiesto il
rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
6. Il ricorso deve essere rigettato per l’infondatezza delle censure dedotte.
Secondo i princìpi elaborati ed affermati nell’ambito della giurisprudenza di questa Suprema Corte, nei procedimenti per la riparazione per l’ingiusta detenzione, in forza della norma di cui all’art. 646, secondo capoverso, c.p.p. – da ritenersi applicabile per il richiamo
contenuto nel terzo comma dell’art. 315 c.p.p. – la cognizione della Corte di Cassazio-

1

euro 20.000,00.

ne deve intendersi limitata alla sola legittimità del provvedimento impugnato, ovviamente
anche sotto l’aspetto della congruità e logicità della motivazione, e non al merito. E, per
quel che concerne la verifica dei presupposti e delle condizioni richieste perchè sussista in
concreto il diritto all’equa riparazione – in particolare, l’assenza del dolo o della colpa grave dell’interessato nella produzione dell’evento restrittivo della libertà personale – le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza N. 43 del 13/12/1995-9/2/1996, hanno
enunciato il principio di diritto secondo cui la Corte territoriale deve procedere ad autono-

6.1. Nella fattispecie in esame, la Corte d’Appello di Reggio Calabria, per quanto si evince
dall’impugnata ordinanza, ha motivato il proprio convincimento attraverso un adeguato
percorso argomentativo con le considerazioni sopra sinteticamente ricordate, da intendersi
qui integralmente richiamate onde evitare superflue ripetizioni; orbene appare all’evidenza
che trattasi di un “iter” motivazionale assolutamente incensurabile in quanto caratterizzato
da argomentazioni pienamente rispondenti a criteri di logicità ed adeguatezza, nonchè in
sintonia con i princìpi enunciati da questa Corte in tema di dolo e colpa grave quali condizioni ostative al diritto all’equa riparazione: si ha colpa grave allorquando il soggetto sia
venuto meno all’osservanza di un dovere obiettivo di diligenza, con possibilità di prevedere
che, non rispettando una regola precauzionale, venendo meno all’osservanza del dovere di
diligenza, si sarebbe verificato l’evento “detenzione” (cfr., fra le tante: Sez. 4, n. 3912/96
– cc. 29/11/95 – RV. 204286; Sez. 4, n. 596/96, RV. 204624); la sinergia, sulla custodia
cautelare, del comportamento dell’istante può riguardare “sia il momento genetico che

Quello del permanere della misura restrittiva”

(

così, “ex plurimis”, Sez. 4, n. 963/92, RV.

191834). Giova evidenziare, ancora, che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza
n. 43 del 1995 già sopra ricordata, hanno sottolineato che: a) “deve intendersi dolosa

non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei

suoi termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma anche
la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell’ «id quod plerumque accidit>> secondo le regole di espe-

ma valutazione delle risultanze processuali rispetto al giudice penale.

rienza comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di
doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo”; b) “poichè inoltre, anche ai fini che qui interessano, la nozione di colpa è
data dall’art. 43 cod. pen., deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione

quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente,

macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o
norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento
restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso”.
6.2. Da ultimo, talune osservazioni si impongono in tema di silenzio (o mendacio) – quale
esercizio del diritto di difesa nel giudizio di cognizione – ai fini della domanda di equa ripa2

(NAgeh

razione. Mette conto sottolineare, invero, che il silenzio del Burzese non è stato valutato
dal giudice della riparazione quale unico elemento negativo, ma è stato considerato, in
presenza di una condotta antecedente ritenuta a ragione (per le circostanze sopra ricordate) sinergica all’evento detenzione, quale ulteriore comportamento idoneo a legittimare il
permanere della misura restrittiva, avendo il Burzese rinunciato – pur se nell’esercizio del
suo legittimo diritto ad avvalersi della strategia difensiva ritenuta più idonea ai fini processuali – ad offrire elementi idonei a contrastare il quadro indiziario emerso a suo carico e

per quanto innanzi evidenziato: sulla configurabilità della condotta sinergica al protrarsi
dello stato di detenzione, in quanto comportamento omissivo causalmente efficiente nel
permanere della misura cautelare, nel caso di mancato esercizio della facoltà difensiva di
allegare fatti favorevoli, cfr. Quarta Sez. Pen., n. 16370/2003, imp. Giugliano, RV.
224774. Né coglie nel segno il ricorrente laddove ha denunciato vizio di motivazione
muovendo dal rilievo che la Corte territoriale avrebbe dovuto indicare quali elementi avrebbe potuto fornire il Burzese a chiarimenti ove avesse risposto all’interrogatorio: ed invero, appare evidente che era il Burzese – solo lui e non altri – in grado, all’atto dell’interrogatorio, di fornire, con il supporto di allegazioni difensive ritenute più opportune, una lettura alternativa e convincente rispetto a quella privilegiata in sede di indagini dal giudice
che aveva emesso la misura cautelare.
7. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
7.1. Il ricorrente va altresì condannato a rifondere al Ministero dell’Economia, resistente, le
spese del presente giudizio che si liquidano in complessivi euro 750,00,

P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla
rifusione delle spese sostenute dal Ministero dell’Economia liquidate per questo giudizio di
Cassazione in euro 750,00.
Roma, 12 novembre 2013
Il Conskiliere estensore
(Vinc nzo Romis)

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
IV Sezione Penale

Il Presidente
(Gaetanino Zecca)

scaturito da una condotta riconducibile alla sua volontà e di per sè chiaramente colposa

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA